
Fare o entrare in politica?
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5 Luglio 2021Questa volta il mio editoriale è un mini saggio su un tema a cui do molta importanza, che chi ha voglia e tempo si sciropperà, se no pazienza, amici come prima. Perché il mio spazio è solo questo e quando è necessario mi allargo. Buona lettura.
Ho ascoltato con grande interesse, e lo ripropongo ai lettori perché mi riferirò ad esso, il dialogo sull’ “irrilevanza veneta” tra il politologo Paolo Feltrin e il politico di lungo corso, ex parlamentare ed ex sindaco di Padova, Paolo Giaretta, introdotti dal sociologo Alessandro Castegnaro. È stato promosso in video conferenza dal Forum di Limena, un’esperienza questa di aggregazione politico-culturale molto interessante su cui torneremo, e ripreso dal “Giornale del Veneto”(https://ilgiornaledelveneto.it/lectio-magistralis-di-paolo-feltrin-sul-veneto/), all’interno di un articolo che Luminosi Giorni aveva già ripubblicato poco tempo fa.
E non si può non essere d’accordo pienamente con loro sulla perfetta sintesi emersa, “irrilevanza veneta”. Anche se c’è chi, come il sottoscritto, non si accontenta mai del solo prendere atto. Dal prendere atto vorrebbe ricavarne indicazioni per invertire le rotte, perciò aumenta l’ansia. L’ansia di non vedere sbocchi aumenta e a volte paralizza. E allora si tenta di trovarli tenacemente gli sbocchi, magari sono solo sogni, per cercare di superarla.
Irrilevanza certo, mai termine fu più appropriato per il Veneto e, aggiungo, per i suoi territori confinanti.
E siccome i pensieri vagano in libertà e non li puoi irregimentare, anche se sono sconvenienti o illogici e bizzarramente accostati come nei sogni; e siccome tra le altre cose mi piace per molte ragioni lo sport che in Italia va di gran lunga per la maggiore, pensavo proprio in questi giorni alle rivalità calcistiche regionali interne al Veneto come metafora, se si vuole occasionale, di questa irrilevanza. Mi si consenta tale digressione metaforica per una quarantina di righe, che sulle oltre trecento dell’intero testo ci possono stare.
Sia chiaro le rivalità calcistiche ci sono in tutto l’orbe terracqueo e in generale gli sport di squadra non ne potrebbero fare a meno, visto che le sfide amichevoli e senza posta in palio abbassano se non annullano il tasso di senso, più ancora che di agonismo e tecnico; e visto che il pubblico che prende parte ne è uno degli attori di peso, decisivo nella rivalità. Qui da noi però le rivalità calcistiche hanno contorni grotteschi e si manifestano sovente con un campanilismo da ‘strapaese’; che, oltre ad esaltare,
come sarebbe sacrosanto, le imprese, come pur raramente ci sono, di ciascun ‘competitor’, si bea in contemporanea e, direi, altrettanto e forse ancor di più, delle disgrazie sportive e di prestazione degli altri. E non sono goliardate scherzose – magari… -, sono sentimenti genuini, in casi estremi senza il pudore di ‘odiare’ il vicino, e sentiti da centinaia e centinaia di persone, ne ho avuto recente conferma.
