
Alla tastiera leoni, nei tribunali…
10 Ottobre 2025
Il nuovo cuore dell’innovazione a Mestre: “The HuB – Human Bits”
10 Ottobre 2025Nel luglio del 2011 Copenaghen fu investita da un temporale eccezionale: in poche ore caddero oltre 150 millimetri di pioggia, allagando strade, linee ferroviarie e cantine, e causando danni per centinaia di milioni di euro. Quell’evento segnò una svolta. La capitale danese comprese che il suo sistema urbano, pensato per smaltire rapidamente l’acqua, doveva invece imparare a trattenerla, assorbirla e utilizzarla come risorsa. Nacque così il Cloudburst Management Plan, uno dei primi piani europei di adattamento climatico su scala metropolitana, basato su una semplice intuizione: la città deve comportarsi come un suolo vivente, capace di reagire e adattarsi.
Oggi, a distanza di più di un decennio, quell’esperienza è diventata un riferimento globale per una generazione di progetti di rigenerazione urbana basati su soluzioni nature-based. L’idea che la città possa funzionare come un ecosistema e un’infrastruttura verde è ormai parte del linguaggio di pianificatori, amministratori e cittadini.
In questo quadro si inserisce la strategia della depavimentazione — o desigillazione dei suoli — una misura tanto semplice quanto rivoluzionaria. Significa restituire permeabilità ai suoli urbani, rimuovendo asfalto e superfici cementificate per permettere al terreno di assorbire e infiltrare acqua e sostenere la vegetazione.
Ma il vantaggio non è solo idrologico: le superfici che tornano permeabili diventano veri e propri dispositivi climatici, capaci di assorbire calore, favorire l’evaporazione e creare microclimi più freschi. È il principio che guida la progettazione dei rain garden, giardini di pioggia che raccolgono e filtrano l’acqua meteorica mentre contribuiscono ad abbassare la temperatura locale.
La combinazione tra suolo permeabile, vegetazione e ombreggiamento naturale o artificiale amplifica questi risultati: laddove si introducono anche alberi o coperture leggere, la riduzione della temperatura media percepita può superare i 4–5 °C. Inoltre, la depavimentazione favorisce l’infiltrazione delle acque piovane, riduce il carico sui sistemi fognari e migliora la sopravvivenza delle alberature grazie a un miglior scambio idrico e gassoso del suolo.
Molte città europee stanno trasformando queste evidenze scientifiche in politiche concrete.
Parigi, ad esempio, ha adottato il Plan ParisPluie, un programma urbano che mira a rendere la capitale francese una “ville-éponge”, una città spugna. L’obiettivo è la désimperméabilisation di ampie porzioni di suolo urbano e la gestione delle acque direttamente nel punto in cui cadono. Si tratta di un cambio di paradigma: parcheggi trasformati in giardini d’infiltrazione, cortili scolastici rinaturalizzati, strade ripensate per convogliare l’acqua verso aiuole e bacini vegetati. In molti di questi interventi vengono introdotti rain gardens, veri e propri micro-ecosistemi urbani che integrano funzioni idrologiche e climatiche: trattengono l’acqua in eccesso, favoriscono l’evapotraspirazione e migliorano il comfort termico degli spazi pubblici. Secondo le stime del Comune, il piano porterà entro il 2030 a ridurre di oltre il 55% le superfici impermeabili collegate alla rete fognaria, con un impatto diretto sulla riduzione delle isole di calore.
Berlino ha scelto una strada complementare: i distretti cittadini, come Treptow-Köpenick, stanno portando avanti programmi di Entsiegelung, la rimozione delle superfici impermeabili nei cortili scolastici e negli spazi pubblici. I progetti pilota, come quello della Schule am Altglienicker Wasserturm, hanno eliminato l’asfalto, introdotto aree verdi e piccoli bacini d’infiltrazione che funzionano come rain gardens didattici. Le valutazioni post-intervento hanno registrato miglioramenti significativi del comfort microclimatico e una riduzione tangibile delle temperature superficiali, oltre a benefici educativi e sociali per gli studenti che partecipano alla manutenzione del verde.
In Italia, Bologna ha recentemente affrontato le ondate di calore con un’azione più immediata ma altrettanto significativa: l’installazione di oltre 100 alberi temporanei in sette piazze del centro storico. Disposte in grandi vasi, le piante creano zone d’ombra nei mesi più caldi, per poi essere trasferite nei giardini scolastici o in altri spazi verdi in autunno. È un modo rapido di reintrodurre la natura nello spazio urbano, in attesa di soluzioni strutturali di rigenerazione più profonde.
Un approccio simile è stato sperimentato anche a Milano, dove la temperatura media estiva superficiale, rilevata alle 10 del mattino, è di 33.9 °C in aree arborate, mentre raggiunge i 36.5 °C in aree non arborate: più aumenta l’estensione delle aree con bassa densità di copertura arborea nel nucleo metropolitano, più aumenta l’intensità dell’isola di calore urbana, e quindi il delta tra le temperature – che può arrivare fino a 6 gradi centigradi.
Per questo è stato lanciato il programma Quartieri Resilienti che ha installato strutture ombratili temporanee — vele, pergole leggere, installazioni modulari — in cortili e piazze, integrandole con nuove piantumazioni e con progetti di depavimentazione diffusa. Queste soluzioni ibride, facilmente replicabili, permettono di ridurre subito le temperature percepite e allo stesso tempo testare materiali e configurazioni per interventi permanenti.
Nel contesto italiano, tuttavia, i dati mostrano un ritardo strutturale. Secondo il monitoraggio di Lab24, solo il 17% dei Comuni capoluogo supera la soglia minima raccomandata dall’OMS di 9 m² di verde attrezzato per abitante. E appena 8 città su 109 hanno adottato un vero “Piano del Verde”. E non è solo un problema di quantità, ma di gestione poichè per garantire la sopravvivenza e l’efficacia climatica di una nuova piantumazione, servirebbe investire almeno il doppio del costo di messa a dimora nella manutenzione dei primi sette anni di vita dell’albero.
Anche città delicate e storiche possono trarre ispirazione da queste esperienze. A Venezia, ad esempio, è emersa una proposta da parte della Municipalità per l’introduzione di simili strategie di depavimentazione e di installazione di strutture ombreggianti temporanee come misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Una sfida complessa in un contesto fragile e storico, ma necessaria per contrastare l’aumento delle isole di calore nei campi veneziani, dove la pavimentazione minerale domina e dove si registra una progressiva riduzione delle superfici vegetate dovuta anche ai recenti abbattimenti da parte del Comune di alberi considerati a rischio.
I rain garden e i parchi spugna di Copenaghen, i cortili scolastici permeabili di Berlino e le piazze alberate di Bologna rappresentano una nuova grammatica progettuale fatta di acqua, ombra e terra e dimostrano che, in un tempo in cui le città europee devono reinventarsi per sopravvivere alla crisi climatica, la risposta può nascere dalla capacità di attingere a “un’intelligenza naturale”, quella che la recente Biennale Architettura di Venezia ha indicato in una delle sue tre sezioni come orizzonte per la città del futuro.