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14 Agosto 2025Lo Statuto Speciale per Venezia? Una suggestione buona per titoli e propaganda, ma politicamente irrealizzabile. Eppure, in piena estate, è diventato il nuovo giocattolo della politica locale.
Il primo segnale lo ha lanciato a metà luglio Ugo Bergamo, leader del movimento “Venezia è tua” ed esponente tra i più intraprendenti e loquaci della coalizione la Buona Stagione (il raggruppamento della maggior parte delle forze di centrosinistra che aspira a tornare a Cà Farsetti). Che ha riproposto l’idea (invero non originalissima, se ne parla da decenni) di uno Statuto Speciale per Venezia. Alla notizia, mi erano venute in mente molte ragioni di perplessità: la prima e più importante è che lo Statuto Speciale comporta un iter molto lungo e complesso, una modifica costituzionale degli articoli 114, 118 e 119, due passaggi per ciascuna Camera (e pure un referendum conservativo se non passa con una maggioranza bulgara). Del resto, lo stesso promotore riconosce (“potrebbero servire una o due legislature per ottenerlo” …) e nulla, ma proprio nulla, fa pensare che, anche che miracolosamente tutta la rappresentanza parlamentare di Venezia e dintorni si compatti per l’obiettivo, ci sia la forza politica per portarlo avanti.
Inoltre, la proposta è vaga. Nuovi sistemi di governance, poteri fiscali autonomi (senza dire verso chi), gestione della laguna (nonostante l’appena nata Autorità). Più slogan che progetto. E, soprattutto, uno Statuto Speciale necessita di motivazioni di eccezionalità che si riscontrano nella sola città d’acqua e dunque difficili da sostenere per l’intero Comune di Venezia.
La proposta di Bergamo è suggestiva, molto “piaciona” – perché non c’è nulla di più popolare che dire ai cittadini che hanno diritto a un deus ex machina (“rubo” la felice metafora a Maria Laura Faccini) che magicamente dispensa denari, attenzioni, poteri ecc. – ma nulla di più. S’intende: i problemi lamentati dall’ex Sindaco ci sono tutti. La necessità di fonti di finanziamento che non si limitino alla salvaguardia fisica, i sovraccosti, la necessità di margini di manovra anche legislativi specifici per la specificità della situazione sono temi pressanti, evidenti a tutti, per certi versi esistenziali e dunque serissimi. Ma appunto perché di questa natura, anche solo proporre una (presunta) soluzione che si traguarda a due legislature la fa apparire a dir poco velleitaria, un po’ come buttare la classica palla in tribuna. La dico tutta: sono perfettamente d’accordo con la bocciatura tranchant che ne fa Giordano della CGIL.
Probabilmente la pensatona di Bergamo sarebbe stata derubricata a boutade estiva e presto dimenticata se il caso non ci avesse messo lo zampino. Il caso, nelle vesti della maggioranza di Governo che, pochi giorni dopo l’uscita del leader di Venezia è tua, annuncia il varo del Disegno di Legge su Roma Capitale che riconosce a Roma Capitale poteri e risorse speciali e le attribuisce lo status di ulteriore e autonomo ente costitutivo della Repubblica, accanto a Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. Si riconoscono pertanto le specificità di Roma e la necessità di rendere più efficace il governo del suo vasto territorio attribuendo a Roma Capitale funzioni legislative, sia concorrenti sia residuali, nelle seguenti materie: trasporto pubblico locale, polizia amministrativa locale, governo del territorio, commercio, valorizzazione dei beni culturali e ambientali, promozione e organizzazione di attività culturali, turismo, artigianato, servizi e politiche sociali, edilizia residenziale pubblica, organizzazione amministrativa.
La reazione politica è stata una gara a chi la spara più grossa. Dopo l’annuncio del Governo sul DDL Roma Capitale, Zaia, probabilmente suggestionato dalla magica parolina autonomia, si dice favorevole alla Statuto Speciale di Venezia (dimenticando la sua ostilità alla Città Metropolitana). Brugnaro rilancia con un’idea di “Grande Venezia” estesa fino a Pordenone stravolgendo ogni logica dello Statuto Speciale. Del resto, in questo fedele alla sua visione di Venezia come puro brand… ricordiamo le ripetute esternazioni su Abano, le terme di Venezia, Cortina, le montagne di Venezia. Il sen. Martella (PD) presenta un proprio DDL, che nella prima parte della premessa descrive perfettamente la situazione critica della città (e di questo gli va dato atto) e la necessitò di intervenire con atti straordinari ma, pure lui, incredibilmente non cogliendo (o fingendo di non cogliere) l’impraticabilità della prospettiva. E così, in una folle rincorsa ogni giorno i giornali si arricchiscono di nuove esternazioni, di rivendicazioni di primogenitura dell’idea, come se davvero fosse una prospettiva concreta. L’unico che ha il coraggio di dire che il re è nudo, gli va riconosciuto, è il sen. Speranzon che fa capire senza troppi giri di parole che le condizioni di Roma e Venezia sono sideralmente distanti (e, lo dice solo tra le righe ma è chiaro: il peso politico della Capitale è incommensurabile rispetto alla nostra città). Peccato macchi l’apprezzabile sincerità con un arrampicamento sugli specchi per dire che il Governo ha riempito di denari la città, il MOSE, il Bosco dello Sport e così via; anch’egli dimostrando di non capire qual è la vera posta in gioco.