Il tutto ovviamente condanna il Veneto, anzi l’intero nordest, all’irrilevanza nel panorama calcistico italiano ed Europeo, confermata beffardamente dal fatto che la stragrande maggioranza della gente della regione le squadre venete e nordestine non se le fila proprio, o le tiene come ‘seconde’, e poi ‘tifa’ in massa per gli squadroni metropolitani, emblema del provincialismo estremo; condanna all’irrilevanza Veneto e Nordest nel panorama calcistico, anche se principalmente non certo solo per questo fenomeno di tifo ‘contro’, che del resto accade nel calcio paro paro anche in altre regioni e, da quel che si dice, un po’ dappertutto nel pianeta. Ma sicuramente anche per questo accentuato fenomeno ‘strapaesano’, se in combinazione, come si trova, con analoghe situazioni di frammentazione socioeconomica generale, del tutto estranee apparentemente allo sport e al calcio, e invece per mille fili invisibili del tutto connessa. Frammentazione generale che invece altre regioni non hanno o hanno molto meno. È superfluo sottolineare, lo capiscono anche i bambini, come invece fare lobbying tra tutte le società calcistiche e i suoi sostenitori, per promuovere l’insieme del movimento calcistico macro regionale sarebbe un’inversione di rotta dall’irrilevanza in cui si è sprofondati in questo settore. Fine della metafora, sin troppo lunga e non so quanto pertinente, come lo sono gli accostamenti del pensiero, ma ci si è capiti.
Lo ‘strapaese’, infatti, è un costume non solo di campanilismo calcistico, ma direi di costume generale nella Regione (tra parentesi: i termini ‘paese’, ‘compaesano’ e derivati sono ancora molto usati, e non per caso, nel lessico colloquiale) e si unisce alla stucchevole retorica ormai almeno quarantennale del benefico policentrismo veneto. Retorica avvallata dalla inconfutabile realtà di un Veneto/nordest passato in due decenni da regione povera a regione con redditi pro capite e PIL tra i più alti in Italia e con un rilievo anche a livello europeo. Avvallata attraverso un sillogismo solo teorico e indimostrato, policentrismo=crescita economica, in grado però nel tempo di chiudere la bocca a chi ne evidenziava anche i limiti sul lungo periodo; che infatti si sono manifestati. Policentrismo: un ossimoro, questo, che inorgoglisce i locali e che invece chiamerei “poli-assenza-di-centrismo”, o semmai solo ‘poli’, o se si vuole, meglio ancora, “poli-perifericità”, un’immensa periferia strutturata d’Italia e d’Europa. E non sono che due aspetti, culturale l’uno, geo-economico l’altro, di una realtà macroregionale più complessa ma che, per una combinazione di altri innumerevoli fattori, è condannata a non contare mai non solo come classe politica, ma anche in chiave geo politico-economica, e ad essere una formidabile unica e altrettanto immensa risorsa non utilizzata, come la piscina di danari e di monete dorate di zio Paperone. Un ‘narciso’ costui, come Dino Bertocco nell’introdurre il dialogo in video del Forum di Limena dice giustamente dei veneti, per il suo possesso effimero di danaro solo ‘estetico’, credendo solo per questo di contare e di poter fare la voce grossa, un ‘narciso’ a cui invece nessuno bada, perché poi lui, zio Paperone, vive da pitocco.
Vorrei dire che l’inadeguatezza complessiva della classe dirigente veneta – non solo politica ma, e concordo con ciò che dice nel video Alessandro Castegnaro, inadeguatezza in tutti i settori socioeconomici e perfino culturali – è più la conseguenza che non la causa di tutta una serie di fattori trascorsi e di radici storico geografiche, e soprattutto di mancata consapevolezza.
E mi vorrei soffermare, per non ripetere tutte le cose dette nel video dai tre, sui fattori geo storici e geo politici che conosco meglio e che possono aggiungere argomenti sulle possibili linee orientative future, per vedere come rivalorizzare questo rilevante patrimonio. Perché, a differenza della lodevole iniziativa del buon servizio del “Giornale del Veneto” e del “Forum di Limena”, che si soffermano prevalentemente ad analizzare, ancora una volta devo esorcizzare l’ansia pensando al dopo, anche se solo come sogno; per non farla prevalere, l’ansia intendo, a maggior ragione quando c’è la consapevolezza di un presente poco edificante come è delineato lucidamente nel citato video.
Intanto il contesto territoriale.
