Renzi ha perso? Si, parzialmente. E’ l’andata. In autunno la partita di ritorno
20 Giugno 2016Stupid
30 Giugno 2016L’organizzazione del benessere è il benessere dell’organizzazione, recitava un vecchio slogan degli anni novanta (un chiasmo, in gergo linguistico, una frase costruita su un gioco di parole che si incrociano ) che rispecchiava una realtà nascente nella scuola e preparava i suoi operatori a una complessità che di lì a poco sarebbe diventata realtà effettiva. Una complessità che, oggi, è pervasiva e talvolta ingestibile. Ingestibile per tanti motivi.
Parliamo innanzitutto di investimenti. La scuola è un territorio in cui si giocano le carte del futuro di un popolo. La scuola è il luogo privilegiato su cui lo Stato deve puntare le sue migliori scommesse di ricchezza e di felicità. La scuola è un’istituzione ingombrante nella vita dei cittadini perché ne accompagna il presente e ne condiziona il futuro. Quindi, un’istituzione di tutto rispetto, il cui buon funzionamento non è solo garanzia di benessere per chi ci lavora, ma è un patrimonio di risorse e di opportunità per tutti.
La scuola, però, è anche il territorio per eccellenza nel quale non si investe. O si investe poco e male. In una qualsiasi famiglia che si rispetti, la voce “investimento per il futuro” rappresenta una voce importante. Lo Stato italiano sembra non cogliere questa centralità, anche se, soprattutto negli ultimi tempi, slogan e misure demagogiche sono piovuti dall’alto come stelle filanti a Carnevale. Ci si è accorti della sua centralità? O, semplicemente, si è capito che rappresenta un buon bacino di voti? È lo Stato un cattivo padre di famiglia? O è un buon padre, piuttosto ingenuo, che non si rende conto che le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni e che tanti bei provvedimenti adottati non hanno attenuato il malessere di chi giornalmente deve produrre conoscenza? Fatto sta che chi lavora nella scuola deve, come tante casalinghe disperate, fare la cresta sulla spesa e cercare di dare il meglio col poco che si ritrova tra le mani. Bubbone, questo, pronto a deflagrare prima o poi, e a portare con sé conseguenze devastanti.
E veniamo a un altro punto importante. La scuola è una realtà complessa: studenti portatori di storie diverse, talvolta difficili, che cercano risposte; disturbi dell’apprendimento finora ignorati e finalmente venuti alla luce che richiedono piani di lavoro personalizzati; abilità diverse che vanno esaltate e potenziate per colmare deficit di apprendimento; strumenti di ricerca innovativi, dispositivi tecnologici, strategie virtuali che vanno implementati per rendere più duttile l’approccio col sapere e per fornire agganci efficaci con il mondo del lavoro.
Tutto questo e altro si chiede – legittimamente, non v’è dubbio – alla scuola. Ma a costo zero. Anzi no. Con costi elevatissimi. Per i docenti, che devono pagare in prima persona. Sì, perché oltre alle competenze non riconosciute e non retribuite, è richiesta una burocratizzazione che uccide nel cuore la ragion d’essere del lavoro del docente. Che è innanzitutto insegnare. Il vortice di adempimenti che deve giornalmente assolvere un insegnante stritola nelle fondamenta la sua funzione. Come se il merito, la qualità didattica, il valore di uno dei mestieri più nobili del mondo si misurassero con la compilazione di moduli e tabelle. E non con gli universi sui quali una bella lezione riesce a spalancare le porte, non con il miracolo dell’amore che nasce per una materia perché c’è un insegnante che l’ama e riesce a raccontarla, non con la magia della scoperta degli infiniti mondi che solo la lettura riesce a regalare.
Il benessere (e anche il malessere) di chi vive ed opera nella scuola può essere molto contagioso. E non si ottiene privilegiando test e quiz che pretendono impunemente di misurare il merito degli insegnanti, ma puntando su un apprendimento che sia il risultato di una scoperta serena, che lasci anche spazio all’imprevedibile, alla divergenza, allo scoppio di meraviglia. Griglie e tabelle, sì, ma con moderazione. Star bene a scuola fa bene alla scuola. E a coloro che la abitano, grandi e piccoli. Non ce ne dimentichiamo.