Insomma, diciamolo: questo vociare sullo Statuto Speciale si sta sinistramente rivelando insieme un’arma di distrazione di massa e un terreno di scontro elettorale, vista la forte valenza propagandistica che porta con sé. Non è forse un caso se tutti i nomi citati sopra, fatta eccezione ovviamente per l’attuale Sindaco, siano tra i più accreditati come possibili candidati alla guida della città, da una parte o dall’altra. Non è tutto da buttare, tuttavia. Anche se in modo improprio può essere generato un movimento bipartisan che porti all’attenzione di un Governo abbastanza distratto da questo punto di vista la situazione critica di Venezia.
Serve però concentrarsi su due obiettivi reali:
- Autonomia legislativa mirata, su pochi ambiti specifici, ottenibile riscrivendo in modo mirato la Legge Speciale già esistente.
- Fondi certi e stabili, senza attendere improbabili “tesoretti” statali.
Per entrambi questi obiettivi non è indispensabile lo Statuto Speciale che richiede una norma di rango costituzionale. È molto più sensato valorizzare la peculiarità di Venezia già riconosciuta dalla Legge Speciale. Attraverso una riscrittura mirata della Legge Speciale, è possibile ottenere l’autonomia legislativa necessaria per agire concretamente su quei pochi ambiti in cui serve davvero una maggiore capacità d’intervento. Un esempio illuminante: la potestà di intervenire sulle locazioni turistiche. Ebbene, tale possibilità (il cosiddetto Emendamento Pellicani) è stata riconosciuta, ancorché con modalità parziali e certamente perfettibili, da un Decreto Legge (il 50/2022). Un Decreto Legge! Altro che l’iter complesso dello Statuto Speciale.. Esempio classico di come il meglio rischia di essere nemico del bene.
E veniamo al secondo punto. Tutte le parti in causa concordemente sostengono che devono essere garantiti centinaia di milioni annui (oltre ai già cospicui costi per l’esercizio del MOSE) per il piano casa, per le rigenerazioni, le bonifiche, politiche di supporto sociale, di sviluppo ecc. Il tutto presentato come un diritto (derivante appunto dalla famosa previsione della Legge Speciale originaria che definiva interesse nazionale non solo la salvaguardia fisica della città, ma anche la tutela della sua vitalità socioeconomica). In realtà, i tempi delle vacche grasse (che ci sono stati eccome, e sono stati clamorosamente sprecati) sono finiti da un pezzo, l’operazione MOSE ha assorbito per molti anni tutte le risorse ed è già tanto se lo Stato si farà carico del suo (indispensabile, meritorio ma costoso) funzionamento. Ma, si dice, vogliamo più soldi. Ora, mettiamoci nei panni del Governo (di qualsiasi Governo anche futuro, anche di colore diverso). Qualora aveste a disposizione (ipotetica del terzo tipo ….) un tesoretto da destinare alla rivitalizzazione socio-economica di parti del territorio nazionale, dove lo mettereste? In quei paesini di montagna che si stanno svuotando, dove non ci sono nemmeno i servizi di base, le scuole o un ufficio postale? In una zona economicamente a pezzi, senza lavoro né prospettive? O in una città strapiena di turisti, dove certe categorie fanno soldi a palate grazie a rendite di posizione che gridano vendetta? Credo che la risposta sia scontata. Dunque, Venezia deve salvarsi da sé. Per meglio dire, Simon Jenkins, dalle pagine del Guardian, ha scritto: ”i 49mila residui abitanti di Venezia non potranno pagare per la salvezza della loro città. Ma 30 milioni di turisti ce la possono fare”. È il principio di tourism taxation for sustainability. Chiedere al turista un contributo di scopo, con valore dinamico (indicativamente il valore medio potrebbe essere 25 €) a fronte di una serie di servizi (tra cui ingresso ai musei e trasporti gratis). È precisamente la ricetta dell’Associazione I Futuri di Venezia costituita dall’avv. Alessio Vianello che pone come prerequisito che il Comune possa imporre il contributo di accesso nella misura che crede (ecco un’altra potestà normativa da richiedere nell’ambito della Legge Speciale).
Non mi dilungo e rimando all’approfondita trattazione del tema nel volume pubblicato dai Futuri di Venezia. Ma credo che il messaggio sia chiaro: non serve elemosinare fondi da Roma. Serve che Roma ci lasci incassare dai turisti che usano Venezia senza mantenerla. Chiamatela tassa di scopo, chiamatela contributo di accesso: è la via maestra per salvare la città senza aspettare miracoli.
Immagine di copertina © la Repubblica