Dal dire al fare, uno
8 Giugno 2021Il Tempo è arrivato
10 Giugno 2021Marina ci ha lasciati un anno fa. Devo ringraziare Federico Della Puppa perché questo libro mi ha permesso di risentire la sua voce, la sua energia, la sua intelligenza. Leggere, è come averla lì davanti. Federico cura questa rassegna di cinque lunghe conversazioni con Marina, cinque dialoghi tra due professionisti appassionati, direi innamorati del loro lavoro, che è un tutt’uno con il loro essere al mondo. Cinque conversazioni sulla città, ma che scavano in profondità le ragioni del contratto sociale, della dimensione collettiva e comunitaria dello stare assieme.
Il libro si intitola “A chi serve la città”, e non è una domanda aperta a risposte vaghe e disilluse. È un asserzione che va dritta al punto: la città serve per esprimere il potenziale di socialità dello spazio che abbiamo a disposizione. La città serve ai cittadini per costruire attorno a loro capitale sociale, che alla fine è la vera ragione per la quale vale la pena vivere insieme.
Le cinque conversazioni scorrono sui temi cari a Marina. Ma con un piglio che ha poco di valutazione su cosa è la città (o è stata), e molto di propositivo. Certo, molti passaggi tracciano un bilancio delle politiche urbane di questi ultimi decenni in Italia, sui loro fallimenti. Con una critica ricorrente alla disciplina urbanistica e sulla necessità di resettare molti paradigmi che l’hanno guidata. In questo c’è tutto il percorso di Marina dentro Audis, l’associazione che ha animato per oltre vent’anni: i temi della rigenerazione urbana, gli esperimenti come la Carta della Rigenerazione e della Qualità, la critica alla “città diffusa”. Ma oltre a un bilancio, c’è molto progetto e sguardo verso il futuro. Anzi, i ragionamenti sembrano proprio dettare l’agenda necessaria a guidare la complessa transizione verso la città post-pandemica: il valore della prossimità e la necessità di rafforzare le relazioni materiali e immateriali.
Ci sono molti altri passaggi che il libro incoraggia a sviluppare. Ne voglio riprendere due.
Il potenziale di bellezza delle periferie. Dove si ripercorre il rapporto tra centro e periferia: tra il centro comunemente considerato bello solo come valore di storicità, e la periferia come luogo stigmatizzato del brutto. Viceversa, la riflessione porta a guardare la bellezza delle periferie non come un dato oggettivo, o ereditato dal passato, ma che guarda in avanti. Guarda alla possibilità di generare valorare di cambiamento e trasformazione, cosa che non avviene nella città storica perché stretta dentro schemi rigidi di vincoli e prescrizioni.
Venezia città “mescolante”. In queste conversazioni c’è anche Venezia, ma non troppa. Rimane sullo sfondo e in qualche passaggio come esempio di buone politiche pubbliche. Ne esce un racconto della Giudecca, per le esperienze a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, come l’ultima azione su Venezia capace di incidere strutturalmente sulla vitalità della città, a partire da un investimento consapevole sulla residenza. Ma soprattutto Venezia come modello di città sociale, “mescolante”, perché tutti vanno a piedi, dove conosci i tuoi vicini, città del mondo e città di dimensione umane allo stesso tempo.
E infine, dalla lettura capisco questo: non esiste sapere tecnico che non sia sapere politico. Ed ha proprio a che fare con la professione che Marina ha testimoniato. Non esiste alcuna presunta neutralità del tecnico rispetto al politico, in nessun caso. Per essere un buon tecnico serve cogliere gli effetti delle proprie scelte rispetto a concetti come interesse pubblico, equità sociale, corretto uso delle risorse pubbliche, cura del territorio. Marina faceva questo. Anzi, era questo; profondamente questo.
A chi serve la città, Marina Dragotto, a cura di Federico Della Puppa, ZeL Edizioni, Padova 2021