
In difesa dell’art. 70
10 Novembre 2016
Nativi digitali o selvaggi digitali?
16 Novembre 2016Dietro e dentro questo slogan c’è la storia di mezzo secolo di battaglie culturali, di azione politica, di vita quotidiana di una intera comunità.
Ieri più di oggi si parlava di salvare la città dall’invasione delle acque alte eccezionali. Tematica generata dall’Aqua Granda del 4 Novembre 1966 – 1,94m. sul medio mare.
Non che il tema non sia più attuale, ma oggi è virato sul funzionamento, sulla gestione, sulla manutenzione del MOSE che non è ancora operativo, ma è come se lo fosse.
Ieri come oggi si parlava di salvaguardia dell’ambiente paesaggistico, storico, archeologico, artistico preservato dall’inquinamento atmosferico e dalle acque.
Oggi più di ieri si parla quasi esclusivamente del tema legato alla “rivitalizzazione sociale ed economica” che deriva dallo spopolamento del centro storico che risente più che in altre parti del Comune della diminuzione della popolazione anagrafica – contemporaneamente tutti i quartieri del territorio comunale perdono abitanti.
Perché invece è aumentata sensibilmente la popolazione dei cittadini “equivalenti” – sono tutti quelli che in città ci vivono con una certa continuità, anche quotidianamente per lavoro o studio, ma che non hanno trasferito la loro residenza anagrafica – e in maniera parossistica la popolazione dei visitatori di cui gli escursionisti di giornata sono la parte più rilevante.
E questo cambiamento di sensibilità rispetto ai problemi e di focus rispetto ai temi porta tutti a confrontarsi con l’inefficacia delle numerose azioni che nei decenni 1979/2006 – il periodo in cui la Legge Speciale è stata finanziata – sono state intraprese per la difesa della residenzialità.
Perché se è vero che i lavori di restauro dei privati e i numerosi e qualificati interventi di manutenzione, i recuperi edilizi operati dall’Amm.ne C.le hanno contribuito a ridare un volto più in linea con gli standard architettonici e abitativi in molte parti della Città insulare, è altrettanto vero che moltissimi degli sforzi compiuti sul versante della rivitalizzazione economica e sociale hanno fallito la loro missione.
Se ne sono andate molte attività economiche e imprenditoriali, e con esse molti posti di lavoro; si è continuato ad invocare la necessità di creare le condizioni per l’insediamento della nuova economia (green, culturale, digitale) senza riuscire a offrire le condizioni perché ciò avvenisse per davvero; per pigrizia e per inerzia la città si è radicalmente convertita a quella che appena qualche lustro fa era individuata solo come linea di tendenza: “la monocultura turistica”.
E il fenomeno ha assunto una dimensione tale che prima di tutto ha travolto gli stessi ritmi e buona parte del tessuto socio-economico della città, poi ha rivelato la totale inadeguatezza delle classi dirigenti che negli anni si sono avvicendate – la classe politica prima di tutte – e che si sono limitate ad invocare la necessità di “governare il turismo” senza mai prendere una qualche decisione che avesse anche solo il sentore di una valenza strategica proiettata su un lasso temporale di almeno un quinquennio.
Non che gli studi e le proposte siano mancate: se pensiamo che la Città è dotata di un’Università di Economia con dipartimento del Turismo si può immaginare che le fonti e i suggerimenti avrebbero potuto essere sfruttati in modo efficace.
Molti spunti e sollecitazioni sono venuti anche dal cuore pulsante della città, da alcuni gruppi di opinione, da alcune realtà che fanno cultura e civismo.
Ma in verità si è preferito impigrirsi, fare del piccolo cabotaggio, vivere di rendita di posizione, nascondendosi dietro il fatturato del comparto turismo invocato come una panacea, in sostituzione di un sistema economico e produttivo articolato in funzioni vitali e rivitalizzanti.
Ci ricordiamo che fra gli anni ’80 e ‘90 era sulla breccia un Ente pubblico-privato come il PromoVe che doveva stimolare il turismo a Venezia (sic! a proposito di visione lunga).
Si è stretto l’occhiolino alle diverse corporazioni che sul turismo ci campano e si ingrassano, qualche volta anche in maniera oscura.
Se pensiamo che l’Amm.ne C.le finanziava largamente – cosa che fa ancora parzialmente oggi – il Carnevale, invocato a gran voce dalle categorie del turismo che si sono sempre ben guardate dall’investire anche solo qualche Lira prima e qualche Euro oggi nell’organizzazione, quasi un atto dovuto.
Carnevale di Venezia, trasformato in una sorta di marchio commerciale, utilizzato come volano di un’attrazione turistica invasiva e per nulla qualificata, a dispetto delle sue radici culturali e di partecipazione attiva dei residenti che l’originale progetto di Scaparro aveva riscoperto.
E così facendo, incentivando e non governando il fenomeno turismo, è finito che è dilagato e si è insinuato fin nelle case dei veneziani, molti dei quali ancora residenti, hanno cominciato ad aprirsi alla domanda di alloggio che le piattaforme innovative di quella che modernamente viene definita sharing economy offrono nel mercato globalizzato di un turismo sempre più globale.
Per non parlare delle seconde case acquistate dall’investitore “foresto” proprio con l’obiettivo di monetizzare al massimo l’investimento, ma così facendo una quantità importante di appartamenti vengono sottratti al mercato della residenza.
Per contrapposizione a tutto questo marasma in questi ultimi tempi hanno preso il via le manifestazioni dei vari “Venezia è il mio futuro”, “Venexodus” che se hanno un merito è quello di mobilitare un po’ di persone; se hanno un limite è quello di rischiare di mantenere un profilo folkloristico, attraente per i media internazionali, ma incapaci di un confronto stringente con la politica, con tutti i limiti che questa ha, ma che rimane pur sempre il referente ultimo per operare le scelte amministrative.
Ma il pericolo più grande che queste manifestazioni portano con sé è il consolidamento dell’idea dell’isolamento, meglio ancora dell’”isolismo” (il perimetro della città lagunare), che può determinare il rafforzamento di tutte quelle spinte separatiste che rappresentano più di ogni altra cosa il vero pericolo di una morte civile, sociale ed economica di una Città che per definirsi tale oggi come oggi non può che dimensionarsi in chiave metropolitana.
Non tanto la Città metropolitana che la legge Delrio ci ha consegnato e che bisognerà comunque rendere operativa efficiente ed efficace, ma quella più ampia e più consona al confronto internazionale della PaTreVe.



