
L’obbligo di parlar bene
7 Febbraio 2017
USA-Unione Europea: colpi bassi sotto la cintura
8 Febbraio 2017Cade in questi giorni il centenario della rivoluzione russa, evento che ha segnato profondamente la storia del Secolo Breve. Nella gelida mattina del 8 marzo 1917 (secondo il calendario gregoriano, 23 febbraio per quello giuliano in uso in Russia all’epoca) operai ed operaie di una San Pietroburgo stremata da tre anni di guerra si ritrovarono esasperati sulla Nevskj Prospekt per una protesta spontanea e sostanzialmente improvvisata contro la fame, contro paghe miserabili e condizioni di lavoro disumane.
Lo scopo dei dimostranti era appunto chiedere pane e salari migliori, non certo quello di abbattere un regime esangue e inetto, lontano anni luce dalla percezione della condizione miserabile del popolo. Ma abbastanza incredibilmente, in pochi giorni, la protesta dilagò; i mitici cosacchi dello zar e l’esercito non spararono sulla folla anzi passarono con gli insorti e lo zar si trovò costretto a lasciare la corona. Nell’ottobre (novembre per il calendario occidentale) dello stesso anno, i bolscevichi prendevano il potere (da qui la denominazione Rivoluzione d’Ottobre) e nasceva l’Unione Sovietica. Cominciava così il lungo viaggio verso la costruzione di un sistema sociale che si considerava superiore al capitalismo e in qualche modo necessitato, more geometrico, ad estendersi a tutta l’umanità. Arrivò in effetti ad un certo punto della storia a coinvolgere circa un terzo degli abitanti del pianeta ma in realtà le altre esperienze di comunismo (Cina, Corea del Nord e Vietnam) furono e sono più declinazioni di satrapie asiatiche che interpretazioni dell’ortodossia marxista (Mao conosceva le teorie marxiste attraverso una specie di Bignami che aveva fatto redigere Stalin) e sono comunque tutte relative al Terzo Mondo. Il mondo che contava (all’epoca) era l’Europa e i governanti sovietici, con apprezzabile realismo, si resero conto presto che gli operai tedeschi non avrebbero seguito l’esempio dei colleghi russi e non credettero mai seriamente nella possibilità di accendere la scintilla rivoluzionaria sulle rive della Senna o del Tamigi. I sovietici almeno fino alla guerra mondiale si concentrarono dunque nella trasformazione del loro Paese, isolandosi di fatto dal resto del mondo, altro che esportarvi il socialismo, tant’è che per esempio fu l’unico Paese europeo che non risentì delle conseguenze della crisi del ‘29. Ne consegue che l’ossessione anticomunista, talvolta vera e propria isteria, di molti presidenti americani (uno di questi era Kennedy) era piuttosto grottesca. E il maccartismo un incubo surreale.

Stalin
I sovietici trasformarono un paese agricolo e spaventosamente arretrato in una potenza industriale e militare, fornirono un contributo essenziale alla lotta contro il nazismo ed addirittura arrivarono primi nella gara per la conquista dello spazio. Lo fecero altresì al prezzo di costi umani spaventosi tra la popolazione contadina (la stragrande maggioranza), mettendo in piedi un apparato statale bieco e brutale con un comandante in capo, Stalin, che era sostanzialmente un folle, responsabile diretto di 800.000 (!!) condanne a morte “per controrivoluzione”.
All’epoca della salita al potere di Breznev (1964) era ormai chiaro a tutti che la ricetta comunista non era vincente e la spinta propulsiva della rivoluzione si era tramutata nell’esercizio del mantenimento in vita di un sistema burocratico ed elefantiaco. Da quel momento in poi, l’URSS si è adagiata in un lento e sonnacchioso declino, dilapidando risorse in una folle corsa agli armamenti con gli USA, perdendo inarrestabilmente terreno in campo tecnologico nei confronti del mondo capitalista, incapace finanche di cogliere la straordinaria possibilità offerta dalla crisi del petrolio del 1973 (che portò nelle casse di Mosca, Paese produttore, un mare di denari).
Nonostante il mesto ripiegamento in sé stesso del Paese, la dilagante inefficienza, la corruzione della Nomenklatura, il sistema non è crollato per una spinta dal basso: la dissidenza politica era (nei numeri) sostanzialmente irrilevante. Lo dico anche per esperienza personale: il russo medio mostra di ricordare con rimpianto ed orgoglio quando il suo Paese era una superpotenza. Va anche detto che per i russi gli anni ’60 e ’70 sono stati, quanto a tenore di vita per il cittadino medio, di gran lunga i migliori probabilmente di tutta la loro storia precedente (cfr. Hobsbawm, Il Secolo Breve). Il sistema è crollato per un intervento dall’alto: il coraggioso tentativo di Michail Gorbachev di introdurre elementi di trasparenza (glanost) e democrazia nel Paese assieme ad una radicale riforma dello Stato (perestroijka) si è dimostrato inattuabile. La macchina statale, semplicemente, era talmente ingessata da dimostrarsi irriformabile ed è crollata come un gigante d’argilla. Resta uno dei tanti affascinanti misteri della Storia come sia stato possibile che sia arrivato al potere un uomo come Gorbachev, di stridente antropologica diversità con la gerontocrazia che l’ha nominato.
Un gigante comunque, che sarà ricordato per aver chiuso e consegnato alla Storia il più ambizioso, organico, gigantesco (per scala) tentativo dell’uomo di costruire l’Utopia. Velleitario e fallimentare alla fine della fiera, ma creduto possibile da milioni e milioni di individui.




