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16 Giugno 2022
Quando, durante l’ultimo incontro del mio gruppo di lettura si è discusso di un libro, “La vita invisibile di Euridice Gusmao” di Martha Batalha, del 2016, si è aperta una interessante discussione a proposito della letteratura sudamericana al femminile, delle sue caratteristiche, e di come esse si fossero ripercosse anche all’interno delle generazioni più giovani , a cui l’autrice del volume appena citato appartiene.
E’ stato inevitabile, in tale discussione, fare il nome della più illustre rappresentante di tale scuola, Isabel Allende, e mi sono ritrovata tra le mani una sua opera recente ,”Donne dell’anima mia”, del 2020, in cui, forse per la prima volta nella sua carriera di scrittrice, in maniera diretta, essa riunisce una serie di riflessioni su temi come il femminismo, l’emancipazione femminile nell’arco degli ultimi sessant’anni, la violenza sulle donne, la forza della scrittura come forma di esercizio quotidiano per ribadire la propria viva presenza nel mondo. In tale sede essa elenca anche le organizzazioni a cui ha dato vita, proprio per contrastare le forme ancora presenti di abuso, sfruttamento, matrimonio precoce imposto dalla famiglia, nei confronti di moltissime donne e bambine in tutto il mondo.
Ripercorrendo con rapidità i suoi titoli a cui nel tempo mi sono accostata, è stato molto interessante scoprire in qualche modo “ a ritroso” , come le protagoniste dei suoi libri, fin dall’esordio clamoroso de “La casa degli spiriti”, incarnino, fin da sempre, proprio il senso della sua difesa accanita dell’autonomia delle donne, della loro innata curiosità, della forza e del coraggio insita in avventure che essa racconta magnificamente, come in “La figlia della fortuna” del 1999, in cui , già nell’Ottocento , Eliza , la protagonista, trova il coraggio di viaggiare dal Sud al Nord America alla ricerca del suo amato, sfidando le regole del tempo, e ritrovando così alla fine una nuova decisiva immagine di donna.
Questa strada non è stata da lei mai abbandonata, se mai sospesa per qualche anno , quando si è dedicata a libri per ragazzi, egualmente affascinanti ed avventurosi nelle vicende e nella scrittura.
L’unico altro libro, oltre a questo, in cui l’autrice si racconta esplicitamente , questa volta attraverso la vita della figlia amatissima, Paula, morta giovane di una rara malattia, è, appunto “Paula” del 1995.
Ma la differenza di fondo tra questi due libri in qualche modo autobiografici sta nel dolore lancinante, profondo, recente, che trapela dal primo dedicato alla figlia, e dalla pacificazione col mondo che emerge invece da quest’ultimo, in cui l’autrice, ormai ottantenne, costretta dal lockdown del 2020 a rimanere forzatamente a casa col marito , dedica a queste pagine una sorta di riflessione complessiva su ciò che essa è sempre stata , su ciò in cui ha sempre creduto, su ciò che la vita le riserva ancora, pur avanti con l’età, in un glorioso inno proprio all’esistenza e a ciò che di prezioso essa può riservare sempre, pur di saperlo apprezzare.
E in questo elenco delle forme in cui la vita l’ha aiutata ad essere quella che è diventata, ci sono figure di donne che l’hanno accompagnata a lungo, come la madre in gioventù, o la sua agente letteraria per tutti i lunghissimi anni della sua carriera, o ancora donne che, con il loro impegno sociale, l’hanno ispirata per varare a sua volta iniziative benefiche ed utili all’emancipazione femminile, prima fra tutte Olga Murray, fondatrice della Nepal Youth Foundation, che offre ormai da molti anni casa, istruzione e assistenza sanitaria ai bambini sfruttati.
Il tono mai didascalico, ma invece vivace ed appassionato, con cui l’autrice tocca con precisione e delicatezza temi i più vari riferiti alle donne in generale, ed alla sua vicenda di donna in particolare, permette al lettore di passare con attenzione e a tratti con una punta di divertimento mai disgiunto dall’ammirazione, attraverso una vita, quella dell’autrice.
Essa appare ai nostri occhi come una donna che non ha mai lasciato da parte la forza dello spirito e la passione per il mondo, le cose, gli uomini e le donne che hanno costruito nel bene e nel male questo mondo in cui essa, pur ad occhi aperti, vive felice di essere viva.
Allende è spietatamente sincera su sé stessa e sull’età che sta vivendo, la cosiddetta “terza età” : “Forse non si realizzerà il mio piano di mantenermi attiva e di morire “con onore”e dunque arriverà il momento in cui dovrò rinunciare a poco a poco alle cose che ora mi sembrano importanti. Spero che le ultime siano la sensualità e la scrittura”.
Ed ancora, qualche pagina più avanti, è in grado di tessere un elogio esplicito della vecchiaia con queste parole :
“ Da quando è morta mia figlia sono pienamente consapevole della prossimità della Morte e ora, a più di settant’anni, la Morte è mia amica….In sostanza, mi trovo in un momento stupendo del mio lungo destino. Questa è una buona notizia per le donne in generale: la vita diventa più facile dopo la menopausa e dopo che i nostri figli si sono resi indipendenti, a condizione che si riescano a ridurre al minimo le aspettative, si rinunci al rancore e ci si rilassi nella certezza che a nessuno, tranne a quelli a noi più vicini, importa un accidente di quel che facciamo e tantomeno di chi siamo. Basta con le pretese e le finzioni, basta lamentarsi e flagellarsi per sciocchezze. Dobbiamo volerci molto bene e volerne agli altri, senza preoccuparci di quanto bene ci viene restituito. Questo è il momento della gentilezza. “
Quindi è con gratitudine che questo libro si legge, condividendo alla fine con l’autrice la forza del suo spirito vitale, la freschezza della sua sensualità nel rapporto col suo ultimo marito incontrato dopo i settant’anni, ed onorando, come suoi lettori da sempre, una carriera di scrittrice ancora attiva , che è stata capace da sempre di farci vivere mille vite e mille viaggi e mille passioni con intatto entusiasmo e magnifica scrittura.
ISABEL ALLENDE, DONNE DELL’ANIMA MIA, Feltrinelli 2020