Diritto di vivere
15 Marzo 2016“MA NO TI GA NA CASA A MILAN”…PROPRIO DI BENE IN MEGLIO A CA’ FARSETTI
20 Marzo 2016Al termine del recente negoziato di Bruxelles, conclusosi a fatica lo scorso 19 febbraio, la Gran Bretagna e l’Unione Europea hanno raggiunto un accordo articolato su 4 aspetti principali.
Il primo sulla Governance: i paesi dell’eurozona rispetteranno il mercato unico e gli interessi dei paesi che non ne fanno parte, i quali a loro volta dovranno astenersi dal porre il veto alla maggiore integrazione dell’area.
Il secondo sulla Competitività: l’Unione Europea farà tutti gli sforzi per rafforzare il mercato interno e mantenere il passo per adeguarsi ai cambiamenti, soprattutto riducendo il carico amministrativo e i costi per le piccole e medie imprese inglesi. La Commissione Ue respingerà la legislazione non necessaria.
Il terzo sulla Sovranità: il concetto di Unione sempre più stretta come obiettivo scritto in tutte le versioni dei Trattati non si applicherà più alla Gran Bretagna nella prossima revisione del Trattato. Il Paese, dunque, non farà mai parte di un esercito europeo, non parteciperà ai salvataggi delle banche e non entrerà mai nella moneta unica.
Il quarto e ultimo sul welfare: l’Unione accetterà il principio che in situazioni eccezionali la libertà di movimento dei lavoratori potrà essere limitata. L’accesso al sistema di welfare potrà essere concesso gradualmente nell’arco di quattro anni (partendo da zero).
Il quadro che ne emerge, rispecchia perfettamente il periodo di difficoltà che l’intera Unione Europea sta attraversando da quando si è vistosamente arenata l’autentica visione Europea.
In particolare poi, il prossimo 23 giugno, i cittadini inglese saranno chiamati a votare per il Referendum che deciderà se la Gran Bretagna dovrà rimanere o meno all’interno dell’Unione Europea.
A conti fatti ancora nessuno è in grado di prevedere quali potranno essere le conseguenze politiche ma soprattutto economiche e commerciali per tutte le aziende, i professionisti e le banche che da anni lavorano in una delle piazze finanziarie più importanti di tutta l’Unione Europea.
Come spesso accade in occasione di questo tipo di Referendum, può essere interessante analizzare pro e contro dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.
Tra i primi per la Gran Bretagna ci sarebbe il risparmio sui miliardi di sterline che ogni anno versa nelle casse della Ue e che, nel 2013, hanno toccato 8,64 miliardi di euro, pari allo 0,5% del Pil britannico (su questo poi bisognerebbe interrogarsi sulle spalle di chi ricadrebbe il venir meno di questi contributi? Ad esempio, quanto in più dovrebbe versare l’Italia?).
Sempre in questo primo elenco andrebbe annoverata la possibilità che la Gran Bretagna approfitti dell’uscita dall’Unione per sfruttare le opportunità offerte dai mercati extra UE, adottando i modelli di spazio economico europeo e libero scambio come fatto già da Norvegia, l’Islanda o Liechtenstein o sottoscrivendo accordi bilaterali come quelli già sottoscritti dall’Unione con la Svizzera.
Tra i contro si potrebbe ricordare la perdita di lavoro per i circa duemila lavoratori inglesi nelle istituzioni europee, insieme alla perdita di tutti i fondi europei che ora finanziano ad esempio progetti di ricerca e costruzioni.
Allo stesso modo, un altro contro potrebbe essere individuato nel danno che deriverebbe dalla possibile introduzione di dazi doganali, con conseguenze enormi per gli scambi commerciali (ad esempio solo l’Italia ha scambiato 30 miliardi di euro nel 2015, in termini di valore delle esportazioni di beni e servizi) elemento questo che secondo alcuni studi, potrebbe far perdere alla Gran Bretagna l’1,5% di Pil all’anno tra il 2016 e il 2018.
In conclusione, una provocazione, una certezza e una considerazione.
La prima, solo il venir meno dei principi di libera prestazione dei servizi e di libera circolazione dei lavoratori che, oggi, permettono agli operatori economici di poter aprire senza autorizzazioni filiali di lavoro nello spazio europeo e ai lavoratori di vivere e lavorare liberamente nei paesi membri senza regimi simili a quello che disciplina i rapporti attuali tra Stati Uniti e Ue (green card e permesso di lavoro spesso molto difficili da ottenere), potrà far comprendere il valore dei principi che disciplinano il sistema delle libertà fondamentali all’interno dell’Unione.
La seconda, riferita al fatto che al momento, ad esporsi maggiormente perché la Gran Bretagna resti nell’Unione Europea, sono stati da un lato le banche americane, fra le quali Goldman Sachs che ha donato 500 mila sterline alla campagna pro-Ue di Britain Stronger in Europe e dall’altra, 200 leader di altrettante società quotate, da Shell a Bp, da Hsbc, a Vodafone, da Goldman Sachs a Marks and Spencer, che hanno pubblicato anche una lettera sul The Times schierandosi a favore della permanenza nell’Unione europea perché uscire dall’Unione, avvertono i manager, danneggerebbe in primo luogo l’economia britannica.
Da ultimo una considerazione sul valore stesso di questo Referendum: se l’Unione ha deluso, ciò dovrebbe dare la spinta per una richiesta di riforma, invece dell’abbandono, se la democrazia transnazionale non ha dato risultati, il problema non si risolve con una resa, ma con l’impegno per farla funzionare meglio, se il sentimento che teneva unita l’Europa si è esaurito, ciò dovrebbe essere buon motivo per introdurre cambiamenti significativi e non per rinchiudersi nell’isolazionismo.