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13 Gennaio 2025Che la situazione nel mondo globalizzato sia quantomeno complicata ci vuole poco a capirlo.
Gli spazi perché un cittadino del Mondo possa sentirsi parte attiva dei diversi processi in atto sono chiusi a doppia mandata e la possibilità di contare, di incidere, di partecipare sono una pia illusione che al più relega tutti noi a meri spettatori delle vicende che prendono forma nei diversi scenari internazionali.
Era così anche “prima”? In larga parte, ma non come succede da qualche lustro.
La democrazia, diversamente partecipata, era un segno distintivo dei tempi, le “masse”, il popolo partecipava attivamente e influiva sulle decisioni dei governi, laddove almeno la democrazia era il segno distintivo di quelle società.
Al giorno d’oggi non è più così, al di là dei momenti elettorali in cui i cittadini esprimono i diversi livelli del loro gradimento, non ci sono più molti spazi per intervenire significativamente sui processi della politica. Men che meno a livello internazionale.
Pensiamo solo a come erano vissuti gli anni della guerra del Vietnam, come le scelte del governo Americano siano state influenzate dalle grandi manifestazioni di massa non solo in terra amica; gli anni del terrorismo italiano con i grandi cortei a sostegno della azione sindacale e politica; gli anni di Solidarnosc con un popolo ad affiancare gli scioperi dei cantieri di Danzica; gli anni della caduta del Muro con quella partecipazione straordinaria di tedeschi di qua e di là dal muro; i primissimi anni del Millennio con le grandi speranze della fine definitiva della guerra fredda (“la fine della storia”).
Poi arriva la prima rivoluzione tecnologica (quella dei Bill Gate e la sua Microsoft) che marcia a ritmi serratissimi, che poi con l’avvento degli smartphone (Steve Jobs e il suo iPhone) cambia le abitudini globali, che privatizza gli atteggiamenti ben al di là di quella che poteva essere l’espressione della individualità (Jeff Bezos e il suo Amazon che non vi fa più uscire di casa a fare la spesa), che ne fa un fenomeno collettivo nella forma più scaltra dei like (Mark Zuckerberg e il suo Facebook), dei followers, dando l’illusione che tutta questa “partecipazione” sia la nuova forma di un vivere collettivo.
E invece ognuno di noi si ritrova solo con sé stesso e i suoi dispositivi elettronici spogliato di ogni possibilità di interagire attivamente, nell’illusione che un post, un commento, un like, un’emoji ti renda davvero partecipe di quello che ti succede attorno.
Tutt’al più a darti l’illusione che condividere foto, filmati sia la nuova frontiera della partecipazione pubblica.
E invece più ci si intestardisce a pensarci soggetti collettivi più ci si isola e più i processi volano alti sulle nostre teste, prendono direzioni e pieghe che risultano davvero insondabili, ingestibili, inavvicinabili, spesso persino incomprensibili.
Come si spiegherebbe altrimenti il fenomeno Trump, il fenomeno Musk, l’invadenza capillare di tutte le fake news che si riversano, alimentate ad arte, nelle diverse piattaforme che hanno sostituito largamente l’informazione tradizionale, quella dei media consolidati (giornali, radio, TV).
Come è possibile che un pregiudicato possa candidarsi alla presidenza della maggior potenza militare mondiale, con il sostegno di quasi tutti i nuovi billionari dei social media e della hi-tech society, e come è possibile che riesca nell’impresa a scapito delle sentenze giuridiche messe in freezer da una Giustizia acquattata al nuovo potere?
Al confronto il nostro tycoon Berlusconi, passato a miglior vita, era un santerello, o forse anche solo un precursore, quando modificava le procedure a suon di colpi di maggioranza per ottenere la prescrizione o la depenalizzazione di alcuni reati.
Dove la democrazia si dimostra essere una creatura adattabile a tutte le esigenze.
Con questi supermiliardari della nuova frontiera tech (il nuovo Far West rivisitato, non a caso dislocato nella costa occidentale degli USA) che mettono assieme patrimoni – i miliardari della tecnologia valgono 2.100 miliardi di dollari – che superano largamente il PIL di molti Paesi di medie dimensioni come il Portogallo per restare vicini a noi.
