Sviluppo e conservazione, adelante con juicio!
27 Giugno 2020CONO DI LUCE Orchestra Tipica Madero
28 Giugno 2020Capita, soprattutto in periodi elettorali, di udire o leggere la frase “un uomo solo al comando”, quando si paventa il pericolo che un temuto avversario vinca le elezioni imminenti: una frase dall’effetto denigratorio, che allude ai misfatti certi o probabili di cui quel dato personaggio politico, una volta in carica, sarebbe artefice.
Questo timore viene richiamato sia a livello nazionale, sia a livello locale. Deriva da un substrato culturale e ideologico sedimentato; del resto la nostra Costituzione fu improntata a scongiurare tale rischio, dopo la tragica avventura mussoliniana. Fin dall’inizio fu preferita l’impostazione elettorale che privilegiava la scelta degli apparati di origine ideologica alla scelta dei governanti.
Ma soffermiamoci sul livello locale. Premetto che formulo queste considerazioni indipendentemente dal colore politico del sindaco in carica e di quello che vincerà le prossime elezioni comunali.
Lo slogan “uomo solo al comando” è rivendicato sia come accusa al sindaco in carica, sia come condizione da evitare : “non sarò un uomo solo al comando!” ha proclamato un candidato, “farò un gioco di squadra!”; in questo caso prendiamo l’affermazione per una buona intenzione, ma che il gioco di squadra poi sia reale o rimanga uno slogan, sarà solo il sindaco che comparirà come titolare della politica urbana.
Si presume che l’espressione venga usata in modo figurativo, in quanto l’uomo solo al comando non esiste fattualmente. Ma anche se usata in modo figurativo, è fuorviante come raffigurazione della carica di sindaco; tende però ad avere un valore simbolico, in negativo, oltre che possedere una impronta demagogica.
Dallo slogan, si passa talvolta a criticare o svalutare la legge sull’elezione del sindaco, la n.81 del 25/3/1993, con cui venne introdotta l’elezione diretta e la nomina dei componenti della giunta da parte del sindaco eletto, mentre in precedenza sia il sindaco sia la giunta erano eletti dal consiglio comunale.
Vorrei allora ricordare i motivi e l’iter che hanno portato all’approvazione della 81/1993, che ha mutato la configurazione del governo locale.
Un primo tentativo di riforma dell’ente locale si ebbe con la legge n.142 del giugno 1990 “Ordinamento delle autonomie locali”; l’obiettivo era di scoraggiare le crisi del governo locale, dato che, in quel momento, varie ricerche indicavano che la durata media di una giunta nel periodo tra il 1972 ed il 1989 era stata di 22 mesi. Era diffuso il “partito degli assessori”, con molta voglia di protagonismo, che spesso facevano riferimento ad un leader nazionale del loro partito.
La legge 142/90, nonostante contenesse meccanismi dissuasivi nei confronti delle crisi comunali, si rivelò insufficiente, per cui si fece strada l’opzione favorevole all’elezione diretta del sindaco.
La legge sull’elezione diretta del sindaco fu preceduta da una corale e corposa elaborazione di meccanismi elettorali, espressi dai vari partiti. Era una esigenza collettivamente sentita: l’obiettivo primario era la stabilità, la durata certa (o quasi, tranne che nei casi di grave sfiducia) della consiliatura e degli organi di amministrazione comunale per i cinque anni previsti. Questa legge rendeva più facile per l’elettorato l’imputazione di responsabilità: eliminando le frequenti crisi di giunta, era più agevole individuare l’iniziatore di una politica urbana, condivisa o meno.
L’obiettivo della stabilità quinquennale è stato raggiunto. La possibilità di alternanza anch’essa raggiunta, ancora più nella situazione attuale, in quanto la volatilità del voto (cioè la percentuale aggregata di elettori che ha cambiato voto da un partito all’altro rispetto alla precedente votazione) permette, con l’apporto delle liste civiche o delle liste di appoggio, la formazione di nuove coalizioni.
Qualcuno rimpiange il ruolo dei consiglieri comunali, visti, come un tempo, come punti di riferimento per l’accoglimento di istanze espresse da cittadini o gruppi di interessi.
