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Ma cosa occorre per affermare che un paese è democratico. Quali sono gli indicatori che ci collocano uno stato nell’alveo dei paesi democratici? La sovranità popolare? Il suffragio universale? Non solo, tanto è vero che in molti paesi che rientrano nella definizione di paesi autocratici o addirittura teocratici, esistono elezioni a suffragio universale, più o meno libere ma senza pluralismo politico. Possiamo affermare che la Russia è uno stato democratico perché ci sono pseudo-elezioni, per niente libere? In realtà in quasi tutti gli stati ci sono elezioni, da Israele alla Turchia, all’Egitto, all’Iran. Ma è una condizione sufficiente per affermare che sono democrazie? Quali categorie sono necessarie, quali condizioni sociali, economiche, etiche sono necessarie per dichiarare che uno stato è democratico?
La democrazia è decisamente una forma di governo molto giovane. Al di la’ della democrazia ateniese di Pericle, l’idea di democrazia nasce con l’Illuminismo, con la Rivoluzione francese, con l’idea di liberté, egalité, fraternité e con la Costituzione americana. Teorizzata da Montesquieu con L’esprit des lois, con la separazione dei poteri o da Rousseau ma come democrazia diretta, le vere e proprie democrazie sono esperimenti e modelli politici decisamente recenti. A parte l’America e il Regno unito, non erano certamente democrazie le monarchie costituzionali fino ai primi del ‘900. Quindi potremmo collocarne la nascita dopo la fine della prima guerra mondiale ma erano ancora sistemi prevalentemente liberali, talmente fragili che furono spazzati via dal vento del fascismo e del nazismo. Fatti che ci dicono una verità: che la democrazia non ha gli antidoti per difendersi da chi l’attacca, da chi la mina dalle fondamenta, o da chi usa il potere solo per scopi puramente personalistici e non per garantire il potere del popolo o la sovranità popolare.
Il fatto che si possa votare, di per sé, quindi, non è un indicatore sufficiente di democrazia.
Infatti le caratteristiche fondamentali di uno Stato democratico devono essere:
- Il primato della costituzione che è la base della democrazia rappresentativa;
- Il pluralismo politico, per cui i cittadinipossono esprimere liberamente le proprie scelte politiche e organizzarsi in partiti;
- Il suffragio universale che comporta il diritto di voto di tutte le cittadine e di tutti i cittadini maggiorenni;
- La separazione dei 3 poteri;
- La presenza di uno Stato di diritto che tuteli anche i diritti delle minoranze;
- La libertà di manifestazione del pensiero, le libertà di riunione e di associazione;
- La libertà di stampa e di informazione;
- Il principio della maggioranza e dell’alternanza;
- La laicità dello stato che deve essere indipendente dalla religione;
- Il welfare state che garantisce tutele e garanzie per i più deboli e il principio di uguaglianza.
L’Economist nel ’21 ha pubblicato i risultati del nuovo Democracy Index, l’indice che misura il livello di democrazia degli Stati. L’indice è composto da 5 indicatori: processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzione del governo, partecipazione politica, cultura politica. Sulla base della media si compone il punteggio che porta a classificare le nazioni in 4 categorie: democrazie piene, democrazie imperfette, regimi ibridi e regimi autocratici. Questa analisi viene condotta annualmente dal 2006. Nel 2021 ha classificato 167 Stati, suddividendoli così sulla base dei punteggi: 21 sono democrazie piene, 53 sono democrazie imperfette, 34 sono regimi ibridi e 59 sono regimi autoritari. A vivere in una democrazia, piena o imperfetta, è il 45,7% della popolazione mondiale, mentre in un regime ibrido vive il 17,2% e in un regime autoritario il 37,1%. Solo il 5,7 % della popolazione mondiale vive in paesi in cui vige una democrazia perfetta; il 35% in regimi autoritari.
L’Italia è la 31a democrazia del mondo ed è classificata come “democrazia imperfetta” con un punteggio di 7,68 (bisogna infatti superare 8 per essere una “democrazia completa”) (dati dal Web).
