Patriottismo costituzionale vs populismi
23 Dicembre 2015Meticciato prossimo venturo
23 Dicembre 2015Ma ditemi voi….C’è chi si scandalizza perché alla Leopolda non c’erano le bandiere del PD nel mentre rimane silente di fronte alla (buffa?) coincidenza che proprio giusto giusto in contemporanea con la kermesse fiorentina, e per il secondo anno consecutivo, vi fosse una parte (quale? La solita suvvia) del partito impegnata in quella che negli anni passati (sessanta? serranta?) si sarebbe chiamata una contromanifestazione…. Ed il bello è che gli scandalizzati, scandalizzandosi, scandalizzano più per la loro sicumera che per il perché sono scandalizzati. Intendiamoci: se fosse una iniziativa del PD, una festa de l’Unita’ in salsa toscana, sarebbe parso logico che alla Leopolda le bandiere ci fossero. Ma poiché quella stazione ferroviaria dismessa è tutto fuorché una assemblea di partito ovvio che di bandiere manco l’ombra. Ma lo scandalo è che si scandalizzano proprio coloro che non hanno capito quanto importante sia la Leopolda. Anzi: coloro che non hanno capito che (paradosso!) la Leopolda È’ il PD, che quello spirito è esattamente ciò che dovrebbe essere lo spirito del partito. Cosa è quella tre giorni se non luogo in cui persone, talune totalmente prive di appartenenza ideologica, talune diversamente ideologiche, si incontrano, si ascoltano, si confrontano? Ma quando mai avete visto ministri, sottosegretari sedersi attorno ad tavolo stretti, stretti a gente comune? Anche questo è nuovo abituati come eravamo a platee congressuali anche fisicamente tenute lontane da palchi che si ergevano inarrivabili e dove sovrabbondavano ras, capi corrente, padroni di tessere che spesso solo in virtù di questo potere giungevano ai massimi vertici dello Stato. La Leopolda è il luogo dove (finalmente!) un partito cessa la propria autoreferenzialita’ e fa una cosa difficilissima per la politica di oggi (e di ieri) ascoltare. E ha ragione Renzi a dire che è alla Leopolda che si deve il suo programma; che è alla Leopolda che si deve l’affermarsi di una nuova classe dirigente; che è alla Leopolda che si deve l’immagine di un partito finalmente nuovo e coraggioso; che, in ultima analisi, è alla Leopolda che dobbiamo…Renzi. Insomma: quel luogo è l’immagine emblematica del partito a trazione renziana. Di un partito che supera i tradizionali confini per allargare il proprio (potenziale) consenso ad aree ad esso anche elettoralmente lontane. D’altra parte cosa era la vocazione maggioritaria del,PD se non l’anelito di un soggetto,politico che avrebbe dovuto capire che oramai l’elettorato è mobile, ondivago? Un elettorato da conquistarsi voto per voto mostrandosi nuovo non solo generazionalmente ma anche nei contenuti, nei metodi e nei modi in cui esplica la propria azione. È per questo che la Leopolda non può essere sminuita, bollata come una cosa altra dal PD.. Perche essa è profondamente, intimamente cosa del PD. Quanti lo pensano, sono semplicemente fuori dalla storia. Abituati a caminetti, cenacoli, incontri ristretti pensano che il partito sia altro; pensano che per il partito conti più piazzare una bandierina fatta di orgoglio, di appartenenze ideologiche (l’onanismo mentale di una certa sinistra nell’intimo quasi più contenta di una vittoria grillina piuttosto di quella del PD) piuttosto che allargare i propri consensi. La Leopolda (e le Leopolde che, l’anno prossimo, riempiranno l’Italia) può trasformare il PD da una casa chiusa ad una aperta.Aperta ad un elettorato fino a poco tempo fa indistintamente chiamato moderato e di centro ma che, giustamente, il direttore Carlo Rubini definiva, in questo stesso spazio, un “vasto corpo elettorale” che – proprio anche grazie alla Leopolda – possa avere l’impressione (la certezza vorrei dire) che quello guidato da Renzi sia “il partito che interpreta e garantisce più e meglio di altri tutto l’insieme dei valori democratici”. Si noti: l’insieme dei valori democratici. Cioè di un qualcosa che va ben al di là dello schematismo semplicistico destrasinistra. Non si scandalizzi nessuno di ciò. Soprattutto coloro i quali osannavano la vocazione maggioritaria del neonato PD. Perché il combinato disposto (promesso: prima e ultima volta che uso tale locuzione) tra tale vocazione e l’Italicum non può che essere quello di un partito egemone e la cui egemonia non è rappresentata da una accozzaglia di transfughi o di candidati in cerca di nuovi accasamenti quanto piuttosto un partito in cui ad essere egemoni siano i contenuti. Il che non è poi molto diverso da quel che accade tra democratici e repubblicani statunitensi dove i confini tra gli uni e gli altri sono molto più labili di quel che si possa pensare. Ma da questo discende un altro aspetto. Molto più locale (col rischio che diventi anche localistico però). Un partito così pensato non può sprecare l’occasione di costruire dei congressi a sua immagine e somiglianza. A partire da quello, ormai prossimo, di Venezia. Non può essere un congresso dove pesino le tessere, le appartenenze alle lobby o alle correnti. Deve necessariamente essere un congresso aperto e per certi aspetti rivoluzionario, un cambiare verso radicale. Quello metropolitano dovrebbe essere un congresso che letteralmente stravolga la proposta programmatica per Venezia e per l’area metropolitana rispetto a quello che ha condotto il PD ad una bruciante sconfitta. Quello, piaccia o meno, era un programma basato su molti no, qualche ni e pochissimi si peraltro non di interesse generale. A cui (ma è stato scritto millanta volte) va aggiunto il peso oggettivamente sovrastimato del candidato sindaco. Ciò che attende il PD metropolitano potrebbe essere una sfida affascinante: presentare, discutere, confrontare le piattaforme programmatiche non in uno spazio ristretto, chiuso, accessibile solo agli iscritti (magari con la tessera fatta per l’occasione) ma in dieci, cento, mille (esageriamo dai) assemblee metropolitane dove chiunque abbia dignità di ascolto e di proposta. Indipendentemente da chi o cosa abbia votato (perché il voto è mutevole). Più tavoli e tavolini, meno palchi insomma. Poi al momento delle primarie per la scelta degli organismi dirigenti si potranno fissare regole per evitare che il loro risultato sia in qualche modo inquinato. Brugnaro ha vinto le elezioni certamente approfittando del suo essere inconfondibile rispetto alle precedenti amministrazioni ma anche in virtù del suo parlare con lo stesso vocabolario della casalinga (e mi scusino tutte le casalinghe del mondo). Un vocabolario fatto anche di contenuti che solo i soliti e paludati intellettualoidi vagamente sinistrorsi potevano giudicare (e hanno giudicato) provinciale e poco incisivo. Che non fosse provinciale e poco incisivo quello lo abbiamo visto al ballottaggio. Aspettiamo il congresso del 2020 (o quando sarà) per capirlo