L’ipotesi che, se non fosse stato depotenziato dalla riforma, il consiglio sarebbe tuttora il portavoce efficiente delle istanze dei cittadini è però discutibile, in quanto si vorrebbe tornare ad un sistema vetero-consiliare in una situazione, quale quella attuale, di marcata destrutturazione dei partiti. I partiti hanno perduto – in gran parte – la loro visione ideologica e programmatica, anche se continuano a controllare i seggi in consiglio comunale.
Un tempo, il partito fungeva da principale riferimento per le esigenze dei vari gruppi o comitati di cittadini. Oggigiorno i partiti e le formazioni politiche sono meno attrezzate a fungere da filtro nei confronti di queste associazioni. I portatori di interessi, rispetto a trenta anni fa, sono in misura maggiore esterni ai partiti e al consiglio comunale; ed è illusorio tornare ad una situazione in cui il partito si faceva interprete e fagocitava questi interessi.
Oggi proliferano i comitati, che talvolta si trasformano in liste elettorali e si candidano alle elezioni: il loro programma è spesso centrato su obiettivi settoriali, con una immagine ideologica spesso fumosa, basata su slogan adatti ad esprimere rivendicazioni, più che ad esprimere un programma amministrativo; e sono talvolta espressione di un marcato protagonismo.
Rigettando il semplicistico e fuorviante slogan “un uomo solo al comando”, è importante tuttavia lo “stile” politico di un sindaco. Per questo al candidato da eleggere si richiedono risorse personali, disponibilità e capacità; una volta eletto, gli si chiede di essere sindaco di tutti i cittadini, da dimostrare con i fatti.
Ci sono sindaci che non solo per il loro programma politico, ma anche per il loro stile di comando sono riusciti a costruire un rapporto fiduciario con gran parte dei cittadini, a godere di un consenso trasversale.
Dall’altra parte, si chiede ai cittadini di considerare un sindaco come un amministratore politico legittimato dal voto popolare, anche nel caso in cui il livello di astensione dal voto abbia favorito l’elezione di un candidato che non gode dell’appoggio di larga parte della cittadinanza. Anche l’astensione fa parte del responso elettorale: se è considerevole, significa che l’offerta politica è sofferente.
Gli appelli alla delegittimazione, il disprezzo sistematico per la persona e il rifiuto di quasi ogni atto politico del sindaco, visto come disastroso, non fanno parte di una concezione comunitaria – e democratica – della vita cittadina.
Riguardo allo stile politico, il sindaco dovrebbe avere la volontà e la capacità di dialogare con le organizzazioni portatrici di interessi, che siano comitati di cittadini o lobby, tutti legittimi.
E’ uno snodo fondamentale che un sindaco si trova ad affrontare, quello della mediazione. Il buon funzionamento dell’apparato di mediazione – inteso come comprensivo di formazioni politiche, associazioni economiche e professionali, gruppi di interesse – riduce il rischio che il governo locale non sia in grado di recepire le istanze della cittadinanza e di attuare le risposte volte alla loro soddisfazione.
Tra le associazioni, il cui elenco talvolta è impressionante, ce ne sono che portano avanti istanze di opposizione radicale e incompatibili con il programma del sindaco eletto: una selezione allora è opportuna. Esistono studi sul coinvolgimento di comitati e istituzioni, per esempio per la localizzazione di impianti di trattamento rifiuti, dove il processo di consultazione si è rivelato quasi insostenibile e per certi versi inutile, imperando la condizione NIMBY (not in my blackyard, non nel mio giardino) elevata a criterio assoluto di opposizione da parte dei cittadini della zona prescelta. Qui mi permetto di rimandare al mio articolo https://www.luminosigiorni.it/2017/08/intermediazione-o-disintermediazione/, con riferimento ad esperienze di intermediazione condotte con passione e dedizione, ma risultate macchinose e onerose, anche in termini di tempo dedicato.
Ma l’attenzione ai comitati e alle associazioni di interesse è fondamentale, in quanto attiva dinamiche funzionali ad evitare la radicalizzazione dei rapporti tra chi esprime domande, i cittadini, e chi attiva risposte, l’amministrazione comunale. Quanto alle municipalità, meriterebbero, a mio avviso, un discorso a parte.