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8 Settembre 2019L’Europa alle prese con il tortismo
17 Settembre 2019Una delle fasi più convulse, più contraddittorie, più approssimative della vita politica italiana è andata in onda dal 8 Agosto e si è “conclusa” con la fiducia Camera/Senato di un mese dopo.
I trenta giorni che sconvolsero il Mondo!
Quando il 9 Agosto con Carlo Rubini – che dirige questa testata – e un altro paio di amici, come ogni estate abbiamo cominciato a camminare per i sentieri dolomitici – quest’anno Carlo aveva deciso per la Forno di Zoldo (880slm) Rifugio Pramperet (1.860 slm) – si ragionava tra uno sbuffo e un rifiato, di quelle che sarebbero state le conseguenze delle esternazioni salviniane che, passando da una spiaggia adriatica all’altra, avevano portato alla richiesta di pieni poteri, di convocazione urgente delle Camere, di elezioni anticipate e così via.
“Ci vorrebbe un’alleanza come fosse un CNL” è stata la più intrigante. A cui ha fatto seguito “il quadro politico si rimetterà in moto con un’accelerazione al momento imprevedibile”.
Davvero imprevedibile tutto quello che ha fatto seguito ai pronunciamenti “deliranti” del Dittatore dello stato libero di Papeete.
Non rifacciamo la cronaca perché non sono mancate maratone televisive, talk show, editoriali, cronache giornalistiche, con i retroscenisti più scatenati che mai.
E sui prodromi abbiamo già scritto “a lavori in corso”:
http://www.luminosigiorni.it/2019/08/questa-sera-si-recita-a-soggetto/
Il punto di caduta è stato che alla fine ha prevalso la logica parlamentare supportata dalla Costituzione e governata dal Presidente della Repubblica.
Il risultato è questo Governo fra M5S e PD che nessuno, nemmeno i più fervidi sostenitori di questa prospettiva – che si erano espressi in tal senso dopo l’esito elettorale del 4/3/2018 – alla luce degli sviluppi successivi, avrebbe potuto preconizzare.
Perché le parole, le dichiarazioni e gli atti parlamentari avevano segnato nel frattempo pesantemente le rispettive posizioni.
Perché c’era una storia pregressa di insulti, sbeffeggiamenti, improperi che nemmeno nelle più volgari baruffe nei bassi napoletani, avrebbero trovato riscontro.
Perché c’erano reciproci giuramenti pubblici dei vari esponenti di primo e primissimo piano, mica solo i peones, che “mai e poi mai con quelli”.
Sì vabbè che la stessa cosa si poteva dire di quella specie di abortito “contratto di governo” che era nato da un accordicchio che non aveva basi valoriali, identitarie e programmaticamente comuni. E che era stato preceduto da un clima altrettanto violentemente antagonista.
Ma davvero dopo 14 mesi di quella alleanza giallo-verde, che aveva attuato comunque alcune delle misure promesse in campagna elettorale – senza tener conto dei vincoli di bilancio, senza tener conto dei limiti costituzionali, senza tener conto dei dettati internazionali – in pieno delirio sovranista, rancoroso, violentemente xenofobo, razzista e disumano, anti europeista, con tutta la produzione delle varie piattaforme social piegate a riscontrare i proclami e le dirette autoreferenziali del Capitone e del Bibitaro, sembrava possibile che accadesse quello che poi è successo?
Se ci aggiungiamo i sondaggisti che accreditavano un rovesciamento speculare di consensi fra i due partner di governo, era difficile prevedere che il Mondo politico italiano si rovesciasse in un batti baleno.
E invece.
Così adesso siamo di fronte a una cosa per la quale il meglio che si può dire è “io speriamo che me la cavo”.
Al netto di tutte le accuse di trasformismo, spesso esagerate – esiste una storiografia di trasformismi con nobili finalità politiche che vanno ben al di là dei quello individuale pro domo propria – quelle di incoerenza per la quale persino il buon Carlo Calenda ha deciso di fare una strada per conto suo, di impreparazione personale a rivestire ruoli di grande responsabilità, di pressapochismo programmatico, siamo di fronte ad un Governo che deve necessariamente passare dall’essere “contro (Salvini)” a essere “per l’Italia”.
Se vuole darsi una prospettiva e il traguardo del 2022.
Con la morsa di una situazione economica recessiva, con i vincoli di una situazione finanziaria periclitante in virtù di una gestione irresponsabile di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi 30-40 anni, in assenza di fattori di crescita strutturale che mancano dallo scenario economico nazionale da più di 10 anni.