Il Veneto, perfino nel nome della regione, mai esistito per millenni fino all’Ottocento, ha una denominazione recente e la regione stessa ha un perimetro così ristretto altrettanto recente, poco più di 150 anni. Come entità politico amministrativa fino all’unità d’Italia è sempre stata, e significativamente sotto altro nome (Venetia e/o, tout court, Venezia, per lo più), una entità regionale molto più vasta di quella attuale. Persino sotto l’Austria, che ritengo storicamente responsabile del primo rilevante e decisivo declino regionale e che involontariamente le ha creato il nome con la genesi di un aggettivo (territorio Lombardo-Veneto è suo conio), la regione era ben più vasta, per quanto appunto in coabitazione con la Lombardia. Nella storia un pò più lontana è sempre stata più vasta ancora, anche come definizione solo etnica –la terra dei Paleoveneti, appellativo del popolo, ma non regionale – e poi come definizione geo politica, con i Romani e con la Repubblica di Venezia. Quasi sempre, in questi due ultimi casi, ha coinciso con quello che oggi si definisce l’intero nordest e oltre. Appellativo di recente conio, nordest – meno di quarant’anni –, e di natura geo-economica, ma assolutamente pertinente e adeguato, che dovrebbe riallargare l’identità regionale nell’autocoscienza collettiva. E’ l’unica nota di dissenso con Paolo Feltrin, che nel suo intervento nel video liquida l’idea stessa di Nordest, solo perché, con delle buone ragioni, lo interpreta come sterile bandiera ideologica della cosiddetta stagione dei Sindaci, promossa da Giorgio Lago e Massimo Cacciari. Paolo è un politologo tra i più autorevoli e la critica politica a quell’uso dell’idea di nordest è assolutamente corretta, ma, non essendo un geografo, sbaglia a liquidare l’oggetto stesso mal utilizzato. Da lui dissento perchè il Nordest non è realtà virtuale o inventata dall’indimenticato Giorgio Lago, ma da tempo esiste fattualmente dal punto di vista geo economico sociale, persino geofisico, fatto non secondario. Quindi se proprio si vuol essere patrioti – meglio non esserlo comunque mai troppo – tale dovrebbe essere la nostra vera patria, ben altro che il Veneto. Questo è il vero contesto macroregionale in cui viviamo, dal Brennero al Po e dal Garda al Carso, quantomeno.
La frammentazione amministrativa con due regioni a Statuto Speciale e una a Statuto Ordinario è il primo scempio compiuto dalla Repubblica Italiana. Le due a Statuto speciale, a lungo viste come modello da quella a Statuto ordinario che continua a volerle imitare, esprimono la quintessenza di quel ‘narcisismo’ auto isolazionista, che il Veneto vorrebbe scioccamente rincorrere con il miraggio dell’autonomia e, se potesse, qualcosa di più
(‘narcisismo’ di due regioni a Statuto Speciale relegate a pavoneggiarsi della loro effimera ricchezza autosufficiente, in angoli remoti di confine, senza alcun peso politico nel paese e neppure in quelli confinanti).
Già il Veneto isolato lo è proprio per l’alimentazione di questa cultura autonomista. La classe imprenditoriale veneta che sostiene il processo politico è affetta da miopia ed è un altro caso di debolezza. Esempio? La differenza abissale, tra Lombardia e Veneto, della partecipazione al voto ai referendum autonomisti di alcuni anni or sono. Plebiscitaria in quest’ultimo, modesta nell’altra, dove pure il Leghismo egemone è nato (è nato anche in Veneto, e forse prima, ma guarda caso è stato sempre a rimorchio dell’altro). E la ragione è di disarmante evidenza: la Lombardia conta di per sé, aiutata certo da un peso demografico maggiore, ma anche e soprattutto perché per peso economico è in grado di dettare l’agenda per sé e per l’Italia. E solo quando la Lombardia si fa prendere dall’eccesso di leghismo in politica istituzionale succedono pasticci, come è accaduto l’anno scorso con la sciagurata e velleitaria autogestione dell’emergenza Covid.
