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2 Ottobre 2025Occidente, cosa vuol dire? Non mancasse la confusione sotto il cielo, gli umani ci mettono del loro per aumentarla coniando o attualizzando slogan e definizioni tanto immediate ed evidenti nella comunicazione quanto intrinsecamente e pericolosamente ambigue e fuorvianti. Succede questo oggi alla categoria terminologica di “Occidente”.
Tornata prepotentemente alla ribalta, usatissima dai media, ma anche dalle conversazioni comuni. Dico tornata, perché fino ad alcuni anni fa, pur esistendo da secoli e millenni, per lo più in senso culturale, molto meno in senso politico ed economico, come categoria se ne stava sonnacchiosa in un angolo. Utilizzata innocentemente di tanto in tanto per definire soprattutto un’eredità culturale storica più che un’attualità. Alla mia generazione richiamava poco più che la Grecia classica, Pericle e i grandi filosofi dell’epoca. Oggi invece è diventata un’arma semantica in più per esasperare le contrapposizioni ideologiche e le radicalizzazioni dei conflitti. Era già accaduto nel secolo scorso, a fiammate Occidente aveva conosciuto riemersioni, era il famoso “Primo mondo”, chiaramente classificato in chiave solo economica e poi ricaduto nel dimenticatoio. La prepotente riemersione attuale costituisce però una prima volta a livello, per così dire, di massa. Occidente è appreso ormai correntemente anche dalla famosa casalinga di Voghera. A conferma del suo svilimento, con tutto il rispetto per le casalinghe.
Non ripercorro l’origine e lo sviluppo articolato del termine, se non per sottolineare che, come è accaduto spesso anche per altri casi, una dimensione spaziale e, di fatto, geografica, come in questo caso un punto cardinale, diventa metaforica ed autonoma da come è nata. La genesi, a tutti nota, l’ho già detto, l’unica un tempo utilizzata, sta nella cultura greca, forse anche micenea. Cultura di allora con tutti i suoi caratteri distintivi, che ad un certo punto si auto percepisce diversa, originale e, con motivata presunzione, migliore delle culture e delle società che si localizzavano immediatamente ad est del Mare Egeo. A cominciare, senza andar lontani, dalle coste dell’Asia Minore (la costa turca attuale, per intenderci). Oltre le quali si estendevano in modo indefinito popoli con culture e costumi e soprattutto prassi politiche diverse. I Persiani, per esempio, con il loro dispotismo “orientale” e la conseguente aggressività militare, respinta fieramente dai Greci. L’origine spaziale e geografica è perciò del tutto giustificata. L’origine.
Da lì il cammino del termine è stato lungo, tortuoso, geograficamente oscillante e oggi con la sua ambiguità, come ho già detto, fonte di equivoci a ripetizione, anche nei casi in cui chi lo esprime ritiene di aver a che fare con un termine chiarissimo e definito.
Per questo inviterei il lettore a non cadere nella trappola in cui sono caduto anch’io quando in breve tempo, di slancio, di fronte alle guerre in corso, quelle sotto i riflettori oggi, non quelle dimenticate, Occidente è ricomparso come arma in più per definire il sempiterno rapporto amico-nemico. Rapporto concreto e non solo simbolico. Non ho difficoltà ad ammettere che anche per me è sorto un moto spontaneo di stupido orgoglio occidentale, quando, più ancora di Putin, il suo eterno secondo, Medvedev, ha detto chiaramente che la loro guerra ucraina voleva avere come obiettivo l’Occidente da abbattere in tutti i sensi. Anch’io caduto nella trappola. Loro avevano in un amen riesumato il termine.
Accorgiamoci però velocemente, come a posteriori mi sono poi accorto, che è una trappola semantica e che fa parte della tendenza alla conflittualità che appartiene all’umanità e che si radicalizza continuamente in aut aut e in terminologie usate per dividere.
Numerosi sono tutti i casi del suo utilizzo che immediatamente si presentano come intrinsecamente paradossali e smascherano la categoria, riducendola a semplice arma propagandistica.
Le antinomie e i paradossi emergono in maniera piuttosto semplice se si esercita il combinato disposto di intersecare tra di loro i significati più comuni a cui si rimanda implicitamente con Occidente. Oltre la già citata cultura greca (e poi romana) delle origini, in cui un cardine filosofico è la razionalità, ripresa poi secoli dopo, e oltre in generale la derivata cultura europea contemporanea, supponendola omogenea, Occidente si estende a molte e variegate gamme semantiche. Dalla moderna economia di mercato (i detrattori lo chiamano capitalismo), ai sistemi di rappresentanza liberal democratici, dallo stato di diritto alla linea nel tempo del progresso tecnologico, ma anche sociale e scientifico. E, ancora, contiene e mette insieme nel frullatore il livello medio alto del reddito pro capite con la diffusione del Cristianesimo del passato e del presente; diviso nelle diverse confessioni, alcune modernizzanti, altre tradizionaliste e molto meno modernizzanti, l’eredità storica del colonialismo e dell’antisovietismo con l’Unione Europea attuale; l’Alleanza militare atlantica con la cosiddetta civiltà dei consumi, l’eredità della rivoluzione industriale con il presente della rivoluzione informatica. L’eredità della rivoluzione razionalistica e dell’illuminismo con il romanticismo e il positivismo. E tra di loro tutte le forme sociali della cosiddetta modernizzazione. Il Nazionalismo stesso farebbe parte del passato e del presente dell’Occidente. E via così.
Si presume allora che un territorio, un popolo, una nazione, uno stato, per essere definito occidentale debba perciò contenere istantaneamente tutte, ma proprio tutte le peculiarità confusamente ricordate, specie quelle ancora attuali, che a loro volta sono frutto di narrazioni di cui ci si autoconvince attraverso il bombardamento mass mediatico.
