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7 Febbraio 2023Di DINO BERTOCCO In principio (anni ’90) ci fu la fuga bossiana della minacciata secessione a cui fece seguito l’inseguimento populista del Centrosinistra con un progetto di destrutturazione velleitario e dissipativo delle responsabilità istituzionali e della gestione delle risorse finanziarie pubbliche, ispirato dai Provvedimenti del Ministro Franco Bassanini e completato dal Governo di Giuliano Amato nel 2001 con quella sorta di polpettone avvelenato rappresentato dalla presuntuosa e demagogica Riforma del Titolo V della Costituzione, foriero di un disastroso deragliamento delle funzioni politico-amministrative ‘lucidate’ con l’elezione diretta dei Sindaci e successivamente dei Presidenti di Regione, che in realtà hanno mascherato per oltre un ventennio le questioni strutturali sottostanti alla sacrosanta domanda di riorganizzazione complessiva del Sistema.
Una rapidissima rassegna per ricordarle a noi tutti: in primis la drammatica rarefazione di competenze specialistiche e manageriali nell’ambito della Dirigenza Pubblica, in secundis il lentissimo procedere della reingegnerizzazione (supportata dalla digitalizzazione) di tutti gli Apparati, tertium la mancata rifondazione della Rete degli Enti locali in particolare con il superamento della polverizzazione comunale e il ridisegno della missione delle Province baricentro territoriale del governo dei servizi, e di quella delle Regioni potenziate per le esclusive attività della Programmazione, quartum l’iniezione del federalismo fiscale finalizzato alla responsabilizzazione diretta di tutti i centri di spesa.
C’è da strapparsi i cappelli nel ripercorrere l’ultimo quarto di secolo e catalogare la serie infinita di chiacchiere, demagogia e distintivi con cui un intero ceto politico ha evitato accuratamente di affrontarle, rifugiandosi nella spesa assistenzialistica sfrenata, nell’uso dissennato dello spoil system, nello sfacelo di processi decisionali riguardanti infrastrutture ed opere pubbliche appesantiti se non bloccati dalla confusione e sovrapposizione delle competenze aggravate – guarda caso – dalla follia della ‘concorrenza tra Stato e Regioni’ introdotta dall’articolo 117 del Titolo V, che seppur bocciata clamorosamente dall’esperienza storica, viene idiotamente riproposta per esempio dalla Regione Veneto che aspira ad aggiudicarsi 23 materie!
Questo autentico disastro annunciato si è avviluppato con una narrazione che ha ‘offerto’ all’opinione pubblica due tipologie di telenovela: da un lato quella focalizzata su un’altra Riforma costituzionale, stavolta ‘decisiva’ (leggi l’ultimo generoso e sfortunato tentativo di Matteo Renzi), dall’altro quella che si proponeva e che con l’attuale Governo è diventato un programma, di risanare il corpo malato dello Stato, rafforzandone la guida (attraverso il Presidenzialismo) e spezzetandone le membra (attraverso l’attuazione dell’Autonomia differenziata).
Ora il Progetto di legge Calderoli opera una scelta provocatoria il cui merito è che tutti gli apprendisti stregoni, protagonisti di un ventennio di approcci ideologici, retorici, parziali, ovvero inconsapevoli della complessità della materia costituita da una ristrutturazione dei poteri finalizzata alla rivitalizzazione di tutti i soggetti istituzionali che contemperi la liberazione delle energie territoriali e la condivisione delle responsabilità nazionali, sono chiamati non solo a non sottovalutarla, ma soprattutto ad evitare – attraverso una riflessione critica ed un dibattito che si esprima con proposte alternative maggiormente compiute e coerenti – che come per la precedente performance del Ministro leghista, ovvero quella della Legge elettorale – si debba tra qualche tempo commentare che si è trattato di una ‘porcata’.
Diversamente, il testo licenziato tra gli applausi dal Consiglio dei Ministri, diventerà legna sul fuoco sotto il calderone di una persistente confusione istituzionale, rischiosissima in un contesto politico di peggioramento delle fratture sociali e territoriali di un Paese sollecitato ad esprimere un salto di qualità nella governance e nelle relazioni internazionali e che, anche per questo non si può permettere di ri-entrare in un vortice di divisioni e frammentazione.
Per comprendere pienamente la portata della sfida che ci coinvolge tutti bastano le lucide considerazioni di Oscar Giannino ed il commento sul testo di legge degli esponenti di Lavoce.info.