Non che nel passato i super milionari (l’inflazione definisce il benchmark di riferimento finanziario) alla Rotschild, alla Ford, alla Rockefeller o in casa nostra gli Agnelli, non influissero e non determinassero le scelte politico-economiche dei governi, ma la loro invadenza “si limitava” a questo.
E com’è possibile che quel campione di tracotanza e di autocompiacimento rieletto Presidente degli USA possa esprimere le sue voglie imperiali (Canada, Groenlandia, Canale di Panama rientrano nella sua più recente sfera di interesse) senza che le Democrazie del Mondo non insorgano e non lo mettano in un angolo?
Putin di fronte a tanta protervia comincia a gongolare, lui che si è fatto padrone della Crimea, del Donbas e continua a imperversare con una guerra, non solo tecnologica, nelle carni vive ucraine.
Elon Musk, novello Rasputin alla corte trumpiana, non si limita a incrementare le sue diversificate, innovative e per certi versi geniali imprese industriali, ma si inserisce a suon di milioni di dollari nelle politiche di paesi estranei alla giurisdizione americana (ulteriore aggravante) per sostenere le peggiori espressioni della destra estrema pronte a sovvertire, qualora vincenti nelle elezioni molto condizionate da queste ingerenze non proprio “virtuali”, il sistema democratico e farne un simulacro.
Tutto questo nel cuore vivo della vecchia Europa che non ci cava un ragno dal buco di fronte alla marea montante della nuova destra che sta prendendo, passo dopo passo, il sopravvento.
Direte: ma i cittadini quando vanno alle urne possono sovvertire i pronostici. Vero, ma a condizione che il voto non sia ostaggio di pressioni di ogni tipo, soprattutto economico e dall’altro verso mediatico nella forma di cui si è detto prima (fake news, piattaforme schierate e social media orientati).
Queste sono le difficoltà con le quali sono chiamate a misurarsi le democrazie mature, questi sono i pericoli che definiscono l’insussistenza della partecipazione attiva dei cittadini.
Ricette? Davvero disperante il panorama che abbiamo di fronte, anche in casa nostra.
La Destra-centro che marcia solida, nonostante i distinguo e le piazzate salviniane, del tutto folcloristiche ma prive di reale capacità politica, guidata da Giorgia Meloni sempre più in sella ma sempre più acquattata ad accondiscendere il nuovo ordine mondiale (il suo rapporto privilegiato con Trump e il suo scudiero Musk sono la cifra della sua politica neoatlantica) non trova una opposizione che sia capace di incidere sulle scelte e sul posizionamento politico dell’Italia.
Al confronto il periodo di Draghi presidente del Consiglio è stata l’epoca d’oro della politica internazionale italiana, durata troppo poco per la stolida incapacità del centrosinistra di opporsi ai ricatti pentastellati e per la sua mancanza di visione strategica a dimostrazione che la situazione attuale non è figlia di un dio minore: Meloni vincente sui diversi tavoli con un’opposizione insussistente e poco incisiva (per mancanza di visione e di strategia) è la chiave di lettura dei “tempi moderni”.
In questo contesto misurare la capacità di trovare soluzioni virtuose adatte a far fronte al deficit di democrazia reale è una chimera.
La sinistra e il centrosinistra ragionano e parlano come se fossimo negli anni Settanta: più soldi ai lavoratori – che va bene, figuriamoci – con i cattolici democratici che chiedono più spazio, gli stessi riformisti attardati in polemiche novecentesche o in schemi politicisti o peggio ancora in ripicche personalistiche.
Aggiornerà le sue letture, il Pd? O si continuerà con i minuetti su campi larghi e federatori, mentre il mondo brucia? O con i micro-tentativi di stabilire un “Centro” (di gravità permanente) che sia in grado di sopperire alla mancanza di idee del Centrosinistra, da una parte, ma capace di affrontare di petto la strabordante invadenza della Destra-centro?
Questo è l’esame di coscienza che i dirigenti del centrosinistra devono fare se non vogliono finire come quelli evocati trent’anni fa da Nanni Moretti, quelli con cui «non vinceremo mai».
PS: l’immagine a corredo di questo articolo è stata creata da una delle app di IA (intelligenza artificiale) a cui è stato chiesto di produrre una foto che rispondesse al titolo di cui sopra. Così per dire di come siamo messi.



