LA SCELLERATA PROPOSTA DI DIVIDERE IL COMUNE: SOVRANISMO APPLICATO ALLA CITTA’
23 Novembre 2019Dicembre: Sì o No?
24 Novembre 2019Chiudiamo questo lungo viaggio con una puntata dedicata a mettere i puntini sulle i su alcuni aspetti formali e legislativi su cui i separatisti hanno fatto e fanno molta confusione.
La prima in ordine di tempo, delle numerose fake news che ci sono state imbandite, è la leggenda per cui il referendum essendo consultivo non richiede il quorum. La citiamo solo per completezza di cronaca perché ormai questo è acclarato dai fatti e anche i separatisti si sono arresi all’evidenza (non tedio il lettore con l’analisi delle leggi).
L’assetto attuale del Comune unico sarebbe asseritamente fascista. Vero che l’unione del Comune è avvenuta nel 1926 ma nell’ambito di una generale (e sacrosanta) compattazione delle amministrazioni di tutta Italia dettata dalla necessità di adeguare gli enti locali alle mutate esigenze. Tutte le grandi città in quella data o poco prima o poco dopo hanno inglobato con la stessa logica i comuni di cintura e nessuno non solo non si sogna oggi e non si è mai sognato prima di ripristinare il vecchio comune ma viene considerato un onore far parte di quella grande città piuttosto che esserne satelliti anonimi in provincia. È così per Nervi e Sampierdarena inglobate allora insieme ad altri comuni da Genova e lo è per Lambrate, Niguarda Affori e altri inglobati da Milano. Queste annessioni quindi sarebbero avvenute comunque e non ha nessun senso attribuirlo ad un presunto fascismo. Peraltro, se il tema fosse “ripristiniamo ciò che il fascismo ha distrutto”, come noto bisognerebbe ripristinare molti Comuni in terraferma (Favaro, Zelarino ecc.) che è esattamente quello che i separatisti mestrini non vogliono. Se poi vogliamo fare a gara di antifascismo, invitiamo a considerare il brodo di cultura e dove batte il cuore di alcuni dei più autorevoli rappresentanti del separatismo.
Non è vero che la separazione consentirebbe l’elezione diretta del Sindaco metropolitano anticipando la Legge Delrio. Perché in base alla Delrio la separazione è una conditio sine qua non ma seguendo una procedura, appunto secondo la Delrio, completamente diversa. Per cui è vero l’opposto: la separazione del Comune, non essendo ipotizzabile ovviamente un’ulteriore separazione del piccolo Comune di Venezia, implicherebbe che l’elezione diretta del Sindaco metropolitano non sia avrebbe mai (fatte salvo eventuali modifiche della Delrio stessa).
Non è vero che la separazione del Comune è la conditio sine qua non per la concessione di particolari benefici fiscali o economici alla città. Prova lampante e freschissima ne è la notizia della certa istituzione a Porto Marghera della ZLS (Zona a Logistica Semplificata), di fatto la tanto agognata – e finora negata – ZES, uno straordinario volano di sviluppo che porterà posti di lavoro a migliaia. È un successo del Presidente di Confindustria Marinese, di Brugnaro e dei nostri parlamentari PD che si sono battuti per inserirla nella Legge di Stabilità nell’ambito delle misure di sostegno a Venezia dopo i devastanti 187 cm di marea a Venezia. A Venezia appunto. E guarda guarda Porto Marghera si trova in quello che sarebbe il Comune di Mestre nel caso andasse in porto l’ipotesi separatista. Se Porto Marghera non fosse stato nello stesso Comune della Venezia allagata ai nostri rappresentanti sarebbe stato impossibile inserire la ZLS come misura a sostegno della Venezia provata duramente dall’acqua alta. La vicenda dimostra plasticamente non solo che non è vero che l’istituzione del Comune della sola Venezia d’acqua è condizione preliminare per ottenere benefici fiscali dallo Stato ma anche che tutto il territorio, compresa la Terraferma, ha da guadagnare eccome dall’essere Comune di Venezia. È la prova provata che la dimensione metropolitana conta per la visibilità, il peso politico e la rilevanza nazionale di questo territorio. Aggiungo che dal punto di vista veneziano è, questo, un esempio prezioso ma incontrovertibile di dipendenza positiva di Venezia dalla sua terraferma. In precedenti interventi si sono messi in rilievo gli esempi di dipendenza per così dire “a perdere” (es. il rischio che il Comune riversi a iosa turisti che pernottano in terraferma), questo al contrario dimostra la mutua convenienza dello stare insieme: la tragedia dei 187 cm ha comportato la concessione della ZLS, (che è un’opportunità di lavoro e sviluppo oltre la monocultura turistica anche per chi sta con i piedi nell’acqua ovviamente) ma questa è attuabile semplicemente perché Venezia ha la sua terraferma dove appunto collocarla. Non è che la ZLS la potevamo fare alla.. Giudecca!
Infine, infondata l’esecrazione che si cerca di suscitare verso i cittadini che intendono non andare a votare per non fare raggiungere il quorum. Che è la prima condizione politica che i proponenti devono soddisfare. Con argomenti e con motivazioni convincenti che rimangono a loro carico e se non si raggiunge l’obiettivo vuole semplicemente dire che la maggioranza dei cittadini non ritiene sufficientemente solide le loro ragioni per andare a votare SI o NO. Situazione che si è consolidata da molti anni, precisamente dall’imbarcata di 7 referendum del 15 giugno 1997. Da quella data ad oggi si sono svolti in Italia 29 referendum in 25 dei quali non si è raggiunto il quorum. È evidente ormai che il successo o meno di una proposta sottoposta a referendum si gioca esclusivamente nella partita per il raggiungimento del quorum. La mancata partecipazione è diventata l’arma più efficace e, ripetiamo, assolutamente legittima per esprimere la propria contrarietà in qualsiasi referendum. Per chi non vuole la separazione quindi non andare a votare è la scelta più razionale, sicura ed efficiente per ottenere l’obiettivo. In più, nel nostro caso, questa scelta ha il plus di fornire un inequivocabile significato politico circa il rifiuto dei cittadini al reiterare un quesito già posto in precedenza per quattro volte e bocciato dagli elettori e che è costato ai veneti 700.000 euro. È quello che si è già verificato l’ultima volta e purtroppo non è servito. Si spera che un secondo segnale di netta bocciatura faccia capire l’antifona. C’è infine una terza motivazione, più sottile: disinnescare la questione alla radice. Perché il mancato raggiungimento del quorum rende il referendum, semplicemente, non valido qualunque sia l’esito e indipendentemente dalla distribuzione geografica dei voti e chiude dunque la partita in modo tombale escludendo il teorico margine di discrezionalità della Regione nell’interpretazione dei risultati.
Perché queste note
Queste note nascono dalla constatazione che un dialogo con i separatisti non è possibile. Perché ogni tentativo di fare informazione seria si vanifica in un estenuante batti e ribatti con considerazioni surreali esposte sovente in modo aggressivo.
L’ho chiamata “Dieci ragioni per me posson bastare” in omaggio al grande Lucio: una ragione diversa per dieci giorni esposta brevemente (ove possibile) per cui sostengo che la separazione sarebbe sbagliata e anzi una jattura. Per la città d’acqua e per quella di terra.
Anche solo riuscissi a far meditare uno dei lettori, non sarebbe stato sforzo vano.