La città del futuro 1: salvaguardia dei vecchi mestieri
22 Settembre 2013A proposito di Renzi
24 Settembre 2013La conclusione fallimentare dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico tenutasi dal 20 settembre a Roma ha provocato una reazione a catena di commenti che hanno avuto nella stampa e soprattutto, ancora una volta, nell’web la palestra per andare a ruota libera e con alcuni caratteri comuni a tutti gli esternatori: indignazione, sarcasmo, scoraggiamento, vergogna, distacco, commiserazione, pessimismo nei confronti di questo spettacolo poco edificante. Sia chiaro il coinvolgimento emotivo per il fallimento ha riguardato come sempre una platea comunque ristretta all’area dei militanti/simpatizzanti/politicizzati/interessati e direi a solo una parte minoritaria degli stessi elettori. In questa platea la reazione è risultata comprensibile ma, consentitemi, ha seguito lo stereotipo comune e prevedibile della ‘base delusa’ che già si era visto in altre occasioni.
Non per cantare per partito preso sempre fuori dal coro, ma siccome una delle ragioni di questa testata è quello di far riflettere oltre le emozioni, vorrei far presente che in realtà in quest’assemblea non si discuteva di quisquiglie. Mentre l’opinione generale è che parlare di regole, di date, di forme sia una perdita di tempo per addetti ai lavori, qualcosa che non interessa alla gente comune mentre “ben altro” urge ( scatta come al solito il “benaltrismo”). Persino la mancanza del numero legale dell’assemblea, l’aver rimandato ancora una soluzione condivisa e gli intrecci con il governo non vanno derubricate come assenteismo, come tatticismo o solo come corporativismo correntizio. A parte il fatto che le regole sono un cardine della democrazia e che non sono mai “quisquiglie”, mi pare che dietro le quinte di questo ‘impasse’ del PD si stia giocando una partita decisiva non per quel partito, bensì a parer mio per tutto lo scenario della società italiana. Ci sono due concezioni della politica, e della società in cui sta la politica, che si stanno confrontando e inevitabilmente scontrando. Forse sono allo scontro finale e la cosiddetta ‘gente comune’, andando oltre all’aridità del tema, farebbe bene ad interessarsene un po’ di più perché ciò che ne varrà fuori riguarderà anche le vite comuni delle persone.
Da una parte infatti c’è la resistenza da parte di un corpo politico solido che si è sempre immaginato come avanguardia strutturata della società civile, ma separato da essa e autosufficiente. La stessa definizione di ‘casta’ attribuita a questo corpo è riduttiva e, se generalizzata, addirittura ingenerosa, nonostante anch’io per necessità di semplificazione e per la sua efficacia l’abbia usata in molti casi. Però realmente la politica del secolo scorso, presente ancora nella mente di molti dirigenti di questo partito, si immaginava strutturata e capace di filtrare esigenze, interessi, anche sogni e utopie di categorie sociali fisse e solide, sempre ben identificabili. Questo corpo, presente per inerzia storica in modo ancora massiccio e diffuso nel Partito Democratico e, cosa da non poco conto, in tutte le Istituzioni pubbliche e private che a quel partito fanno riferimento, sta vendendo cara la pelle a chi invece crede o pensa di interpretare la politica alla luce dei cambiamenti epocali di questo passaggio di millennio. Perché se questo corpo crolla crollerebbe tutto il castello di macro e micro poteri costruito non ieri l’altro ma in decenni e per intere generazioni.
Dall’altra infatti c’è la spinta a ribaltare questa concezione della politica per adeguarla a una società mobile nella quale si sono frantumati gli interessi di massa e collettivi diluiti in mille rivoli. Il fatto che più ancora del passato si sia accentuato il divario tra povertà e ricchezza non cambia la sostanza di una società liquida, per certi aspetti anonima e per altri dai mille volti; e nella quale i sistemi di comunicazione non possono più essere quelli di una società semplice. Una nuova concezione della politica prevede di necessità una presenza leggera del partito in una società leggera, superficiale, sfuggente. Unico riferimento pesante, in questa leggerezza, il leader con tutti i rischi, concreti, della personalizzazione della politica e dell’accentramento di potere. Ma con gli indubbi vantaggi della maggiore semplicità a toglierlo nel caso sia necessario toglierlo.
Se d’altra parte proprio sul potere si fonda la politica, in questi giorni all’assemblea del PD è andato in scena proprio uno scontro di poteri; tra chi il potere ce lo ha ancora e non lo vuole cedere perché pensa che una struttura solida e capillare serva ancora non per interessi fini a se stessi, che pure esistono, ma anche per interessi pubblici e chi aspira ad impossessarsene per gestirlo in modo nuovo e più adeguato al funzionamento di una democrazia moderna. Dove i principi di uguaglianza e di giustizia per non essere parola vacua devono di necessità trovare nuove forme e nuovi linguaggi e possibilità concreta di essere realizzati.
Mi rendo conto che dare una lettura così mediata e alta di ciò che si è visto in questi giorni stride con l’immagine ricevuta di un partito allo sbando e disorientato. Ma mi pare di poter dire che là dentro non si trovano gli accordi sulle regole, si temporeggia e si rimanda all’infinito perché là dentro, dietro ad un apparente disorientamento, c’è invece la piena lucidità e la piena consapevolezza da parte di tutti i protagonisti circa la portata della posta in gioco che ho tentato di delineare. E prima o poi sapremo chi, per il momento, avrà vinto.