Lingua italiana: illustre sconosciuta
18 Giugno 2012Parole come cactus. Lungo l’Osellino
25 Giugno 2012I cosiddetti extracomunitari non sono più un fenomeno marginale ed episodico della nostra società. Sono una realtà tangibile e diffusa. Nelle città grandi e piccole ci sono addirittura intere comunità d’individui provenienti da parti del mondo vicine e lontane, in cerca di una vita migliore.
Col crescere di questa presenza si è andato diffondendo tra i nostri concittadini un nuovo passatempo: quello di sentenziare su quali siano le caratteristiche peculiari, diciamo così le specifiche “etniche”, di questi o quegli “extracomunitari”: i cinesi sarebbero fatti in questo modo, mentre i magrebini invece hanno queste altre caratteristiche; e gli albanesi sono così, i filippini sono in un’altra maniera, i moldavi – ah non parliamo dei moldavi, e i senegalesi avrebbero chissà quali caratteristiche, e gli ucraini hanno le proprie, e via di questo passo.
Quasi sempre si tratta di giudizi negativi o almeno sminuenti e riduttivi. Se non sono ancora razzismo, poco ci manca. Il confine tra ciò che non è e ciò che è razzismo è tanto labile quanto diffusa è la confusione tra due piani che andrebbero invece distinti: la cultura e la natura.
A volte i pregiudizi e le semplificazioni sono così radicate che impediscono di vedere la semplice realtà. Ma chi come me ha avuto la ventura d’insegnare per tanti anni ad adolescenti nella scuola pubblica, si è fatta un’altra idea, che alla fin fine è una grande banalità: ma a volte le cose che abbiamo davanti agli occhi sono quelle che più ci sfuggono.
Cominciamo dagli studenti “nostrani”: come sono gli studenti italiani? Una domanda veramente stupida, in effetti. E’ ovvio che gli studenti italiani sono come sono: ce n’è di tutti i tipi. Però una cosa si può dire, è quasi una costante. Gli studenti svogliati, riottosi, indisciplinati, con cattivi risultati scolastici sono quasi puntualmente (il quasi è d’obbligo) quelli che hanno il vuoto alle spalle: famiglie per qualche motivo assenti, genitori in tutt’altre faccende affaccendati, padri e madri a mezzo servizio, messaggi degli adulti contraddittori o nulli sull’importanza dello studio e della scuola e via di questo passo. E gli alunni migliori hanno (di solito) alle spalle famiglie calde, rassicuranti, coerenti, che sorreggono, accompagnano (e pongono anche divieti).
Il che equivale a dire che l’ambiente ha un’incidenza rilevantissima nella formazione dei caratteri. L’ambiente familiare, anzitutto. Poi l’ambiente sociale, anche. E pure l’ambiente “culturale” ha il suo peso: ove per cultura s’intenda, in senso antropologico, l’insieme di valori e disvalori, priorità e pregiudizi in cui si è cresciuti. Dunque anche il paese di provenienza, la “cultura” in cui si è stati allevati, avrà certo il suo peso. E tuttavia…
Tuttavia, gli alunni straneri, alla fin fine, come sono? Ebbene, sono “diversi”… esattamente come tutti gli altri. Ho insegnato a filippini svogliati e filippini diligenti, marocchini menefreghisti e marocchini volenterosi, egiziani distratti e passivi ed egiziani impegnati e attenti. E così dicasi per moldavi, ucraini, rumeni, pakistani ed altri ancora. Gli alunni non si distinguono gli uni dagli altri per la loro nazionalità, ma sono, in questo senso, esattamente uguali a tutti gli altri alunni (e a tutte le persone). La differenza tra gli individui non ha niente a che fare con l’origine etnica e tanto meno con la fantomatica “razza”. I fatti s’incaricano sempre di dimostrare come le teorie su questo genere di pregiudizi siano bubbole e fole prive di fondamento. Alla fin fine, quelle che contano sono le persone, non le etnie. Siamo tutti egualmente diversi. Siamo tutti, potremmo dire, stranieri.