
Il pericolo dell’erosione dei diritti. Anche in Europa.
20 Novembre 2016
Gattopardi d’Italia
24 Novembre 2016Si sta parlando a lungo, in questi giorni, dell’inaspettata elezione di Trump. Ho sentito reazioni di tutti i tipi e sono rimasta non poco stupita nel vedere quanta gente sia venuta allo scoperto, dichiarando, senza tema di essere giudicata, le proprie simpatie per il miliardario americano. Se è successo in Italia, figuriamoci in America, mi sono detta. D’altra parte, per noi si tratta di un déjà vu. Ci siamo forse dimenticati dello scarto incredibile tra intenzioni di voto a Berlusconi e carrettate di voti che il cavaliere portava a casa? Nessuno lo votava, ma stravinceva. Fenomeno strano e imbarazzante. Tanto che, quando andavo all’estero, io, come tanti altri, dichiaravo subito – giusto così, perché non si sa mai, meglio prendere le distanze – di non aver contribuito alla deriva populista italiana e che non lo avevo votato e che guai avercelo ancora per molto. E gli altri, con stupore misto a indulgenza chiosavano dicendo: “Dite tutti così. Intanto il magnate milanese vince nel paese della pizza e degli spaghetti”. E così per un ventennio.
Mutatis mutandis, gli americani ci hanno irriso e deriso e, come colpiti da nemesi divina, si ritrovano un capo di stato altrettanto, o forse più, imbarazzante. Ma non scopro l’acqua calda. Ho seguito, con l’umiltà e l’ignoranza di che non ne capisce molto, le analisi del meglio dei politologi che abbiamo attualmente sul mercato. Tutti a puntare l’indice contro i democratici. Tutti a sciorinare nomi di altri possibili candidati, meno aggressivi e guerrafondai della Clinton, più adatti a tranquillizzare un elettorato disorientato e alla ricerca di certezze. Tutti a criticare la politica di Obama, poco incisiva in tema di problemi sociali e, forse, tutto sommato, meno pacifista di quanto si era sperato in un primo momento. Tutti a giustificare la cosiddetta “minoranza bianca” che non si è più sentita tutelata. Tutti a condannare coloro che hanno appoggiato l’oligarchia delle banche, ignorando i problemi del paese reale. Tutto vero. Il partito democratico ha recitato i suoi mea culpa, così come la sinistra italiana, o ciò che resta di essa. Ma un dato di fatto è chiaro. Il voto a Trump è l’espressione di un’America becera, ignorante, rude, incolta e villana. Un’America xenofoba, pronta ad innalzare muri e a consegnarsi al primo populista che riconosce nelle invasioni dei barbari le cause della crisi. Un’America che stigmatizza gli immigrati come il male da combattere e che dimentica di essere essa stessa discendente da coloni che cercavano nel Nuovo Mondo occasioni di sopravvivenza. Un’America spregiudicata, popolata da donne e da uomini che osannano un maschilista, sessista, misogino come Trump, sol perché è stato in grado di parlare alla loro pancia. Un’America popolata da parvenu, con il gusto del kitsch e del pacchiano, disposta a cancellare con un colpo di spugna le conquiste fatte in materia di difesa ambientale. Un’America disposta a perdonare persino il reato di evasione fiscale, pur di farla finita con il vecchio estabilishment.
Un’America bigotta che si fa beffa di idee e di valori e che, in questo difficile momento storico, viene festeggiata dai Le Pen e dai Salvini, dagli speculatori del disagio, dai promotori dei “vaffaday” e dai CasaPound. È l’internazionale populista che si compiace e trionfa, e non c’è da starsene sereni.