Domanda: ci sono le forze per un lungo cammino verso una fusione macro regionale delle tre regioni che acquisisca un autonomismo moderato e ragionevole e non estremo come quello ‘zaiano’, ma ben integrato in Italia e in Europa? La Fondazione Agnelli vent’anni e più fa ci provò nel progetto; per tutta Italia lo progettò in verità, per un bisogno nel suo insieme di poche forti macroregioni integrate. Friulani e Trentini si stracceranno le vesti al solo sentir parlare di fusione regionale nel Nordest, mentre avrebbero occasione di contare molto di più ‘insieme’ in tutti i contesti. Perfino la Confindustra, a dispetto di un imprenditoria data per troppo titubante, da qualche tempo sta progettando per sè una Confindustria Nordest.
L’altra grande assente è, lo si sa, la capitale regionale, non solo nominale e amministrativa, di cui ogni entità che vuol contare ha bisogno. E a tutte le scale per la verità, europee e planetarie per contare se ne ha bisogno..
Questa assenza è infatti la riproposizione regionale veneta e triveneta della stessa assenza a livello italiano. Si è mai riflettuto sull’assenza di una vera capitale metropolitana di peso, e non solo demografico, a livello di Italia, anch’essa a lungo autocompiaciuta del suo policentrsmo (la retorica, di Cattaniana memoria, delle ”cento città”), un’assenza come con-causa di debolezza, insieme, certo, a molte altre decisive? Solo la Germania, con storia policentrica simile all’Italia, ne ha potuto fare a meno, supportata tuttavia da una potenza socio-economica straordinaria e soprattutto omogenea da nord a sud senza disparità di sviluppo, due combinazioni in grado di supplire all’assenza secolare di centro (in tutta evidenza Berlino non lo è, persino geograficamente).
Venendo a noi, il declino di Venezia, il suo compiacimento isolazionista, ‘narcisista’ anche in questo caso, le ha impedito di ripensarsi metropoli, qual’era sempre stata, con un fronte forte anche in terra. Ha un bel dire, e forse ha anche in buona parte ragione, Federico Moro nell’articolo di questa pagina che la ‘marittimità’ è ancora e sempre il futuro. Esprime una ragione ma non è l’unica, perché la marittimità non è bastata e non basterà senza la costruzione di una polarità metropolitana forte di terra, perché il nordest è anche terra. Sia chiaro il suicidio isolazionista di Venezia non è datato alla fine della sua Repubblica, perché sotto l’Austria, sotto il Regno d’Italia e soprattutto nell’infausto ‘ventennio’ passi concreti per la costruzione metropolitana veneziana sono stati fatti, la direzione era tracciata e poi si è arrestata. Il basso profilo delle giunte di tutto il secondo dopoguerra, democristiane prima e di sinistra poi, non sono riuscite a resistere ad un’opinione pubblica passatista, elitaria quanto minoritaria che imponeva una Venezia solo isola. Solo le prime giunte veneziane anni ’90 e forse la successiva con Paolo Costa, ci hanno riprovato molto seriamente, anch’esse sommerse però in seguito da una montante cultura conservatrice in tutti i sensi. La recente perdita del primato regionale demografico dei residenti nel Comune a favore di Verona è l’icona di un definitivo ridimensionamento (solo quarant’anni fa Venezia comune superava Verona di ottantamila abitanti).
In ogni caso per quanto si possa invertire o raddrizzare la rotta, la presa d’atto dice che nel nordest tutto oggi manca drammaticamente la metropoli, manca il leader territoriale e questo è permanente fonte di debolezza, né la metropoli ormai la si può inventare come unica e forte con baricentro unico a Venezia, che ha tra l’altro un sacco di problemi, come si dice, a prescindere.