Se ciò è vero allora il termine come si attaglia, per esempio, ad alcuni stati asiatici e soprattutto al Giappone (invece assimilatissimo all’Occidente, dimenticandoci degli storici “orientali” Persiani, ben più vicini all’Europa di quell’arcipelago pacifico)? Come si attaglia ad un paese shintoista e con il culto dell’imperatore ancora in vigore nella ritualità? Ma anche come si attaglia Occidente alla cattolicissima Bolivia (cattolicissima sì, ma inassimilabile per il livello economico della sua economia), o alla scarsamente liberal democratica Turchia (assimilata invece all’Occidente in quanto membro NATO), o all’europea Ungheria con il suo vacillante Stato di Diritto? Per autoesclusione dell’interessata il termine non può riferirsi a chi lo usa per antitesi, cioè alla Russia (la cui cultura invece, semmai, questa sì, potrebbe anche dirsi occidentale, quantomeno da Pietro il Grande in avanti e in qualche misura per l’eredità romano bizantina, ma le manca tutto il resto). Per paradosso Occidente oggi tende ad attagliarsi con difficoltà agli stessi Stati Uniti, presunti leader occidentali, anch’essi con un’involuzione democratica pesante. E con altrettanta difficoltà attagliarsi ad un Israele le cui criminose azioni militari del presente parlano da sole e che comunque è bloccato culturalmente da una politica interna in mano all’ortodossia religiosa; che, per esempio, ha fatto vietare al sabato la circolazione integrale dei mezzi pubblici, oltre ad esercitare un accurato lavaggio del cervello sui banchi di scuola sulla grandezza e la superiorità di Israele e dell’ebraismo nel mondo. La verifica dell’istantaneità di tutti i significati ricordati porta a concludere che Il termine si attaglia allora con difficoltà a gran parte degli stati presumibilmente occidentali. Anzi, si può dire che, facendo bene gli accostamenti, nessuno lo è pienamente. Con una dichiarata e voluta forzatura, non essendo un “fatto”, nell’estensione con cui lo si intende, si può dire che “L’Occidente non esiste”, per parafrasare il titolo di una bella canzone d’autore del decennio scorso. È una provocazione, me ne rendo conto, ma per invitare ad una riflessione più accurata.
Sarebbe invece più onesto e pragmatico nello stesso tempo ridimensionare questa evanescente categoria del vocabolario dialettico e attenersi a ciò che esiste realmente e concretamente. Per contrapposizione cito tre ‘cose’ esistenti, dei “fatti”.
L’Unione Europea esiste, debole quanto si vuole, ma esiste e non è l’Occidente, per quanto ne porti sicuramente l’imprinting delle origini. È l’Unione Europea, questo è il nome di un’istituzione riconosciuta che rappresenta il “fatto”. Fa parte di un’alleanza militare non solo europea, che tuttavia prefigura per il futuro un assetto militare difensivo autonomo. Esiste anche questa. Universalmente nota come NATO. Piaccia o no, esiste. Un altro “fatto”.
Esistono nell’Unione Europea un insieme di Stati fondati, con parole scritte, sullo Stato di Diritto in quanto garante delle libertà e di un certo misurato grado di uguaglianza. Lasciamo perdere le contraddizioni che genera un maldestro, a volte pessimo, uso delle libertà ‘garantite’ negli stati dell’Unione Europea, ma non si può fare la frittata senza rompere le uova e ci sono i prezzi da pagare per le conquiste ottenute. Lo Stato di Diritto di partenza nell’Unione Europea bene o male esiste, non è un’invenzione semantica, è una delle regole d’ingaggio. È il terzo “fatto”.
Ho già detto che la categoria ‘Occidente’ è stata riesumata dagli antioccidentali attuali, con la Russia in prima linea, per armare uno scontro non solo militare ma anche e soprattutto ideologico. E quando loro dicono Occidente da colpire, l’obiettivo concreto è in realtà proprio lo Stato di Diritto e l’Unione Europea, che ne è legittimo domicilio, ben più degli USA. La NATO da colpire è un diversivo, o, meglio, l’obiettivo concreto corazzato che cela il vero obiettivo, la democrazia intesa come Stato di Diritto. Perché ne temono il contagio, fondandosi su culture illiberali e autoritarie, che invece vorrebbero espandere e propagandare, per giustificarsi e darsi una ragione. Poi, va da sé, a ruota c’è anche la competizione economica, ma si percepisce la priorità della guerra ideologica, visto che la globalizzazione non concede troppe divisioni e distinguo, money is money.
L’Unione Europea, e non l’evanescente Occidente, dovrebbe perciò, difendersi non solo con le armi, in qualche estrema occasione purtroppo difensivamente necessarie, ma anche contrattaccare senz’armi. E, per non esporsi alle critiche sulle potenziali e fattuali debolezze della sua cultura politica e sociale, che fanno il gioco di chi l’avversa, dovrebbe contrattaccare, attraverso gli stati membri, con il rafforzamento della credibilità nelle applicazioni dello Stato di Diritto; di cui non sempre tali stati sono detentori meritatamente. E che non si limita a tutelare le libertà individuali, fondamenti necessari ma non sufficienti. Rafforzamento della credibilità nelle politiche in cui i diritti e i doveri giocano un ruolo chiave, nell’accoglienza, nell’inclusione, nell’impedire le disparità sociali, garantendo per tutti i cittadini la dignità basica materiale e morale del vivere. E nella promozione di una cultura più adulta, meno esasperatamente individualista e infantilmente edonista, le più evidenti tra le incoerenze europee. Che quindi, si è già detto, non mancano. Ma chi non le ha? Bisogna però vedere in che misura.