GOVERNO MELONI: PRAGMATISMO NEL VALUTARLO VOLTA A VOLTA SENZA SCONTI E PREGIUDIZI
8 Novembre 2022Sulla pelle di donne, uomini e bambini lo scontro Italia Francia isola entrambe
16 Novembre 2022‘”Rigenerazione, al pari di resilienza o sostenibilità, è termine che pur nella sua genericità e ambiguità, nel suo utilizzo inflazionato e talvolta improprio, si configura come prezioso, perché indicatore di un preciso cambiamento di stato e di paradigma. La rigenerazione infatti porta con sé la presa d’atto di processi di infragilimento, allentamento, disgregazione delle consuete modalità di funzionamento delle realtà urbane e territoriali non più affrontabili con le tradizionali policies di inclusione sociale, riattivazione economica, riqualificazione fisica. Con una sottolineatura: tali processi non sembrano più concernere le sole periferie urbane e aree interne, ma, a macchia di leopardo, l’intero sistema territoriale italiano ed europeo, anche negli spazi storicamente più consolidati.
È uno spostamento di punto di vista che porta a mettere al centro l’esistente, i patrimoni fisici e le risorse immateriali, a muovere da pratiche partecipative di cittadinanza attiva. L’esistente e l’esserci. Non c’è più un fuori, un altrove dove poter provare a costruire nuove modalità di sviluppo e di abitare. L’unico scenario possibile è quello del qui e adesso, della rigenerazione di quanto già c’è, in un intreccio necessario di aspetti fisici e sociali, economici e ambientali, e dove la costruzione di nuove e molteplici forme di sostenibilità gioca un ruolo decisivo.
Ecco allora in anni recenti un articolarsi quasi infinito di esperienze rigenerative di natura sia informale che istituzionale. L’atto del rigenerare, anche alla luce dei limiti delle progettualità di riqualificazione, richiede tattiche e strategie complesse, che mettono in campo la ricostruzione di economie locali, l’innovazione a base culturale, la riformulazione del welfare, i processi di riuso del patrimonio, i temi energetici e le pratiche virtuose, l’agricoltura sociale, la partecipazione dei cittadini, le pratiche di gestione condivisa dei beni, le nuove forme di partnership pubblico-privato, ecc., utilizzando modalità e ingredienti che non consentono ricette precostituite ma un approccio necessariamente place-based che deve essere costruito clinicamente a seconda dei differenti contesti”
(Antonio De Rossi, Laura Mascino – Voce “Rigenerazione” in D. Cersosimo, C. Donzelli (a cura di), Manifesto per riabitare l’Italia, Donzelli, Roma 2020)
1. L’infragilirsi dei luoghi
Al n 65 di Via Piave a Mestre, sotto i portici degli eleganti edifici di inizio ‘900, quasi di fronte alla chiesa e a fianco alla macelleria musulmana, al posto del negozio di bigiotteria indiana ormai chiuso da tempo c’è una Portineria di Quartiere con una grande Corte annessa.
Per parlare di nuovi tentativi /tentazioni di Rigenerazione urbana inizio da qui, dall’apertura di questa piccola Portineria di Quartiere in quello che agli inizi del ‘900 era un elegante quartiere urbano e che in anni recenti si è trasformato in una ‘periferia’ di città.
La portineria occupa lo spazio di un piccolo negozio dove negli anni ’70 aveva aperto un negozio di biancheria intima con marche di lusso, che poi era stato rilevato da Bengalesi trasformandolo in un negozio di bigiotteria indiana. Anche se l’arredo era rimasto lo stesso, una diversa attenzione ai dettagli gli avevano tolto il fascino iniziale.
Ultimamente il negozio lasciato vuoto per trasferimento dei conduttori era rimasto chiuso a lungo, diventando una delle infinite saracinesche abbassate della via. Saracinesche che si riempiono di polvere grassa, di volantini schiacciati e di sporco sul marciapiede.
Spesso i luoghi fragili della città non nascono ‘brutti’, non nascono ‘poveri’, non sono all’esterno della città. Semplicemente sono luoghi che perdono il loro significato originario e che per uno stratificarsi di eventi decadono diventando fragili, si mischiano le attività, arrivano nuove persone e i vecchi abitanti non si riconoscono più, scompare pian piano la forza di una città condivisa. Condivisa nell’uso, nell’immaginario e condivisa nel prendersene cura.