Per chiarire, qualche definizione sulla base del Democracy Index, anche se piuttosto intuitiva:
Le democrazie piene sono le nazioni in cui ci sono elezioni libere, libertà civili e politiche rispettate, valido sistema di pesi e contrappesi, magistratura indipendente, pluralismo dell’informazione.
Le democrazie imperfette come la nostra dove elezioni libere e libertà civili sono garantite ma può essere violata la libertà dell’informazione, una cultura politica poco consolidata, “bassi livelli di partecipazione alla vita politica mal funzionamento del governo”.
Regimi ibridi dove ci sono irregolarità nelle elezioni, repressione dell’opposizione, magistratura non indipendente, corruzione estesa, pressione sui media, debole principio di legalità e bassi quasi nulli i livelli di partecipazione politica.
Regimi autoritari: Assenza di pluralismo politico, dittature, violazioni sulle libertà civili, elezioni non libere, media controllati dallo stato e magistratura non indipendente e censura onnipresente. (dati dal Web)
Ma nel mondo negli ultimi anni si sta registrando una tendenza generale alla regressione e stagnazione. La regressione maggiore si è verificata tra le non-democrazie classificate come regimi ibridi e regimi autoritari. Ciò significa che i regimi non democratici si stanno consolidando e che i regimi ibridi faticano sempre di più a democratizzarsi. E, infine, che i regimi a democrazia imperfetta possono scivolare verso forme di crisi della democrazia o verso le cosiddette “democrature”, vedi l’Ungheria di Orban dove si assiste ad un grave arretramento democratico e violazione dei valori dell’Unione.
Infatti, nel 2023 il punteggio medio globale di partecipazione politica è diminuito rispetto all’anno precedente e indica un profondo disincanto sulla possibilità di realizzare un reale cambiamento. Basta guardare anche da noi la disaffezione alla politica, la coscienza che “sono tutti uguali”, la consapevolezza che “nulla cambi”, testimoniato dalla risibile affluenza alle urne che, però, non è un dato solo italiano.
La categoria della cultura politica, che misura aspetti come “il sostegno popolare alla democrazia, all’esercito o al governo degli esperti”, ha registrato un calo. La frustrazione per il funzionamento della democrazia ha portato un numero crescente di persone ad abbracciare alternative non democratiche. Per invertire questa preoccupante tendenza all’allontanamento dalla democrazia, i governi e i partiti politici devono impegnarsi per ripristinare la fiducia nella democrazia rappresentativa coinvolgendo l’elettorato.
La libertà di espressione e la libertà dei media risultano sotto attacco e sottoposti a controllo anche nelle democrazie sviluppate oltre che nei regimi autoritari. Un quarto potere che dovrebbe restare svincolato dagli altri e che spesso, invece, impone pensiero unico, rimanendo una delle maggiori minacce alla democrazia e al pensiero plurale.
Un’altra caratteristica della democrazia moderna è la separazione tra Stato e Chiesa, cioè l’indipendenza da tutte le religioni. Principio, questo, strettamente connesso con quello della laicità dello Stato e laddove lo stato si identifica con una religione non può esserci democrazia. Israele, ad esempio, è uno stato ebraico e quindi si identifica con una religione, rendendo vita difficile alle minoranze religiose, per non parlare di altri stati teocratici.
Un altro dei problemi che si pone è il rapporto tra capitalismo e democrazia: se diamo uno sguardo a volo d’uccello sui paesi a livello mondiale, notiamo come il capitalismo e l’economia di mercato prolificano nei paesi democratici e a loro volta i paesi democratici sono tutti paesi capitalisti, cosa dalla quale si deduce che capitalismo e democrazia sembrano inscindibili. In teoria, paradossalmente, non è esattamente così perchè sembrerebbero categorie incompatibili in quanto la democrazia si dovrebbe basare su principi di giustizia sociale, di uguaglianza, di solidarietà con le fasce più deboli, laddove, al contrario, il capitalismo, basandosi sull’etica del profitto e sulla disuguaglianza tra chi detiene il capitale e il lavoratore, segna profonde differenze sociali, politiche, oltre che economiche. Come sono allora conciliabili? E’ una questione che affronta in modo illuminante il regista Michael Moore in vari film Fahreheit 9/11oltre che Capitalism, a love story. Come far sì che diventino compatibili e che il contrasto non sia irriducibile?
