La Seconda Guerra Fredda di Federico Rampini
14 Febbraio 2020Europa, due passi avanti e due indietro
18 Febbraio 2020Particolarmente triste, quest’anno, la Giornata del Ricordo dedicata ai poveri nostri concittadini finiti nelle foibe del Carso. Per le strumentalizzazioni consuete e per le polemiche feroci (quest’anno più del solito), culminate con l’abbandono della cerimonia commemorativa alla foiba di Basovizza da parte della delegazione dem, scelta francamente incomprensibile. Cerchiamo di fare un po’ d’ordine, anche a costo di scrivere cose scomode. Ci sono due livelli di approccio, quello politico, specifico del nostro Paese e uno più generale, di carattere storicistico e di principio.
Quello specifico: la Seconda Guerra Mondiale ha seminato tragedie. Dopo l’8 Settembre l’Italia si è trovata contemporaneamente occupata da un esercito straniero feroce e divisa da una guerra civile. I molti civili vittime dei nazisti e dei fascisti in quei mesi tremendi sono stati giustamente pianti e onorati e sono entrati nel Pantheon della narrazione eroica della Resistenza. Sono i morti di chi ha vinto; e chi vince scrive la Storia, da quando esiste la Storia. Da cui decenni di celebrazioni in cui si è alimentato un epos della Resistenza se si vuole anche (comprensibilmente) sovradimensionato rispetto al concreto apporto ‘tecnico militare’ alla liberazione – un visitatore esterno ignaro venendo in Italia avrebbe dedotto senza meno che ci siamo liberati da soli, senza l’intervento degli Alleati. E poiché alla Resistenza i comunisti hanno dato meritoriamente un contributo decisivo si è imposta una narrazione in cui l’impegnativa e dirimente parola democrazia è stata sostituita da un più ecumenico antifascismo (per comprendere i comunisti, che proprio democratici democratici non erano) e dove appunto i morti scomodi, quelli non catalogabili come vittime del fascismo, sono stati sostanzialmente dimenticati. Per esempio si è dovuto attendere il 2003 (Giampaolo Pansa, “Il sangue dei vinti”) per leggere in modo organico ed esaustivo della resa dei conti dei partigiani sui fascisti rimasti del dopoguerra. Avevano avuto il carnefice sbagliato (i comunisti titini) pure i dalmato-istriani, pubblicamente e istituzionalmente dimenticati per decenni finché nel 2004 è stata loro dedicata la Giornata del Ricordo. Vittime di una pulizia etnica efficace e feroce, la ferocia in questi casi essendo anche uno strumento di efficacia perché tanto più orrenda è la fine dei tuoi compagni di sventura, tanto più velocemente fili via con le tue gambe senza che debbano fare la fatica di ammazzarti. Il silenzio sugli istriani ebbe a dir la verità anche altre cause inconfessabili (leggasi su questa testata l’ottimo Federico Moro http://www.luminosigiorni.it/2018/02/foibe-tragedia-dimenticata) ma certo il carnefice sbagliato fu una di queste.
Poi, passati decenni, estinti o quasi i comunisti DOC, i partigiani veri (quelli cioè che avevano combattuto sul campo) per forza di cose sempre meno, sono emerse anche le pagine meno gloriose. Tutto bene dunque? Manco per sogno, come in un tragico pendolo si è ecceduto in senso opposto e si è tentato strumentalmente di utilizzare la doverosa pietà per tutti i morti, e massime per tutti i morti civili, per una rivisitazione della Storia, per mettere le due parti sullo stesso piano. Attenzione: non parliamo certo dei decerebrati che inneggiano al nazifascismo (la madre dei quali è sempre incinta) ma di un mondo composito – nostalgici del Ventennio, anticomunisti duri e puri o anche solo moderati stanchi di una certa retorica percepita come stucchevole. Un mondo desideroso di alimentare e assecondare un atteggiamento di understatement, la voglia strisciante, talvolta addirittura inconsapevole, di derubricare ad acqua passata, a categorie superate quelle tragiche vicende dimenticando che, sul piano morale, dopo l’8 Settembre c’era una parte giusta e una parte sbagliata da cui stare. Ma proprio come un pendolo che non trova equilibrio, a questa reazione si è opposta una controreazione e i martiri ancora una volta sono rimasti ostaggio di uno scontro di fazioni. Naturalmente, e ipocritamente, tutti senza eccezioni premettono che resta fermo il rispetto e la pietà umana per tutte le vittime ma … subito dopo, facendo strame di quanto in premessa, via con cannonate ad alzo zero. Tristemente esemplare, in questo esercizio, la presa di posizione di Vauro “per il modo in cui è stato istituito il Giorno del Ricordo diventa un volgare e trucido strumento di propaganda sovranista e neofascista. Salvini parla di vittime del comunismo? Ed io trovo ripugnante l’uso strumentale di questa ricorrenza“. Ma si può?..