Con il rischio evidente – non avendo avuto il tempo di fissare le basi comuni di un’azione di governo non di corto respiro – di cominciare a litigare da subito e di accorciare la vita di questo governo quanto basta per rendere inefficace lo sforzo di bloccare il Capitone.
Perché dobbiamo dirla tutta: il rischio che abbiamo corso, ma che correremmo se le due maggiori forze politiche che concorrono a questo Governo non riuscissero a trovare un terreno di convivenza e di prospettiva, è che l’onda montante ispirata da Salvini e da quell’altro bell’arnese sfascista della Meloni, riprenda ad impadronirsi della scena politica e che l’esito di eventuali elezioni nella prossima primavera mettano in pericolo alcuni capisaldi per i quali è stato ritenuto indispensabile arrivare alla situazione attuale.
Una sostanziale uscita dall’Europa, un allineamento alla politica putiniana, un isolamento dall’Occidente, una chiusura nei propri confini asfittici, era la prospettiva concreta che si sarebbe determinata con una vittoria, preconizzata dai più, del fronte nazional-sovranista.
E che questo fosse il reale pericolo, al di là dell’invocata, spesso inutilmente, deriva fascistoide – si tratta molto più seriamente di una cultura montante basata sui disvalori, sull’odio, sul rifiuto del diverso, sull’intolleranza, sulla paura indotta e sulle contrapposizioni violente instillate a man bassa – è stato percepito da tutte le cancellerie europee.
In qualche modo anche dalla Casa Bianca, con la quale il Nostro tendeva a cercare una sponda, il che è tutto dire: “Giuseppi (sic!) Conte, uomo di grande talento, spero rimanga Primo Ministro”, l’endorsement trumpiano a dispetto dello standing nazional-sovranista versante USA.
Tant’è che si è costruito “un cordone sanitario” fra tutti i Paesi che contano per isolare Salvini, che altrimenti, qualora fosse andato al governo, dopo le tanto invocate elezioni, avrebbe potuto essere il cavallo di Troia di quel fronte sovranista che ha mietuto comunque consensi nei diversi Paesi della UE, pur senza prevalere, per sconvolgere definitivamente gli assetti europei.
Questo il vero e reale pericolo contro il quale si è schierata la maggioranza parlamentare italiana che ha visto in Conte ”avvocato del popolo” il miglior rappresentante che potesse garantire quel sentire transnazionale. Nonostante le evidenti clamorose contraddizioni dei suoi comportamenti.
Era necessario aiutare, in qualche modo, la nascita di questo governo. Sapendo quali erano tutti i rischi, le molte perplessità, i profondi dubbi.
Tant’è vero che la discussione oggi – riportando le cose in casa nostra – è tutta imperniata sulla possibilità che questa alleanza ce la faccia nonostante la contrapposizione della propaganda salvinian-meloniana tutta incentrata ancora sulla violenza verbale e sulle fanfaronate, con Salvini che incarna, alla massima potenza, tutto il peggio della politica di ieri, di oggi e di domani: la doppia morale (concedo a me stesso ciò che imputo agli altri), l’arroganza, la presunzione, il malanimo, la demagogia, la falsificazione come regola sistematica.
Il distinguo dunque è fra coloro che dicono che “Parigi val bene una messa” e tutti gli altri, e sono tanti, che non sono disposti a scommettere nemmeno un centesimo sulla riuscita dell’esperimento nato in provetta. E che ritengono e ritenevano che fosse meglio comunque andare al confronto elettorale a viso aperto fra un fronte “europeista” e quello sovranista.
Rischio altrettanto alto e altrettanto indefinito nelle sue premesse ma soprattutto nelle sue conseguenze.
Con il contorno di quelli che si riposizionano, di quelli che rivedono le logiche dell’agire politico, di quelli che si richiamano al principio della coerenza politica come valore assoluto, di quelli che “il trasformismo malattia endemica dell’Italia”, di quelli che rinfacciano i #senza di me o #maicolpd.
Rimane il fatto che quella lunga traversata del deserto che avevamo prevista, dopo le elezioni politiche del 2018, per la quale sarebbe stato necessario cercare di approvvigionarci di un po’ d’acqua per sopravvivere, non pensavamo potesse trovare così presto un’oasi per riempire le borracce.
Perché le oasi sono stazioni di sosta sulle strade carovaniere che hanno tutte uno sbocco verso il mare.
E se non si raggiunge la sponda si può morire.
Fuor di metafora, il quadro politico, gli obiettivi, i valori, le alleanze sono destinati a modificarsi con grande rapidità e con grande intensità.
Nel mare sempre più aperto di una società liquida, ma iperconnessa, di una comunicazione superveloce e pervasiva, di una globalizzazione economica e finanziaria determinante non c’è troppo tempo a disposizione per filosofeggiare.