
Lo ‘sciopero dell’orale’ e le crepe del sistema scuola
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23 Luglio 2025Fra i film più belli di Virzì annovererei senza dubbio Ovosodo, un film di formazione, ma anche di denuncia, di critica delle eterne stratificazioni sociali presenti nella nostra società, un film sugli eterni vincenti e sugli eterni predestinati a una vita di stenti. Si ammette, inoltre, con rassegnazione la difficoltà della scuola di porsi come ascensore sociale nei confronti di chi, ancorché meritevole, proviene da una famiglia disagiata.
Il protagonista del film è un ragazzo, Pietro, figlio di un ex portuale di Livorno spesso in carcere per condanne varie, che si iscrive al liceo classico frequentato da rampolli dell’alta borghesia livornese. Consapevole delle lacune culturali che l’ambiente di provenienza gli ha inflitto, Pietro si sforza di mettersi alla pari con i suoi compagni leggendo con avidità i libri che gli passa la sua professoressa di lettere, che ha invece colto il potenziale del ragazzo e vorrebbe valorizzarlo.
Per un susseguirsi rocambolesco di eventi, Pietro non riesce ad emanciparsi socialmente e va a lavorare nella fabbrica dei genitori di un suo compagno di scuola. I sogni di gioventù che il protagonista non ha potuto rincorrere gli si ripresentano alla coscienza con una sensazione fisica di stretta alla gola come, dice lui, se avesse “mangiato un ovo sodo col guscio e tutto”.
Ho conosciuto tanti ragazzi come Pietro che, pur di frequentare e di rincorrere i propri sogni, hanno affrontato e affrontano mille difficoltà, attivando le strategie più insolite pur di raggiungere i propri obiettivi. Spesso, quando si parla di giovani studenti, si pensa a degli smidollati, viziati, amebe senza cervello, dipendenti dal proprio cellulare e privi di interessi.
C’è tutto un mondo, nella scuola pubblica, di giovani che credono nel valore dell’istituzione e nella forza della conoscenza e che si vedono costantemente costretti a frantumare quelle barriere che si frappongono tra loro e il loro futuro. E non parlo solo di barriere economiche e sociali, ma anche di barriere linguistiche, culturali, fisiche, razziali.
C’è tutto un mondo di studenti che deve fare i conti con i limiti delle nostre istituzioni, con l’incompetenza dei legislatori e con una tradizione di scarsi investimenti che ha svilito la scuola e il ruolo di chi coraggiosamente la tiene in piedi e continua a darle nutrimento di contenuti, di metodi e di forti idealità. Sono percorsi spesso difficili in cui docenti e studenti si trovano da soli e talvolta osteggiati dall’incuria e dalla malafede. Percorsi in cui gli studenti invocano certezze e garanzie di futuro a insegnanti che, in un modo o nell’altro, sanno che non possono abbandonarli al proprio destino e compensano le inadempienze dello Stato con un volontariato mirato e consapevole. Mai improvvisato, raffazzonato o approssimativo. È una comunità che dà speranza e fiducia e che si muove silente, non fa notizia e, quasi come un fiume carsico, invisibile, è in grado di lasciare solchi profondi al suo passaggio. Non voglio essere retorica, ma mi viene spontaneo dire che sono questi i veri eroi e non quelli che con enfasi da titolone di giornale, aderiscono a un fenomeno crescente – e direi anche inquietante – di fare scena muta agli esami di maturità.
Si è scritto tanto negli ultimi giorni dei ragazzi che si sono rifiutati di sostenere la prova orale dell’esame di stato. Se n’è scritto tanto, troppo e, come capita ormai dappertutto, a destra e sinistra sono stati attribuite ora l’una ora l’altra interpretazione del fatto di cronaca. Io credo che non sia da chiamare in causa alcuna ideologia o corrente di pensiero. Sono convinta che l’apparato organizzativo e, in particolare quello inerente alla valutazione dell’esame debba essere rivisto. È altresì vero che deve essere privilegiata un’impostazione educativa volta a sviluppare il pensiero critico degli studenti. Quindi meno nozionistica o competitiva. Ma chi dice che questo, grazie agli insegnanti, già non si faccia? E, qualora in alcuni contesti questo non venga realizzato, perché accorgersene proprio in occasione dell’esame di maturità che, proprio perché di maturità dovrà configurarsi come la sintesi di un percorso che vede al suo apice un colloquio tra gente matura?
Non condivido questa forma di protesta. Che in alcuni casi mi sembra contraddittoria: questi studenti citano infatti la faciloneria con cui si promuove anche chi sostiene un colloquio insufficiente poi, proprio grazie a quel sistema docimologico che tanto si critica, decidono di non sostenere l’esame, tanto i crediti sono più che sufficienti per essere promossi! E ancora: si lamentano della scarsa empatia degli insegnanti, del loro rigore, della loro inflessibilità, del loro approccio disumano. Ma quando, come, donde scaturisce questa balla spaziale? Mettiamoci d’accordo: gli insegnanti sono spesso accusati di buonismo e di faciloneria. Ah, ho capito: diventano scarsamente empatici nel momento in cui sono costretti ad applicare la legge. Sarà, il mio, un delirio da boomer che ha dovuto sudare sette camicie per racimolare un voto più che dignitoso all’esame di maturità, ma sono fermamente convinta che la maturità si dimostra anche con un colloquio che dia la misura di un pensiero che si è evoluto ed è, appunto, maturato negli anni.
Gli eroi da titoloni di giornale non rappresentano un modello. Se proprio vogliamo parlare di eroi, il mio pensiero vola verso quei 1500 ragazzi che in questo momento, tra mille difficoltà e in una precarietà esiziale, stanno sostenendo l’esame di maturità a Gaza. Quanto a quelli di casa nostra, bisogna ricordare loro che un’azione di protesta ha valore se comporta un sacrificio, non un vantaggio calcolato con precisione algebrica. Critiche e contestazioni sono più che legittime e tutti quegli armamentari vetusti che appesantiscono il percorso scolastico degli studenti vanno snelliti. Educare al pensiero critico significa, però, anche insegnare a declinare diritti e doveri e, soprattutto, fare in modo che questi vengano elaborati dagli studenti, altrimenti, prima o poi, ambizioni, sogni di gloria, progetti di grandezza rimarranno imbrigliati nei gangli della gola. Proprio come quell’ovo sodo di Virzì.