L’introduzione di un forte welfare state, contrastando il capitalismo o «neo-liberismo selvaggio», dovrebbe colmare il gap e le sperequazioni tra classi trasformandolo in un “capitalismo dal volto umano” che sia sostenuto dall’etica, dal rispetto delle costituzioni che tutelano i diritti sociali, il diritto all’istruzione, il diritto alla sanità e un sistema fiscale come mezzo di redistribuzione della ricchezza. Con questi accorgimenti forse la conciliazione fra capitalismo e democrazia è ancora possibile. Economisti come J.W. Smith propongono l’instaurazione di una “democrazia economica” convinti che una forma di “capitalismo cooperativo”, caratterizzato da scambi equi, possa contribuire all’avanzamento dello Stato sociale.
Ma oggi è davanti ai nostri occhi una profonda “crisi della democrazia, in tutto l’occidente, dovuta anche a dinamiche economiche” oltre che a vari altri fattori. Diritti negati o che fanno fatica ad essere normati, un funzionamento dello stato che spesso mal tollera controlli da parte degli organi preposti o un governo che argina il loro potere e che non sempre garantisce il funzionamento dei pesi e dei contrappesi, la nascita di partiti personalistici (soprattutto in italia) legati non a valori riconoscibili ma a figure di leader spesso ondivaghi! Per non parlare dei tentativi di golpe, vedi Capitol Hill. E una destra che a livello mondiale si appropria di spazi che erodono sempre più libertà e diritti.
Pertanto è evidente che la democrazia è un sistema fragile, sempre più raro, non è mai data una volta per tutte, va coltivata, bisogna difenderla, proteggerla e garantirla ed è molto facile precipitare dall’una all’altra forma di governo se non si vigila. Se il parlamento non rivendica le sue prerogative, se noi cittadini non riprendiamo il nostro ruolo di custodi della nostra costituzione e della nostra democrazia, questa non ha gli strumenti né gli antidoti per difendersi da attacchi che vengono dal suo interno per smantellarla pezzo dopo pezzo. E che dire dei tentativi di riforma della nostra costituzione che vanno verso il premierato? Il rafforzamento dell’esecutivo ha come contraltare l’indebolimento del legislativo e dell’assemblea rappresentativa e il depotenziamento della partecipazione politica. Potremmo, quindi, assistere al “rovesciamento della democrazia partecipativa a favore di un sistema di autocrazia elettiva illiberale che della democrazia ha la scorza ma non la sostanza”(Zagrebelsky)
Dobbiamo, quindi, scongiurare il pericolo di precipitare verso sistemi ibridi e, anzi, di provare anche a fare il salto, a trasformarci da democrazia imperfetta ad una completa, contrastando le spinte autoritarie, in alcuni casi anche repressive o lesive della libertà di espressione e manifestazione, rivendichiamo il pluralismo dell’informazione, assumiamoci responsabilità con la partecipazione non solo al voto ma anche alla vita politica e sociale, fermiamo qualunque deriva verso forme di abuso di potere, richiediamo trasparenza nei processi decisionali, difendiamo e rivendichiamo i diritti di tutti, anche delle minoranze e promuoviamo i diritti umani che troppo spesso vengono vanificati o azzerati, vedi il problema dell’immigrazione. Allarmiamoci e indigniamoci quando assistiamo a tendenze sempre più preoccupanti.
Non facciamo come la rana bollita, impegniamoci prima che questo bene prezioso ci venga progressivamente sottratto senza che ce ne accorgiamo.