SHAUL BASSI: my city in the next 5 years
7 Agosto 2020LEONARDO COLOVINI: la mia città dei prossimi 5 anni
9 Agosto 2020Luminosi Giorni, con spirito di servizio al fine di accrescere la consapevolezza per il prossimo voto alla Amministrative del Comune di Venezia, ospita una serie di interventi di personalità che riteniamo offrano spunti di riflessione per un voto ponderato e consapevole. Gli amici che hanno cortesemente offerto il loro contributo provengono da aree culturali, politiche e ideali le più diverse e offrono visioni talvolta molto confliggenti tra loro. Ma mai banali. Come Redazione ci piace pensare di poter contribuire a un confronto sereno e non fazioso sui temi che riguardano il futuro della nostra città. Alcuni degli autori scenderanno personalmente nell’agone elettorale. A loro, indistintamente, va il nostro in bocca al lupo e a tutti, candidati e no, un sentito grazie per la collaborazione.
In tutta sincerità, non avevo molta voglia di scrivere ancora una volta la mia idea di città per il prossimo quinquennio, di proporre l’ennesimo esercizio di stile buono forse solo per raccogliere qualche like su Facebook (social che denota la vecchiaia di una generazione che non riesce nemmeno più a seguire adeguatamente l’evoluzione della comunicazione smart) che non per altro… Poi mi ritrovo a leggere le boutade elettorali di tizio o di caio, per lo più slogan privi di qualsivoglia base di ragionamento politico, e così inizio a sentire qualche cosa nello stomaco, che presto mi si trasferisce nel cervello impedendomi di pensare ad altro che non sia la mia città e il suo futuro. Il futuro che dobbiamo una volta per tutte saper costruire per i nostri figli, allontanando la tentazione di credere ancora in un qualche ruolo attivo dall’alto della nostra sempre più vicina terza età, per la quale la città offre peraltro già strutture d’accoglienza con tutti i comfort del caso.
Quindi, cari lettori post
“anta” (i giovani qua non ci stanno!), ecco il mio pensiero sui prossimi
“cinque anni di venezitudine” che cercherò di elaborare in modo quanto più
sintetico intorno a due parole chiave: fragilità ed equilibrio.
Andiamo in ordine di apparizione: Venezia deve divenire la Capitale mondiale
della fragilità urbana. Sia chiaro, fragilità da intendersi non
come problema, bensì come valore aggiunto su cui sviluppare una vivibilità più
sostenibile sotto tutti i punti di vista. Facendo mie le parole di Susanna
Tamaro “è la consapevolezza della fragilità ciò che permette di costruire
società veramente civili”. Da qui deve partire il ragionamento di chi verrà
chiamato a governare nei prossimi cinque anni la città.
Una città fragile non è per niente una città invivibile o immobile nella sua intoccabilità, come qualche vetusto membro di qualche altrettanto giurassico comitato di salvaguardia vorrebbe, proprio come un bicchiere di vetro di Murano non è per forza un soprammobile da tenere in una bacheca di vetro (non soffiato). Se è vero che non verseremmo mai del bombardino fumante dentro del vetro soffiato sapendo come questo scoppierebbe, preferendo quindi riempirlo di gustoso e fresco prosecco, allo stesso modo non dovremmo più creare dei sovraccarichi pericolosi per la rottura del fragile tessuto urbano della Città Storica, adeguandogli piuttosto soluzioni alternative di dimensioni calibrate. Tutto ciò che è per sua natura “grande” (nave, turismo, evento…) presenta inevitabilmente una capacità di invadenza che Venezia il più delle volte non può sopportare senza correre un serio rischio di collasso fisico e di conseguenza sociale.
Ma questo non deve però portarci necessariamente alla chiusura o al rifiuto, all’adozione del “NO” a prescindere, anche se mi rendo conto come a volte, anche per mera incapacità di sviluppare un vero pensiero politico, il ricorso allo slogan monosillabico diventi la via più semplice nella ricerca di un facile e più immediato consenso popolare.
Nel nostro caso deve essere valorizzata sì la fragilità, ma tenendo ben presente come si stia parlando di un luogo, di una città che comunque vuole continuare a essere viva e produttiva.