Mica era scontato che il leader dovesse essere in eterno e per forza Venezia (il treno per questo era già perso negli anni ’60), ma il fatto è che non c’è stata sostituzione con un altro polo forte di rango metropolitano. Si prenda perciò atto dello status quo geo territoriale e da questo si faccia resilienza, trovando nella debolezza una nuova forza. Gli altri poli forti del nordest sono paradossalmente troppo confinati sul perimetro macroregionale, Verona con la sua rilevante forza attuale ma legata al nord Italia tutto e al Centro Europa più che alla regione, e Trieste, forza storica e in notevole ri-crescita attorno, guarda caso, al porto, ma in un cul de sac geo politico amministrativo. Nel mezzo, nei 300 chilometri tra questi due poli urbani estremi ad ovest e ad est, una dissennata colata di cemento a macchia di leopardo, una vera e propria ‘lebbra’ intervallata dalla più intensiva delle agricolture monoculturali. Una ‘lebbra’ prevalentemente imputabile, sia chiaro, alle politiche pre-leghiste, ma ormai ineliminabile e, a parte possibili e auspicabili abbattimenti, solo razionalizzabile e integrabile in un radicale processo di riqualificazione (che comunque non è neanche lontanamente nella testa di chi governa le tre regioni oggi).
Nel panorama descritto resta infine il vero gigante dai piedi di argilla, vale a dire l’esagono centrale veneto, guarda caso il meno monocentrico, con al suo interno il più denso triangolo, i cui vertici son Venezia/Mestre, Padova e Treviso. Padova, che per molte cose ha d’inerzia acquisito parte della centralità veneziana, in questo contesto centro veneto e nella macroregione stessa, non è stata a parer mio in grado di rafforzare questa centralità definitivamente, nonostante avesse avuto più volte l’occasione per farlo, sostituendosi pienamente a Venezia; se ci fosse riuscita quantomeno il problema del leader sarebbe stato risolto.
Questa, articolata e complessa, è allora la presa d’atto.
Una presa d’atto che dovrebbe interrogare soprattutto l’ente regionale perché tale è la dimensione del fenomeno. Dagli enti regione, nel mio sogno unificati nel Nordest, andrebbe ridisegnata la gerarchia urbana di tutta la macroregione in quattro-cinque omogenee aree metropolitane, reali e integrate e non solo sulla carta col nome amministrativo. Di queste quattro cinque aree metropolitane una dovrebbe stare uno scalino appena sopra le altre per forza complessiva. Sarebbe ora, perché è a questa che penso nello scalino un pò più alto, che la PATREVE o la VENEPATRE, come la chiamano alcuni, la potenziale metropoli diffusa tra i tre poli storici, smettesse di essere solo un modellino virtuale, per essere, preceduta e accompagnata da un grande disegno strategico, strutturata effettivamente come metropoli pienamente ed efficientemente interconnessa, (mobilità, funzioni, produzioni, residenza, servizi). La resilienza all’eclisse di Venezia monocentrica è solo e soltanto questa, se si ha consapevolezza che serve come il pane una metropoli al vertice di una complessa gerarchia.
Metropoli pesante e leggera ad un tempo, PATREVE, grazie alla sua densità variabile che lascia spazi aperti. Metropoli che sia percepita effettivamente dagli abitanti, ridisegnata al suo interno attorno ai suoi numerosi e già presenti oggi punti di forza in tutti i settori e il cui elenco risparmio, perché molto noto. Punti di forza che, messi insieme in sinergia nel triangolo, già oggi, senza aggiungere nulla, non avrebbero competitori in regione, pochissimi, forse uno paio, in Italia e un numero abbastanza ristretto anche in Europa. Ripeto. La Nuova Regione Nordest, ma può cominciare anche il solo Veneto, anziché vedersi esautorata da questo progetto e temerlo, dovrebbe cavalcarlo in prima persona come sua emanazione, governare il processo; né gli altri poli forti regionali citati dovrebbero temerlo; perché, rafforzati metropolitanamente anche loro, collocati sui confini potrebbero essere, come in parte già sono e fanno, lo sportello dialogante con l’esterno, Lombardia ed Emilia da una parte e mondo balcanico dall’altra, e hai detto niente.
Sogni anche questi? Forse, ma, immodestamente posso dire che con sogni del genere in molti casi si è fatto concretamente il progresso umano.
