Italia 1943-47 e 1976-78, Emergenza Nazionale
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26 Gennaio 2018Tra tutti i problemi a cui le Istituzioni Europee devono far fronte, uno dei più spinosi è quello della gestione dei rapporti con la Gran Bretagna a seguito del Referendum del 23 giugno 2016.
A complicare il quadro, con una certa forza, hanno contribuito le recenti dichiarazioni rilasciate da Tony Blair durante Today, il programma di punta del mattino del canale 4 di BBC Radio.
Nel corso dell’intervista, l’ex primo ministro, ha sottolineato come gli elettori “abbiano il diritto di cambiare idea, se cambiano le circostanze”, ed ha previsto che la seconda fase di negoziati con Bruxelles, quelli sul tipo di relazione post Brexit, renderanno evidente il “dilemma centrale” che il Regno Unito dovrà affrontare: “O sei vicino all’Europa, e in quel caso devi obbedire alle sue regole, oppure ti ritrovi in un rapporto di libero commercio sul modello di quello con il Canada, e diventa inevitabile un grosso processo di ristrutturazione economica”.
Queste parole pesano, così come pesano i due temi che ad esse si collegano: istituto referendario e sovranità parlamentare.
In altre parole ecco come, da una intervista radiofonica, si può tentare di riflettere su alcuni temi sostanziali per il futuro delle democrazie che compongono l’Unione Europea di oggi.
Iniziando dal referendum, non si può non notare prima di tutto come, ad oggi, l’istituto sia confinato nel perimetro degli stati nazionali non esistendo alcun tipo di referendum europeo.
Inoltre, è possibile provare ad identificare alcune ragioni che spiegano il cattivo stato di salute del Referendum.
Da subito, non può essere negata, quale ragione dello stato di crisi dell’istituto di democrazia diretta, almeno in Italia, l’indifferenza spesso dimostrata dal legislatore nei confronti dell’esito delle consultazioni referendarie conclusesi magari con l’abrogazione richiesta.
Sono noti alcuni episodi come, ad esempio, quando si è sottoposta a referendum per due volte consecutive la normativa istitutiva di un determinato ministero (a prescindere dall’opportunità dello stesso quesito) oppure quando le omissioni o i successivi interventi del legislatore hanno sostanzialmente contraddetto l’esito di consultazioni referendarie come avvenuto per il finanziamento pubblico ai partiti politici o di privatizzazione della Rai.
Ad aggravare il precario stato di salute di questo strumento di partecipazione alla vita democratica, va aggiunto il grave deficit informativo che contribuisce spesso a indebolire fortemente l’interesse dei cittadini rispetto alle consultazioni indette.
L’assenza di un’idonea modalità ufficiale di informazione chiara e di facile comprensione in ordine alle consultazioni referendarie, impedisce ai cittadini di essere correttamente informati non solo sullo stesso svolgimento dei referendum, ma soprattutto sui quesiti posti e sugli effetti derivanti dall’espressione del voto in senso favorevole o contrario (o anche dalla stessa astensione dal voto).
In secondo luogo, non va trascurata l’importanza che il concetto di sovranità parlamentare ricopre in Gran Bretagna.
L’ipotesi paventata da Blair, deve, prima di tutto, tenere conto del peso che il Parlamento e la sua sovranità rivestono nel sistema inglese.
Non è un caso che nel dirimere la questione giuridica nata sulla legittimazione del Governo a decidere di attivare la procedura ex art. 50 TUE (sentenza Miller della High Court del 3 novembre 2016, confermata dalla sentenza della Corte Suprema del 24 gennaio 2017) i Giudici britannici sono stati chiari nel riconoscere la rilevanza politica dell’esito referendario, ma sono stati altrettanto espliciti nel sottolineare il suo valore meramente consultivo, e quindi giuridicamente non vincolante nei confronti del Parlamento, che quindi (secondo quanto dichiarato in ciascuna pronuncia) dovrà assumere in piena libertà di giudizio una successiva deliberazione legislativa per sancire in via definitiva il recesso del Regno Unito dall’UE.
A ben guardare le parole di Blair rischiano quindi di essere ricondotte a rango di proclama politico, peraltro non degno di uno statista del suo calibro visto che, la decisione finale sul recesso del Regno Unito dall’UE, per quanto amara, non può essere affidata ad una eventuale seconda consultazione popolare, ma rimane di stretta competenza del Parlamento Britannico.
Infine e senza voler apparire irriverenti o semplicisti nei confronti del complesso dibattito democratico che Brexit sta generando in Gran Bretagna e nell’intera Unione Europea, è possibile riconoscere la saggezza e l’acume dell’art. 75 della nostra settantenne Costituzione, il quale vieta lo svolgimento di referendum che abbiano per oggetto trattati internazionali.