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24 Settembre 2025La vicenda dell’ex Ospedale al Mare è nota ma per comodità del lettore la ricapitolo brevemente.
Nel 2003 chiude l’Ospedale al Mare e rimane il solo Monoblocco come presidio sanitario minimo per Lido e Pellestrina. Il grande complesso, costruito negli anni Venti, entra nella disponibilità del Comune. Dopo la disastrosa esperienza con East Capital, la Giunta Orsoni cede il complesso a Cassa Depositi e Prestiti che ne concepisce un uso ricettivo turistico a cui Italia Nostra oppone un ricorso al TAR per la prevista demolizione di 5 padiglioni (su 22 …). In ogni caso, il progetto si sgonfia da solo (in effetti un investimento colossale per un altro albergo di lusso, non una grande idea). Nel frattempo, il complesso continua a languire nell’abbandono.
Nel 2022 la svolta. L’imprenditore nel campo medicale Frank Gotthardt, innamorato del Lido, presenta una proposta di valorizzazione della struttura (il cosiddetto “Progetto MARE”) che consiste nella trasformazione in un centro di ricerca avanzata nel settore medico. Di fatto un campus tecnologico. Per Venezia e il Lido (ma lo sarebbe per qualsiasi altra città) è una specie di sogno a occhi aperti: posti di lavoro altamente qualificati, superamento di un buco nero (senza stavolta demolire nulla), un’attività peraltro legata romanticamente alla antica vocazione del complesso e soprattutto numeri da capogiro: 900 scienziati da tutto il mondo, 600 strutture residenziali all’interno del complesso, un protocollo di collaborazione con Cà Foscari. Esattamente il tipo di sviluppo che tutti (almeno a parole) auspicano per la città: posti di lavoro qualificati e NON legati in alcun modo al turismo, nuovi residenti, un impatto positivo sull’economia, una clamorosa potenzialità per la nostra università. Una iniezione di economia sana, di residenti, di networking internazionale, il tutto in isola. Un vero e proprio punto di svolta, un fattore trasformativo decisivo, capace di cambiare radicalmente (in positivo, ça va sans dire) le prospettive e il futuro del Lido e della città tutta. E infatti, tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, si esprimono favorevolmente sulla prospettiva.
Comincia dunque l’iter di realizzazione. Il Consiglio Comunale nel dicembre 2023 approva la variante urbanistica necessaria a consentire l’intervento di iniziativa privata. Nel luglio 2024 Gotthardt perfeziona l’acquisto del complesso da CDP. Nel giugno 2025 la giunta comunale adotta il Piano Urbanistico Attuativo (PUA), in attuazione appunto della variante urbanistica, col dettaglio dell’intervento previsto e, in conformità alla Legge Regionale, lo sottopone alle osservazioni pubbliche, raccolte e riscontrate le quali il Comune procederà all’approvazione del PUA stesso che passerà dallo stato attuale di adottato a quello, definitivo, di approvato.
Si sarebbe potuto pensare che, visto che il progetto piace a tutti e che a nessuno sfugge la valenza dello stesso, non ci sarebbe stata alcuna osservazione. Invece, una serie di associazioni (la mai doma Italia Nostra Sez. Venezia, VeneziaCambia, CAAL, Lido d’amare e Comitato Revisione Viabilità Lido) ha collettivamente presentato un corposo documento di ben 14 osservazioni. Nel darne notizia i giornali le hanno sinteticamente riportate e l’impressione netta che si trae dagli articoli è che il progetto – secondo le già menzionate associazioni – sia in sostanza da rivedere completamente. In realtà, e riferisco quanto mi ha cortesemente condiviso uno degli estensori delle osservazioni, le associazioni non sono asseritamente contrarie al progetto in sé ma il loro è un contributo per migliorarlo e soprattutto per evitare intoppi nelle successive fasi del processo autorizzativo (e su questo punto torneremo in seguito). Insomma, non un no secco, ma un “facciamo meglio” ponderato e consapevole.
Per farmi un’idea sul merito e il più possibile non pregiudiziale ho attentamente analizzato il documento delle osservazioni. Non ne propongo un commento punto per punto, che sarebbe lungo e tedioso, ma cerco di darne un’idea complessiva. È, va detto subito, un lavoro accurato, meticoloso e scritto senza dubbio da gente che ci capisce. Contiene delle osservazioni ragionevoli: per esempio la richiesta che i denari relativi al contributo da convenzione e gli oneri di urbanizzazione siano indirizzati a un centro di costo specifico e riutilizzati con finalità trasparenti così come è comprensibile la preoccupazione di avere garanzie sull’effettiva destinazione residenziale per i lavoratori delle strutture abitative previste. Altri suggerimenti sono pure apprezzabili ma, come dire, rischiano di essere eccessivamente impositivi tenuto conto che oggetto dell’analisi è un complesso privato e pagato con soldi privati. Per esempio, la pretesa che il complesso sia aperto al pubblico con un attraversamento pedonale e ciclabile longitudinale. Idea suggestiva e, in teoria, condivisibile ma difficilmente compatibile con la natura di un insediamento privato e con le esigenze di un’attività lavorativa. Non mi risulta, del resto, che in altre realtà analoghe l’accesso sia liberamente consentito.