Certo che se la Regione attuale cincischia con la questione dell’autonomia e, in presenza di un potenziale arretramento del sistema produttivo, punta come sembra sempre più sul turismo, applicando alla Regione (e a ruota Trentino e Friuli) il discutibile monoculturale modello Venezia, a parer mio sbaglia rotta, va dalla parte opposta: nella direzione dell’unico fenomeno economico di vera dipendenza e subordinazione, un fenomeno di colonizzazione dall’esterno, che trasforma progressivamente il territorio in un parco a tema (Il centro storico di Venezia lo è già) ad uso di gente che vive e produce altrove, e mantiene serenamente altrove i centri di comando. Del resto, non vivono di solo turismo e bene anche le Maldive e le Seychelles? O, aumentando di scala, Santo Domingo, tutti stati che hanno certo incrementato di molto il loro PIL, persino uscendo dal sottosviluppo, ma continuando a contare nel pianeta meno del due di picche, essendo diventate o rimaste le colonie per l’intervallo di “ricreazione” delle metropoli?
Ma questo stiamo vedendo, con un attivismo compulsivo e parossistico della Regione Veneto che porta all’estensione ovunque del marchio “the land of Venice”. Una trovata questa che unisce una scoperta astuzia da scatolettisti da strada alle prime armi – pur con un casuale nocciolo di verità storica nel nome – al provincialismo da colonizzati dell’uso della lingua dominante, usata a profusione soprattutto nelle periferie del pianeta; a imitazione in questo caso neanche troppo fantasiosa dei bar veneziani, che ormai hanno abolito da tempo l’italiano per promuovere spritz, Prosecco e cicchetti, con lo scrivere la frase ‘civetta’, sulla lavagnetta o sul rozzo cartone appesi all’esterno, solo con la lingua inglese. A questo punto di prostituzione siamo? Non so dire, ma la direzione preoccupante mi pare questa.
Bisogna far ragionare gli abitanti del Nordest, perché non avere fiducia in loro sarebbe indice di inutile snobismo. Va intavolato un discorso critico, anche duramente critico, sulla parte politica che ancora una volta, e sempre di più, hanno scelto per farsi rappresentare. Ma un discorso critico che non butti via bambino e acqua sporca. Infatti comunque la Lega veneta e nordestina in genere, che non è, va riconosciuto, la Lega nazionale con le sue espressioni più becere, ha governato da trent’anni ormai centinaia di comuni piccoli e grandi; e lo ha fatto da molto più tempo di quanto abbia governato Zaia il Veneto e il suo pari grado il Friuli, formando bene o male un ceto politico. Con il solo evidente limite di tale ceto, e non è poco, di un’esperienza meramente localistica, non in grado di proporsi nazionalmente e continentalmente, avendo nel DNA quell’isolazionismo di cui si è ampiamente detto, plastica rappresentazione del ‘narcisismo’ autocompiaciuto dei suoi abitanti. E va perciò ugualmente chiarito che se si vuole dare una scossa alla politica di governo di queste terre in una direzione che voli ben più in alto (Regione del Nordest e riorganizzazione gerarchica metropolitana), con loro e non contro di loro bisogna intraprendere il cammino.
Si tratta di battere il chiodo del cambiamento di paradigma: dalla chiusura in se stessi all’apertura, dal piccolo al molto più vasto e più forte, per attrezzarsi alle sfide globali. Nelle quali, se non sei attrezzato, sei massacrato, o, peggio, relegato dall’indifferenza nel retrobottega. Non c’è bisogno del sovranismo patriottico riproposto in questi giorni a livello nazionale (da cui per fortuna una parte della Lega ha preso le distanze), ma semmai di orgoglio patriottico, in questo caso, dell’intero Nordest, nella competizione globale.
E la competizione, come sempre, è utile ai competitori e nessuno ne esce mai sconfitto, perché eleva il tasso complessivo. Ma devi avere gli attributi giusti.