2. Un progetto di rinascita
In questa portineria è da alcuni mesi attiva una serie di servizi. Servizi che vengono chiamati di prossimità e che si rivolgono alle persone più fragili , da un piccolo servizio infermieristico per anziani, fino a consegne di spesa e farmaci a domicilio, accompagnamento per svolgere faccende quotidiane, servizi a domicilio per chi ha problemi con i computer, un servizio di DOG sitter, attrezzi per lavori domestici messi a disposizione per chi ne ha bisogno, incontri per il giardinaggio, piccoli spettacoli musicali, corsi di burraco, di uncinetto, presentazioni di libri insieme alla nuova libreria della via, mercatini dell’usato. E’ un contenitore di attività che investono il quotidiano, l’ordinario. Che ha a che fare con piccoli aiuti, con la compagnia per chi è solo, con un posto semplice dove poter partecipare a piccoli appuntamenti ma dove poterli anche organizzare. Fuori dalla logica dei grandi eventi, delle economie e dei conti che devono tornare, dello straordinario dove si può essere solo spettatori; dentro una logica di quotidiano, di prossimità di continuità, di reciproco aiuto, di compagnia, di partecipazione. Di costruzione di comunità.
Molte attività avvengono nella corte annessa.La corte non si vede dalla strada, bisogna entrare e da lì si intravede questo spazio quadrato che fino al 2020 veniva utilizzata a parcheggio. E’ stato durante il periodo di chiusura a causa del Covid, dove i pochi abitanti dell’edificio scendevano a prendere aria, che si è capita l’importanza che uno spazio aperto come questo può dare al quartiere. Spazi apertidi aggregazione, spazi protetti dalla strada, spazi dove stare. Lo spazio della portineria è piccolo ma la sua corte è grande.
3. Esserci nel quotidiano. La fatica delle pratiche dell’antievento, o dell’importanza delle persone
Questa Portineria di Quartiere è stata attivata nel2021 Insieme a quella di Dorsoduro e di Chioggia, ha avuto inzio in seguito alla vincita di un Bando pubblico proprio per l’avvio di ‘portinerie’ di quartiere nella città di Venezia . (Portineria di Quartiere Mestre – Via Piave è una delle Portinerie attivate nell’ambito del progetto “Portinerie di Quartiere – Avamposto di Comunità” diCavv – Csv di Venezia, in partnership conLeroy Merlin Marcon e Marghera, con l’obiettivo di costruire una rete di soggetti che si attivi per la coprogettazione di Azioni Pilota innovative e sperimentali di Portierato Sociale nella Città Metropolitana di Venezia).
A vincere il bando è stata una cordata di associazioni di volontariato e culturali con capofila ADA con Venezia (ADA con Venezia, Nicola Saba, Passacinese, ETICity, Etiam, TerreUrbane e in collaborazionecon l’Angolo del Riuso Solidale.), ma a decidere di partecipare e di far diventare questo luogo uno spazio rappresentativo di una certa idea di pratiche rigenerative è stata Giovanna Muzzi insieme a me. Giovanna Muzzi di Eticity è dottoranda in Pianificazione territoriale e si occupa nello specifico di pratiche rigenerative; io ho insegnato Progettazione urbanistica al Politecnico di Milano e per alcuni anni insieme a Francesca Cognetti mi sono occupata di progetto urbano insieme a ‘nuove pratiche’ di rigenerazione dei luoghi urbani e continuo ad occuparmene.
Perché racconto questo? Sicuramente non per una forma di vanto, ma per dire che questi luoghi, questi processi non nascono per caso. Sono portati avanti da persone che hanno sviluppato delle competenze in questo tipo di pratiche, e con una sorta di militante entusiasmo cercano di sperimentare delle ‘nuove’ pratiche di rigenerazione urbana, credendo fermamente che il progetto di rigenerazione non possa che essere l’avvio di un processo che avviene attraverso inneschi di nuove pratiche, nuovi punti di riferimento, nuovi soggetti occupanti gli spazi. Che non può che svilupparsi attraverso un ‘guidato processo partecipativo’, che necessita di un lungo lavoro di messa a punto della piccola scala. Procedendo passo per passo.
“ Soprattutto nelle esperienze di rigenerazione a carattere maggiormente informale si possono scorgere particolari elementi di novità, come ad esempio la valenza tattica della piccola scala fisica dei progetti, ma soprattutto il ricorso a forme processuali che si potrebbero definire di autopoiesi, fatte di continui reindirizzamenti, svolte, cambi di marcia, implementazioni a seconda degli esiti man mano raccolti lungo il percorso, con il coinvolgimento diretto e autoriflessivo dei bricoleur-progettisti”.