Autonomia, una riforma giusta fatta in modo sbagliato. Cosa non torna nel metodo Calderoli
Sull’autonomia differenziata ancora molto rumore per nullahttps://www.lavoce.info/archives/99853/sullautonomia-differenziata-ancora-molto-rumore-per-nulla/
Forse è’ arrivato il tempo di svelare il Quarto segreto di Satira, ovvero quale fenomeno misterioso è all’origine dell’apparente credulità diffusa tra i veneti in merito al miraggio dell’autonomia. Esso si è ‘appalesato’ nella stagione in cui Umberto Bossi si intortò la Liga veneta con l’annuncio della Secessione (promossa dalla Lombardia) e molti cominciarono ad interrogarsi sul genere di sortilegio che potesse irretire le menti dis-orientate a dare credito ad un tale e colossale imbroglio (questo sì davvero ‘storico’, per usare la retorica del Presidente Zaia). Poi, però, la fede nelle miracolose abluzioni con le acque del Po si affievolì, anche a causa del tradimento dei barbari che avvicinatisi ed inoltratisi nei meandri seducenti del Potere capitolino, ne furono soggiogati e corrotti e, per questo, inevitabilmente i riti e le promesse lumbard evaporarono. Sembrava una vicenda penosa da archiviare, con l’inevitabile intervento della Magistratura sui traffici di diamanti, il familismo amorale del boss(i), il furto con destrezza di 49 milioni….., ma la leggenda (o farsa) delle scalcinate truppe di Alberto da Giussano era destinata a continuare! La vecchia guardia leghista, poco prima della dissoluzione, si guardò intorno e decise di affidarsi ad un capitano improbabile, senza arte né parte, ma spregiudicato alla bisogna, pronto a tutto pur di trovare uno spazio di conquista per le (residue) affamate truppe. E siamo così entrati nell’epopea salviniana, sulla cui scia si è buttato con astuzia il giovanotto della Marca trevigiana allevato alla scuola prudente di Gianpaolo Gobbo, leader territoriale storico abile a pilotare il suo pupillo ed evitargli trappole ed avversari sulla strada del Governatorato Serenissimo. 2 Dovendo far dimenticare la storia di un fallimento, la nuova coppia di fatto (Matteo Salvini & Luca Zaia) si è letteralmente inventata una nuova esilarante, ma suggestiva metacomunicazione, finalizzata a far convivere e condividere un neosovranismo italico con il restyling della secessione tradotta nell’indipendentismo venetista. E tutto il ‘pacchetto’ è stato confezionato e promosso con l’ausilio di una squadra di mercenari della diffamazione via social e di un team di azzeccagarbugli specializzato nella battaglia …legale! Questa nuova avventura è stata assegnata da traguardi importanti (referendum Lombardia e Veneto, Elezioni europee 2019), provvisori tanto che è arenata miseramente il 25 settembre con gli elettori che hanno svelato l’insostenibilità logica ed ideologica di un tale progetto ed hanno affidato, delusi e disperati, le loro speranza di riscatto all’ennesima fasulla fratellanza. Ora, con il Disegno di legge Calderoli, ci troviamo di fronte al Terzo Episodio della Saga leghista, in cui il fascino della ‘Meta’ ha ceduto il passo all’abilità del professionismo nell’imbrogliare le carte: per sedurre i veneti (oltre naturalmente i lombardi) stavolta non ci si poteva affidare che alla maestria di un navigatore delle procedure parlamentari ed ecco sfornato l’intruglio miracoloso che nel 2023 dovrebbe sortire l’agognata ‘Autonomia differenziata’ ed a seguire finanche il ‘Presidenzialismo’. Sulla sua indigeribilità ed impraticabilità si è già detto e scritto a sufficienza, in questi giorni. Ma il punto non è questo: tutta questa melassa politico-avventuristica che ha come vittima designata l’assetto costituzionale del Paese e la sua auspicabile evoluzione, se ascoltate attentamente i primattori leghisti e le comparse che li sostengono, nasce dall’interpretazione capziosa (dei professionisti) e superficiale (degli ingenui) del Titolo V ‘innovato’ (più corretto dire manipolato) dal Centrosinistra i cui diversi esponenti (esclusi Massimo D’Alema, Matteo Renzi e Luigi Zanda, da ) si sono ben guardati nel corso di un ventennio, dal riconoscere il loro errore clamoroso (anche questo storico) e le conseguenze nefaste che ha provocato. 3 Si pensi solo all’effetto stralunamento del Presidente veneto che continua a sproloquiare sul trasferimento delle materie alle Regioni perché secondo lui “se l’articolo 117 mi offre un menu di 23 portate, perché debbo rinunciare ad alcune di esse”? Ancora, insisto: il velleitarismo avventurista e l’analfabetismo leghisti non sono accettabili, ma comprensibili, stante il fatto vergognoso che nessun esponente piddino si è impegnato a disilludere e contrastare le interpretazioni costituzionali fallaci, menzognere ed ingannevoli sulla base di un’argomentazione onesta, sincera, soprattutto veritiera, ovvero che l’impianto del 2001 – se si vogliono veramente e proficuamente rafforzare il regionalismo e la sussidiarietà verticale – va riformato alla luce di trasformazioni socioeconomiche ed eventi storici che lo hanno reso inutilizzabile. Purtroppo