
Politica estera?
22 Febbraio 2019
UTILITA’, CONVENIENZA, NECESSITA’: PAROLE CHIAVE PER ABBATTERE I MURI
24 Febbraio 2019Prima riflessione: il prossimo 3 marzo quella cosa scalcagnata, eternamente litibonda (che non so manco se esiste come termine ma sono invidioso di quel petaloso ok?), un tantino sfigata che si chiama PD da a tutti una lezione su cosa significhi davvero “democrazia diretta e partecipata”. Non un voto, magari hakerabile, dato facendo clic sulla stessa tastiera da cui vomitano insulti, ignoranza, mediocrità. O da congressi degni più del PCUS che di una autentica democrazia occidentale. No. Noi vogliamo che chiunque se la senta esca di casa, vada in un seggio (talvolta improvvisato) e metta la croce sul nome di uno dei tre candidati alla segreteria del partito. Queste sono le,primarie. Questo è il nostro modo di fare politica. E, seppure con mille errori, a me pare sia comunque un ottimo modo per fare politica.
Seconda riflessione: chi votare? Perché fino ad oggi nel PD vi era una sorta di perversione isterica: non conta chi vince il congresso perché comunque la minoranza è (quasi) più importante della maggioranza. Se proprio volevano ereditare qualcosa della vecchia DC forse avrebbero dovuto scegliere altro! Perché un partito che si dica davvero “democratico” non è un partito che a suon di mediazioni, compromessi, scelte al ribasso punti ad un unanimismo (che a me ricorda quella cosa che da bambini ci dicevano di non fare perché rischiavamo di diventare ciechi) sterile. No. Un partito democratico è quello che crea le condizioni perché chi, oggi, è in minoranza possa provare, nel rispetto delle regole, a diventare maggioranza. Che è ben altra cosa di quel “tocco blu non gioco più” che ha logorato mica solo Renzi sia chiaro (chiedere a Veltroni ad esempio).
Dunque. Tre opzioni. Due, più simili tra loro di quel che sembra. Martina e Zingaretti sono facce “opposte” di una stessa medaglia, Bravi entrambi sia chiaro (a Martina mi verrebbe da rimproverare solo la quasi totale assenza di “difesa” delle scelte del governo Renzi di cui lui, da ministro, era parte integrante). Seri. Competenti. Ma…..
Lo lasciamo per un istante sospeso quel “ma” va bene? Ora già il fatto che, seppure in misura e toni diversi, entrambi parlino genericamente di sinistra a me fa girare gli zebedei. Perché qui ci si ostina a non capire una cosa. Anzi due. La prima è la più ovvia: la sinistra in Italia non è mai stata maggioritaria. Non vi piace l’idea? Andatevene a vivere da qualche altra parte. La seconda: destra/ sinistra hanno ancora un senso in un’epoca come questa dove gli -ismi non sono più quelli novecenteschi ma formano parole come sovranismo, populismo? Ancora: l’elettorato è mobile oramai. Un giorno va da una parte, il giorno dopo da un’altra. Ecco perché sullo sfondo della dialettica congressuale del PD si muove l’interessante prospettiva di Carlo Calenda. Forse la sola che rappresenta una vera e propria “apertura” essendo le altre connaturate dal solito difetto di una parte della sinistra riassumibile nello slogan “apro ma controllo comunque io”.
Se si analizzano, ma proprio in maniera semplice semplice, i dati elettorali emerge con assoluta chiarezza che Lega e grillini hanno pescato su un bacino elettorale consolidato. L’astensionsmo anziche calare aumenta. Segno che crescono semplicemente strappando elettori agli avversari non restituendo alla politica chi ha deciso di starsene fuori.
E torniamo al “ma” lasciato in sospeso prima. Perché Renzi ha avuto successo? Perché ha trasmesso cose di cui nel nostro Paese c’è un disperato bisogno. Cose che sono parole come passione, visione, futuro. Il che unite a quella ambizione che in Politica è fondamentale hanno permesso al centrosinistra di tornare alla guida del Paese portando a compimento una serie di importanti riforme e, nello stesso, tempo, di incidere pure sulla fisionomia europea del PD (pochi ricordano che è stato Renzi a portare il PD nell’alveo del PSE roba che D’Alema c’ha avuto gli incubi per anni).
Non solo Martina e Zingaretti sono intrisi di quel modo di far politica del PCI (a me ha fatto sempre morire l’ossimoro del centralismo democratico ) dove certi metodi proprio non gliela fai a perderli (chiedere al buon Richetti per delucidazioni). Ma soprattutto , barba o non barba, fratelli famosi o non famosi, questa passione non la trasmettono. Perché ci vuole un leader che mostri l’umanità della politica e con essa mostri il suo lato umano, quello poetico, i suoi sogni. In quel “c’avete la faccia come er culo” quasi urlato contro i dissidenti antirenziani qualche tempo fa, Giachetti ha dimostrato di avere queste doti.In una società come la nostra non contano tanto i programmi, conta l’empatia che si trasmette, il coraggio di andare controcorrente, l’essere sempre e comunque in direzione ostinata e contraria. Il Giachetti radicale. Che scrive poesie, che gira in vespa. Che magari si fuma pure una canna (e vivaddio!!!!) è ciò che serve per restituire umanità alla politica.
Dicono: Giachetti perderà. Embe? Vi ricordate quanti congressi ha perduto Renzi prima di vincerne uno? E anche se fosse? Intanto essendo la politica espressione di democrazia, i numeri contano (tranne che per questo governo). E dunque non conta tanto se si perde ma di quanto si perde. Poi,comunque sia, si apre uno spazio che va perfettamente d’accordo coi “comitati civici” che si stanno diffondendo in tutta Italia, da un lato, e proprio con l’iniziativa politico-europeista di Calenda. Nel frattempo ovvio che tra Martina e Zingaretti, fossi Giachetti sceglierei il primo. Ma non penso che, a ruoli invertiti, Martina sceglierebbe la coppia Giachetti & Ascani (mi perdoneranno le mie affezionate – che chiamo così solo per la mia personale autostima- lettrici se non ho scritto anche di lei). Ma cosa conta? Cosa conta quando, votando Giachetti/ Ascani abbiamo la possibilità di urlarlo ancora una volta quel “c’avete la faccia come er culo”?