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REGIONE DEL VENETO: ORA UN’ALTRA STORIA?
1 Luglio 2025Sono passate poche settimane dal femminicidio di Afragola, dall’uccisione di Martina Carbonaro, per mano di quello che non molto tempo prima era stato il suo ragazzo. Sono passate poche settimane e già non se ne parla più. Si scrive di altro, si pensa ad altro e, come per incanto, sono state congelate tutte le emergenze attinenti al fenomeno. Intanto si sono consumati altri femminicidi, ma se ne parla poco. Ci siamo assuefatti? Evidentemente sì. Ci si abitua a tutto, purtroppo. E si va avanti, nella speranza di non trovarsi invischiati personalmente in tragedie simili.
A caldo, la presidente del consiglio aveva dichiarato la propria impotenza di fronte a questo delitto. È umano sentirsi impotenti quando una bimba di tredici anni si trova al centro di una tragedia di queste dimensioni e ne è la prima vittima. Ma non si può intervenire solo a cose fatte.
Il guaio è che non si tratta solo di un fattaccio di cronaca nera o, peggio ancora, di un dramma della gelosia. Alcuni hanno parlato – e giustamente – di omicidio politico. Che da solo, forse, non può esaurire la gamma di definizioni del fenomeno. Lo sintetizza, però, in buona parte, soprattutto se si considerano le responsabilità di chi dovrebbe prestare maggiore attenzione alla sua complessità e vorrebbe ascriverlo a un fatto etnico, circoscrivibile a una minoranza di individui. È che non si può parlare solo a cose fatte. Né ci si può illudere di intervenire con l’inasprimento della pena, o sulla comunicazione ufficiale, tutta propagandistica, di questo inasprimento.
L’8 marzo il governo ha annunciato che era stata varata una legge che prevede l’ergastolo per chi si macchia di questo delitto (ficcante, a questo riguardo, la satira tutta politica di Checco Zalone sulla fine del patriarcato). Nella stessa settimana sono stati perpetrati ben due femminicidi in due località diverse del nostro paese. Può sembrare una equazione semplicistica, ma è palese che non basta inasprire la pena per arrestare il fenomeno ed è urgente intervenire sulla prevenzione. È urgente intervenire su un’educazione forte e mirata.
Gli strumenti ci sarebbero. Basta avere il coraggio di metterli in pratica senza timore di deludere una parte di elettorato che ritiene sia necessario lavare i panni sporchi solo in famiglia. Come ho già ricordato in un precedente intervento e come molti sanno, tra il 25 aprile e il primo maggio, il ministro dell’istruzione Valditara ha diffuso una circolare nella quale si stabilisce l’inderogabile principio della divisione delle competenze in ambito educativo: alla scuola compete l’istruzione e alla famiglia l’educazione dello studente. Tuttavia (sempre secondo il ministro), si possono attuare dei percorsi di educazione sentimentale e alla sessualità nelle scuole, a condizione, però, che i genitori prestino il proprio consenso. Il timore di un’educazione troppo ideologizzata (parole del ministro), di una ingerenza gender o di un’ipotetica devianza LGBTQIA+ (ossessione di molti leghisti che parlano di “porcherie” da bandire dalle scuole) nell’impostazione di un curricolo di educazione all’affettività impedisce chi ci governa di coglierne l’importanza.
È chiaro a tutti che i ragazzi crescono in fretta e in solitudine e che serve più ascolto e più attenzione. E anche una maggiore conoscenza dei propri limiti e delle proprie potenzialità in un abito complesso e delicato come quello sessuale. Molti ragazzi, i maschi in special modo, vivono queste scoperte privi del supporto dei propri familiari, assenti nella maggior parte dei casi, o portatori anch’essi di stereotipi di genere che assegnano sottomissione alle donne e virile onnipotenza agli uomini. Quando i ruoli, anche in una giovane coppia, cominciano a non essere così netti, come vorrebbe una tradizione millenaria, viene a cadere quel castello di fragilità scambiato per amore frustrato che urla vendetta. Da qui la tragedia.
Se la famiglia è assente, ma anche quando la famiglia è attenta e abituata all’ascolto, è l’istituzione che deve farsi carico del problema educativo perché garantisce il confronto, la problematizzazione, l’interazione tra pari. Se con provvedimenti così tiepidi si lasciano dei vuoti educativi, colmabili da un porno gratuito dilagante, il fenomeno non sarà più governabile. I modelli di sopraffazione prenderanno il sopravvento, aumentando il numero delle scarpette rosse e dei nastrini neri in ricordo di tante vittime innocenti. Con buona pace delle leggi sull’ergastolo. Alla domanda “quante vittime ancora?” Scuoteremo la testa, insieme alla presidente, impotenti e frustrati.