Ma la caratteristica sostanziale di tutto il documento è la postura generale. Che è di ricerca zelante e puntigliosa di qualsiasi appiglio su cui si possa obiettare. Il tutto con un atteggiamento di caso in caso interferente o inutilmente pedante. Qualche esempio: è prevista una tubatura per l’adduzione di acqua dal mare per talassoterapia. Chiedono di spulciarla … non è dato sapere perché. Va fatta la verifica di assoggettabilità alla VAS (mesi persi) perché l’articolo tal dei tali che si richiama al comma del parere motivato va interpretato... Non poteva mancare il tema tutela: il PUA non è sufficientemente esauriente rispetto al regime vincolistico sugli immobili. L’accesso carrabile all’arenile non va bene, la spiaggia non si deve toccare perché si sta ricreando l’habitat di fratini e succiacapre (non è zona protetta ma ci portiamo avanti), il sottopasso di via dell’Ospizio Marino fa storcere il naso. L’uso pubblico del Teatro Marinoni e della chiesetta non è sufficiente (ma nella stessa relazione si ammette che della chiesetta nessuno sa cosa fare). E i soldi: i contributi di convenzione e di oneri sono da ricontrattare.
Ciliegina sulla torta, l’ultima osservazione: si chiede la revoca della Delibera di adozione del PUA perché (testuale) alcuni erronei presupposti all’adozione del PUA sopra evidenziati ed alcune carenze pure già evidenziate non sono meramente sanabili in sede di controdeduzione alle osservazioni perché in realtà hanno inquinato la rappresentazione stessa delle scelte di piano e inciso negativamente sulla necessaria trasparenza che deve accompagnare le procedure partecipative che attengono alle scelte urbanistiche e ambientali.
Che dire… ognuno si farà l’opinione che crede. Io dico il mio pensiero: sono persuaso che in qualsiasi luogo al mondo a un progetto di questo genere, peraltro la cui unica alternativa è il mantenimento della situazione di progressivo degrado che data da vent’anni, si sarebbero fatti ponti d’oro. Si sarebbero probabilmente regalati gli oneri di urbanizzazione, si sarebbe semplificato, scelti gli iter autorizzativi più veloci esercitando tutta la possibile flessibilità nell’interpretazione delle norme. Proprio nella prospettiva del vantaggio generale. E certamente non si sarebbe assunto un atteggiamento da controparte come oggettivamente fatto. Peraltro, c’è quel sinistro riferimento alla possibilità che gli interventi edilizi non risultino poi attuabili per motivi di tutela e paesaggistici che si potrebbe maliziosamente (ma purtroppo a pensare male a volte si indovina) leggere come una minaccia di ricorso. Mi permetto inoltre di aggiungere una considerazione in riferimento alle parole sopra ricordate con cui le Associazioni chiedono la revoca della Delibera. Dietro il fitto latinorum in cui sono espresse, spicca l’enfasi sulle parole trasparenza e procedure partecipative. Che sono termini nobili e bellissimi. Ma purché non diventino un alibi per imporre la visione di pochi. Perché, se consideriamo l’effettiva partecipazione della pubblica opinione alla vicenda, è difficile pensare che la stragrande maggioranza dei cittadini non colga l’enorme portata positiva del progetto. E pazienza se la tubatura di adduzione dell’acqua di mare non piace alle associazioni o se i succiacapre dovranno andare a riprodursi agli Alberoni anziché lì. Le osservazioni delle associazioni possono offrire spunti utili, ma non dovrebbero trasformarsi in un freno paralizzante. È legittimo chiedere trasparenza e miglioramenti, ma lo è altrettanto aspettarsi che l’interesse generale prevalga su rigidità e cavilli. Diversamente, la “procedura partecipativa” rischia di rovesciarsi nel suo opposto: non più tutela dell’interesse comune, ma prevalenza di visioni particolaristiche. Che restano tali anche se sostenute da una minoranza che ha il tempo, la voglia, la motivazione ideologica e l’expertise per navigare tra commi e codicilli.
Staremo a vedere ora la risposta del Comune a queste osservazioni. Credo che sia superfluo dire cosa mi auguro. E soprattutto cosa temo: il rischio è che questa zavorra burocratica rallenti – o peggio vanifichi – un progetto che potrebbe invertire decenni di declino. Per una città che in passato ha perso enormi occasioni, il “Progetto MARE” è una chiamata a decidere se vogliamo restare immobili o se siamo pronti a investire, con coraggio e senso di responsabilità, nel nostro futuro. Con buona pace dei cavilli.
Immagine di copertina © Venezia Today



