Ma il MOSE non è “roba d’altri”.
13 Luglio 2013C’è “ben altro”
18 Luglio 2013La fragorosa vicenda delle irregolarità nell’attribuzione di alcuni appalti per lo scavo dei canali da parte del Consorzio Venezia Nuova (CVN nel seguito) sta producendo, come prevedibile, un florilegio di “l’avevo detto io” un po’ stucchevole.
Da più parti si sottolinea che la logica del concessionario unico, nella fattispecie appunto il CVN, decisa per perseguire la realizzazione del MOSE, comporta inevitabilmente il costituirsi di situazioni di, quantomeno, “grigiore” nella gestione degli appalti. Con tale scelta infatti si consegna ad un unico soggetto un potere enorme, di assoluta discrezionalità nella gestione di molti milioni di euro. E si sa, molti denari e pochi controlli sono un humus formidabile per il malaffare.
Tutto vero. Ma bisogna essere consapevoli che se non si fosse presa la decisione del concessionario unico il MOSE non si sarebbe mai fatto. Davvero si pensa che senza una regia centralizzata, senza un soggetto attuatore unico, ne saremmo usciti vivi? Un’impresa titanica come il MOSE, richiedente un impegno progettuale, organizzativo e costruttivo con pochi paragoni al mondo non poteva che essere affidata, con continuità, ad una regia unica. E meno che mai a un ente pubblico. Costi quel che costi. Coloro che blaterano di trasparenza, coinvolgimento degli enti locali, di regia condivisa ecc. ecc. dovrebbero avere il pudore di ricordare gli esiti dell’appalto della ricostruzione della Fenice, per esempio, o i costi incontrollati del ponte di Calatrava, tutte opere peraltro non paragonabili minimamente, per dimensione e complessità, con il sistema di paratoie mobili.
A margine, va detto che i resoconti dei giornali, seppure dettagliatissimi, non forniscono per ora un quadro del tutto coerente. Il reato di cui è accusato Giovanni Mazzacurati, storico ex presidente del CVN, è turbativa d’asta. In sostanza, godendo di un potere di forte moral suasion sulle imprese appaltatrici, avrebbe giostrato tra queste la partecipazione alle gare e la loro aggiudicazione. In particolare, è accusato di aver indotto (o meglio cercato di indurre) le tre maggiori ditte appaltatrici a non presentare offerta in un appalto per lasciare campo libero ai pesci piccoli. L’appalto è stato aggiudicato con un ribasso assai inferiore a precedenti casi similari e questo getta oggettivamente un’ombra sulla vicenda ed il forte sospetto che sia stato pagato dalla collettività un prezzo superiore a quello di mercato.
Ora, l’aggiramento della competizione pura negli appalti, specie quando la torta da spartire è molto grossa, è una pratica diffusa ancorché irregolare, perfino comprensibile se finalizzata a mantenere una platea diversificata di fornitori così da evitare posizioni dominanti tra gli stessi. Cosa diversa sarebbe, ovviamente, se la spartizione fosse stata condizionata dal versamento di tangenti. Ovvero se anziché turbativa d’asta i reati fossero corruzione e/o concussione. Ma, e qui sta l’incoerenza, non si parla mai di tangenti che Mazzacurati avrebbe percepito. Però si riferisce di società fantasma (le cosiddette cartiere) e di fondi neri. A che dovevano servire questi fondi neri se (ad oggi) non si ipotizza alcuna corruzione? Insomma, tutto fa pensare che i contorni della vicenda non siano del tutto chiariti.