
A proposito di orgoglio nazionale
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16 Luglio 2021Trattando di Luigi Brugnaro e della sua Coraggio Italia, si rilevano sui social immediato scetticismo ed espressioni svalutative, indirizzati al personaggio ed alla sua creatura politica. Giudizi piuttosto frettolosi, spesso basati sullo stile del sindaco, ed estesi alla sua formazione.
Quella di Brugnaro è una iniziativa che si propone di occupare un vuoto, quello che si sta allargando con la crisi di Forza Italia. Ci troviamo in una fase di polarizzazione politica, di scontro permanente tra la destra e la sinistra, e qualunque formazione che ambisca a collocarsi al centro dell’asse, in un’area moderata, viene inevitabilmente rivestita di minor peso e vista come trascurabile.
Il giudizio su Coraggio Italia è al momento in attesa, in quanto si tratta di un soggetto politico ancora non ben raffigurato; sarebbe prudente attendere di saperne di più in quanto a idee, programmi e politiche, qualora vengano delineate. La collocazione è prevista nella centrodestra moderato; ma il criterio della collocazione non dovrebbe essere l’unico criterio assunto.
E’ già successo ripetutamente, in campo nazionale, di attribuire giudizi affrettati ed interessati: quando si fece strada il M5S, anche da giornali di primaria importanza fu etichettato come creatura destrorsa emergente dall’humus berlusconiano. Ed invece il bacino di voti era sia a destra che a sinistra, come poi i risultati elettorali hanno confermato.
Quindi, come per ogni novità politica, è opportuno attendere che muova i primi passi. Vedremo, col tempo, come sarà accolta l’offerta politica di Coraggio Italia, e vedremo come opererà Brugnaro, il cui stile nel governo cittadino, a mio giudizio, non è accattivante: un modo di agire sbrigativo, a tratti superficiale.
Negli ultimi anni, vari movimenti o partiti hanno rappresentato le proteste di gran parte degli elettori, richieste di cambiamento o di protezione che sono state ritenute trascurabili; a questo giudizio negativo ha contribuito – e contribuisce – il giudizio negativo nei confronti dei leaders. Come pure, al contrario, il giudizio positivo sul leader talvolta contribuisce a mettere in ombra certe caratteristiche del suo partito o movimento, che sarebbero da approfondire. In passato la sinistra ha avuto leaders affascinanti e carismatici, la cui concezione democratica era però più consona alle cosiddette democrazie popolari dell’Est europeo che non alle democrazie occidentali, di stampo liberale.
Il giudizio sui leaders, sui personaggi, può essere ben diverso dalle istanze che questi leaders portano avanti. Anche se poi nel giudizio complessivo su una forza politica questi elementi sono ambedue da valutare, e concorrono alla scelta al momento del voto, ieri come oggi.
Salvini possiede uno stile piuttosto rozzo; però, oltre a rappresentare componenti razziste e xenofobe, da respingere assolutamente, rappresenta anche schiere di cittadini preoccupati dalla passività dello stato di fronte al fenomeno migratorio, preoccupati dalla mancanza di una efficace politica al riguardo. Ed è di questo tipo di preoccupazioni, di questo tipo di istanze che i partiti avversari dovrebbero tenere conto, per la ragione che, passato il momento del voto, il momento del conteggio, la politica è costituita anche da una ricerca di compromessi, niente affatto disonorevoli, in cui si cerca di emanare leggi che possano costituire una risposta accettabile da un numero di cittadini il più ampio possibile.
Altrimenti, se focalizziamo solo le componenti negative delle parti avverse, rimane più arduo, tanto per fare un esempio, capire la ragione per cui vari capisaldi rossi sono diventati a maggioranza leghista. E’ noto che – in particolare in Toscana – varie città e cittadine per anni roccaforti rosse sono passate al centrodestra. La rete di fiducia, estesa e potente, di cui era titolare l’ex PCI, si è tramutata in rete di sfiducia. Quali spiegazioni dare a questo mutamento politico? C’è chi tra i militanti di sinistra adduce una sorta di obnubilamento mentale. Oppure viene richiamato l’analfabetismo di ritorno: uno strano analfabetismo, che scansa gli elettori che votano a sx e avvolge quelli che votano a dx. Sono spiegazioni superficiali, emotive.
Citando ancora un caso, il 20% circa (o anche di più secondo altri) degli iscritti alla CGIL, in campo nazionale, che votano Lega (si vedano a tal proposito vari articoli di giornale, su internet): come considerarli, secondo i termini di una certa vulgata, comunisti o fascioleghisti?
Grillo con le sue invettive ha interpretato e dato voce alla carica moralistica – beninteso nelle intenzioni – riscuotendo agli inizi un travolgente successo; evidentemente, nel suo stile satirico, ha intercettato la voglia di cambiamento, la carica antipolitica, ed anche la genuina richiesta di onestà che emanava da una parte della popolazione.
Valutando allora una formazione politica, a quali sue caratteristiche dare peso, e quanto peso dare a ciascuna di queste, quando esprimiamo un giudizio?
Porto ad esempio il voto massiccio che i dipendenti pubblici, e in special modo gli insegnanti, hanno dato al M5S alle elezioni del 2018 (faccio riferimento all’articolo “Insegnanti e Cinque Stelle. La formidabile conquista grillina dei dipendenti pubblici italiani” di A. Magnani, IlSole24Ore del 9.3.2018). Gli insegnanti, nella loro protesta di natura essenzialmente sindacale/corporativa, indirizzata contro la “buona scuola” governativa, “…hanno trovato ascolto da parte dei grillini”, questa la ragione primaria del successo del M5S, scriveva l’articolista. Se si esaminano i tratti salienti del M5S, e se attribuiamo un peso preponderante a quelli ideologici, si trova ben strano il voto dato dagli insegnanti ad una formazione che privilegia il criterio dell’ ”uno vale uno”. A ben pensare, l’adesione di un insegnante a questa ideologia è una svalutazione del proprio operato, la cui missione è trasmettere conoscenza e cultura, in conseguenza delle quali il parere della persona istruita e dell’esperto non può avere lo stesso peso – beninteso conoscitivo, non elettorale – di un cittadino ignorante. Il fatto che il peso dato alla disponibilità del M5S all’ascolto abbia offuscato il peso dato a quella sua caratteristica ideologica, era difficilmente prevedibile.
Diversificare il peso da dare alle caratteristiche salienti di un partito è una scelta che riguarda ognuno di noi, piuttosto laboriosa e difficile, che inevitabilmente differisce dalla scelta che compie un altro cittadino, anche di idee coincidenti o vicine alle nostre.
E’ stupefacente leggere sui social frasi come “se uno ama la democrazia non può votare per quello o quell’altro partito”; è una affermazione assolutista, in quanto nessun partito possiede il monopolio dello spirito democratico. Magari in passato quello che veniva chiamato l’arco costituzionale rappresentava un buon criterio di catalogazione, oggi superato.
E’ opportuno dunque cercare di valutare il maggior numero di elementi possibile, dal leader all’ideologia, dalle politiche proposte ai gruppi da rappresentare, e questo dovrebbe essere il compito di un buon dirigente di partito.