onestà, sincerità e spirito di verità nella subcultura politica e nel linguaggio del Pd si sono volatilizzati. Nel caso veneto, poi, tali doti sono state surrogate dall’opportunismo, dal tatticismo, dall’autolesionismo che hanno trovato nei rappresentanti regionali una testimonianza miseranda. Tutt’al più si è manifestato qualche tentativo di emendare il messaggio eversivo leghista espresso a più riprese con atti e pronunciamenti inequivocabili (dalla manomissione dello Statuto al tifo per la Catalogna fino alla spedizione nella Crimea ‘liberata’ da Putin), con timidi rilievi, con patetiche esternazioni di ‘si critici’, con l’ignavia dell’astensione in Consiglio Regionale. L’ultimo esempio di subalternità ed ipocrisia è di questi giorni con l’iniziativa – via Change.org – per la reintroduzione dell’articolo 1 dello statuto regionale con il riferimento all’Unità della Repubblica italiana rimosso con la riforma statutaria (ad opera della Lega) del 2012 che introduceva e dava dignità di legge all’aspirazione del ‘paroni a casa nostra’. Premesso che ho personalmente sottoscritto l’appello, non posso evitare di sottolineare che la richiesta di revisione (o ravvedimento) emerge a 10 anni dal delitto, ovvero che siamo in presenza di un presunto cold case pur conoscendo da sempre ‘l’identità dell’assassino’ che non solo non è stato contrastato, bensì ha avuto (nel 2017) il via libera affinchè perseguisse il suo ‘progetto criminogeno’ con lo strumento di un Referendum farlocco trasformato in arma politica contundente. Non solo: se è giusto procedere – seppur tardivamente –alla correzione degli errori ortografici leghisti, per acquisire una credibilità cristallina è però fondamentale intervenire ed esprimere una inequivocabile valutazione sulla errata sintassi costituzionale del 2001, da cui hanno tratto spunto tutti gli svarioni linguistici e le strumentalizzazioni con cui Centrodestra e Centrosinistra si sono esercitati nel ventennio successivo sulla questione controversa delle riforme, affrontata con approcci e programmi superficiali e fuorvianti. Ed ecco quindi spiegato il ‘Quarto segreto di Satira’: fintantochè gli autentici Democratici veneti non si impegneranno in un’opera di ‘sbaucamento’, ovvero di riflessione approfondita che riveli e metta in discussione le distorsioni a cui il Centrosinistra nazionale ha sottoposto il dettato costituzionale nel 2001, occultando e rinviando in questo modo (a parte il già ricordato generoso e maldestro tentativo renziano) le scelte ed i contenuti programmatici di un riformismo sociale, economico ed amministrativo-istituzionale strutturali, supportati da una visione strategica 4 (consenso, alleanze, europeizzazione) in grado di incidere irreversibilmente sugli egoismi corporativi, sulle arretratezze nelle politiche pubbliche al Nord e sui parassitismi delle classi dirigenti e dei cancri malavitosi al Sud, attraverso un processo di liberalizzazione dell’economia accompagnata da provvedimenti per far procedere l’uguaglianza sostanziale dei diritti sociali e civili. Ebbene, fintantochè non si manifesta una coraggiosa operazione verità, l’Italia rimarrà invischiata nel reticolo istituzionale con cui il Governo del ‘dottor sottile’ Giuliano Amato nel 2001 ha cercato – con gli strumenti dignitosi, ma del tutto inappropriati allo scopo – di tutelare il Paese dalle insidiose tensioni e fratture territoriali che ponevano e pongono tuttora la necessità inderogabile ed ineludibile di innovare non solo l’ordito costituzionale, ma prima di tutto i paradigmi etici, storici ed antropologico-culturali con cui interpretare la crisi di sistema, la cui ricerca deve essere effettuata con la concordia e la convergenza di tutte le migliori e più competenti espressioni dell’intera classe dirigente nazionale. Insomma, non è una partita che si gioca tra avvocati e codicilli, tra costituzionalisti ingaggiati al servizio di demagoghi ed esponenti di una nomenclatura screditata ed impreparata al lavoro di ricucitura e pacificazione miranti all’efficientamento ed alla responsabilizzazione di tutti i nodi della Rete Istituzionale. Sono i cittaddini veneti ed italiani che debbono diventare protagonisti di una rivoluzione civica, rimettendo in circolo energia, idee e valori in grado di rivitalizzare riorientare la partecipazione democratica e la governance sia a livello di comunità territoriali che a quello di comunità nazionale. Tale mobilitazione può e deve essere promossa da una nuova generazione di leader, rappresentanti di forze politiche e dell’immenso ricco tessuto associativo che, a prescindere dalla loro età ed appartenenze, hanno la consapevolezza che la spinta emotiva della propaganda e delle illusioni, della demagogia e delle separatezze produce solo autoreferenzialità e risultati effimeri, non duraturi. E’ arrivato il tempo della ricerca condivisa dei dati, dei fatti, della verità, delle soluzioni, bandendo la faziosità, gli ideologismi e gli opportunismi, le semplificazioni e le presunzioni.