Ha purtroppo ragione da vendere Moni Ovadia che in un recente articolo sul Manifesto scrive “l’Italia è un Paese ammorbato da molteplici retoriche, da un tasso patologico di falsa coscienza e per converso da un livello bassissimo di onestà intellettuale e di senso della memoria”.
Ma c’è un secondo livello, più intrigante, suscitato dal citato intervento di Moni Ovadia, che merita qualche considerazione. È quello che nasce dall’esigenza di capire; uso le stesse parole dell’eclettico intellettuale “il compito che sarebbe spettato alle generazioni successive e anche alla nostra sarebbe quello di capire. Quale è l’origine violenta che ha causato le foibe?”.
“Capire”.. appunto. Qui la materia si fa scivolosa perché se dal punto di vista storiografico capire le cause e il contesto degli avvenimenti è una necessità imprescindibile, il rischio dietro l’angolo è che il capire sia, magari inconsapevolmente, un modo di distinguere, di pesare i misfatti, addirittura di giustificarli. Nella fattispecie delle foibe, Moni Ovadia commette esattamente questo errore, a mio parere. In sostanza, questa la tesi dell’artista, poiché la tragedia delle foibe è stata preceduta dagli inenarrabili crimini dei nazisti, degli ustascia di Ante Pavelic (e pure dei fascisti italiani) a danno degli jugoslavi, questa non deve essere catalogata come un atto di pura crudeltà ma (e qui mi prendo la responsabilità di interpretare ciò che lascia implicito) fu in qualche modo necessitata da quanto precedeva. Fatta questa premessa (sbagliata), Ovadia si avventura in considerazioni del tutto fuori tema: i bulgari che si sono distinti nell’aver protetto gli ebrei, gli italiani che hanno supinamente accettato le leggi razziali, il falso mito dello “slavo cattivo”. Tutto vero, ma non c’entra nulla. Perché non è in discussione la patente di buoni e cattivi tra i popoli anche se restano agli atti, eccome, le pagine di onore o di vergogna nella Storia di un popolo, sia chiaro. Ma soprattutto, e questo è il punto chiave, gli innumerevoli orrori nella Storia dell’umanità restano a prescindere. Resta comunque e deve restare assoluto e incondizionato il giudizio morale e storico sui crimini commessi. I nazisti restano i responsabili di mostruosità sesquipedali anche se le condizioni di pace imposte a Versailles dai vincitori della Grande Guerra erano irragionevolmente inique. E così i titini (e quant’altri) per le foibe. Stalin è il disumano responsabile di milioni di morti anche se magari sinceramente pensava che erano un prezzo inevitabile per costruire l’Utopia in terra. E così Saddam Hussein che gasa i curdi, così il folle Pol Pot, i turchi autori del genocidio degli armeni. E su su nella storia.. la strage degli Ugonotti, le nequizie delle guerre di religione, fino alla strage dei Melii raccontata da Tucidide. Qualunque massacro di gente inerme ha avuto certamente una causa e una motivazione. Che va studiata e capita ma non se ne può più di vuoi mettere questo con quello.. ma allora i lager, ma allora i gulag. I morti non si pesano e soprattutto non si strumentalizzano. Si piangono tutti con commosso ricordo e rispetto, assieme all’esecrazione verso i loro carnefici.