Dobbiamo quindi promuovere e valorizzare la cura, la tutela e il rispetto verso un ambiente e un patrimonio unico al mondo, senza però volerlo snaturare da ciò che in realtà è: un luogo vissuto da una comunità che come tale ha necessità, richieste e aspettative anche per quanto riguarda la vita quotidiana, il lavoro, lo studio, la produzione culturale.
Perciò, affinché la fragilità venga intesa davvero come valore aggiunto e non come caratteristica ineliminabile di cui divenire nostro malgrado prigionieri, occorre avviare un processo di sviluppo e rinnovamento basato sul giusto equilibrio.
Sostituendo i “NO” con i “COME”, potremmo finalmente vedere una città che accoglie navi da crociera, turisti di ogni tipo, eventi musicali e non, con un carico di rischio in parte o del tutto abbattuto e quindi senza particolari patemi d’animo.
Un’adeguata azione preliminare di analisi e studio delle criticità, seguita dall’applicazione delle relative soluzioni, permetterebbe di consolidare in totale sicurezza i comparti produttivi, di creare nuove opportunità occupazionali, incentivare la residenzialità stanziale, migliorare la mobilità di cose e persone…insomma ci vedrebbe finalmente protagonisti di una vera e propria rivoluzione culturale che porterebbe la Città Storica a essere il perfetto paradigma dell’intero pianeta: qualsiasi cosa si sia fatta bene a Venezia, allora si può applicare ovunque.
Ecco, ho scritto proprio l’ennesimo esercizio di stile che avrei voluto evitare. Sento già le vocine di molti di voi chiedermi “buone intenzioni di un’anima bella…ma quali le soluzioni, gli strumenti, le riforme che vorresti adottare per vedere applicati tali principi?”.
Beh, che dire? Negli anni si sono seguiti tanti gruppi di lavoro, movimenti più o meno civici, tavoli di discussione dai quali sono emerse molte possibili soluzioni ai singoli problemi, pur senza la condivisione di una comune idea di città. Un esempio su tutti, il Pass 4 Venice che indicava una via percorribile, per quanto complessa, per rivedere il governo dei flussi turistici anche in un’ottica economica di ricavi derivati dal comparto e da reinvestire in fondi vincolati a specifici interventi di riqualificazione urbana. Già questo poteva essere il punto di partenza per una città che di conseguenza si sarebbe potuta finalmente rimettere in discussione, potendo contare su risorse adeguate e non derivate esclusivamente dalla Legge Speciale. Un progetto che oltre tutto si basava di fatto sull’applicazione di nuove tecnologie di verifica della mobilità personale in arrivo o in loco che oggi, adeguatamente rinnovate, tornerebbero utili anche per la gestione di emergenze pandemiche che richiedono un continuo e poco invasivo controllo di eventuali assembramenti.
Tecnologia applicata alla fragilità, innovazione che incontra e migliora la tradizione: altro gioco di equilibrio in fondo…
Che dire quindi in conclusione? Che mi auguro che chiunque sarà chiamato a governare Venezia a partire dal prossimo autunno sappia far propri i due principi a me tanto cari, così da sviluppare con ritrovata energia una politica ancor più efficace di rinnovamento del tessuto socio/culturale/produttivo veneziano. Dico “ancor più” perché a mio giudizio l’amministrazione comunale uscente è stata quella, dai tempi della prima Giunta Cacciari, che è riuscita concretamente ad andare verso questa direzione. Con qualche errore, certamente diversi tentennamenti o limiti, ma anche con azioni concrete di risanamento e rilancio che credo nessuno possa negare o contestargli.
Da qui si dovrà quindi ripartire dal prossimo mese di settembre per lasciare alle future generazioni una città fragile, ma dall’equilibrio perfetto.
Chi è Massimo Andreoli: presidente e fondatore di Wavents, società di eventi attiva in Italia e all’estero, nonché del CERS – Consorzio Europeo Rievocazioni Storiche con cui sviluppa da oltre vent’anni progetti di valorizzazione dei beni culturali. Consulente per la ricostruzione di ambientazioni storiche per diverse trasmissioni televisive condotte da Alberto Angela. Insignito del titolo di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.