4. La stratificazione della rigenerazione
In questo stesso luogo un processo di resistenza più che di rigenerazione era stato già avviato da tempo, la Portineria è solo uno dei tasselli che arriva dopo anni di lavoro.
Dove abbiamo detto esserci la Portineria, circa a metà di via Piave, c’è un piccolo “crocevia” formato dalla chiesa ricostruita dopo essere stata bombardata nella seconda guerra mondiale, la sua piazzetta antistante e quattro edifici porticati che formano un brano urbano omogeneo. Tutti i quattro edifici sono di un’unica proprietà. Questo rende più facile pensare a un intervento che possa avere la forza di cambiare un luogo. Una proprietà che vedendo progressivamente andare in declino insieme alla zona il proprio patrimonio si è dimostrata aperta e incuriosita all’innesto di nuove pratiche che potevano portare a far scaturire processi di inversione dell’andamento. Una proprietà che ha capito che nessun grande investitore sarebbe arrivato a prelevare un ‘quartiere’ ormai vuoto rilanciandone l’immagine. Un investitore che quindi ha preferito investire su nuove idee e pratiche, lavorando un passo alla volta per riattivare e tenere aperti i vuoti.
Il primo passo era stato concedere in comodato d’uso la spazio di un negozio che era rimasto vuoto al ‘Gruppo di Lavoro di Via Piave’, un’associazione storica che da anni si occupa del luogo. L’apertura di questa sede ha permesso che il Crocevia continuasse a essere frequentato e abitato dagli abitanti del quartiere Piave, coinvolgendo chi da anni in città si occupa di quarto settore.
Successivamente, nel 2019, era stato avviato il progetto Crocevia Piave, dove si è fatto lo sforzo di attivare contemporaneamente più locali rimasti vuoti con l’apertura di Spaccio Cultura, un dispositivo per organizzare eventi, mostre, concerti, presentazione di libri, mercatini, con regolarità; pian piano la frequentazione del luogo è diventata continua, consentendo la riconoscibilità di questo spazio. Inoltre, oltre a ciò, si stava formando anche una piccola comunità di residenti ‘affini’. Tra cene di quartiere, corsi di scrittura, laboratori per bambini, ci si incontrava tutte le settimane per organizzare come andare avanti e come riempire gli spazi. Purtroppo il Covid ha bloccato quasi sul nascere tutto il fermento che nel Crocevia si stava formando. Si sono chiuse le attività appena incominciate, e alcuni nuovi abitanti hanno lasciato l’area, ma è rimasta forte l’idea che quella era la formula giusta di riattivazione, e da qui l’apertura della Portineria
Ora nel Crocevia trovano sede, oltre alla Portineria, il Gruppo di Lavoro di Via Piave, l’associazione Viva Piraghetto, l’Associazione Passacinese, a riprova che col tempo si sono addensate forze ed energie.
5. Far coagulare energie per fare massa rigenerativa
Ora vuoti non ce ne sono più, e in una forma di difficile e sempre precaria resistenza quel luogo resta abitato, pieno di persone e iniziative. Il grande “ma” di questo faticoso e volontaristico processo è l’assenza delle Istituzioni. In questi anni le istituzioni non hanno impedito queste attività, anche perché gli spazi sono di proprietà privata, ma non le hanno valorizzate e prese in carico come una vera risorsa rigenerativa.
Senza fare i grandi esempi di Berlino, di Londra e di altre città straniere, prendiamo città come Bologna, dove è stato possibile riaprire un luogo come le Serre dei giardini Margherita grazie a Kilowatt e grazie a chi nelle istituzioni li ha appoggiati; oppure prendiamo Ravenna e il progetto Darsena pop up che a dispetto dei grandi Masterplan fatti da illustri studi ha davvero ravvivato il luogo.
“Bottom up” vengono chiamati questi progetti e movimenti di rigenerazione della città che partono dal basso, che stanno diventando sempre più importanti e diffusi. Ma dentro le istituzioni devono esserci figure capaci di organizzare e valorizzare queste nuove forze e risorse. Altrimenti, le tante persone e iniziative dal basso, così forti in questi ultimi anni, rischiano di non trovare una sponda e di perdersi.
Via Piave è uno dei tanti luoghi sospesi della città che attende una riattivazione/riappropriazione. Un brano di città dove non arriveranno i grandi investimenti, e dove la risorsa rigenerativa è data dalle tante iniziative che partono dalle persone, che creano piccoli nuovi luoghi di cultura, di vita, di economie. Perdere questo significa perdere l’ultima occasione di ricostruire la città.