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2 Maggio 2022La prima cosa che mi è venuta in mente quando ho iniziato a leggere il libro di Fabio Stassi , “Mastro Geppetto”, è stata la faccia di Roberto Benigni nel film di Matteo Garrone del 2019, senza sapere che proprio dalla faccia dell’attore sarebbero iniziate le note dell’autore alla fine della storia.
La faccia di Benigni incarna, infatti, secondo me, la poesia profonda del personaggio, traduce, già attraverso le immagini cinematografiche, quell’insieme così umano di sentimenti che ne fa da subito una sorta di padre per eccellenza, che sceglie di avere un figlio così singolare quando è già avanti nell’età.
Dalle avventure di Pinocchio Stassi ricava però, in questo caso, il senso più profondo di tale paternità, facendo emergere a tratti dei punti fermi della narrazione di Collodi, ma traducendo, in un racconto orale dell’Appennino toscano, tutta la vicenda nella assoluta fedeltà alla propria idea di paternità da parte di Geppetto, contro tutto e contro tutti.
“E’ una storia da un soldo, e la conoscono tutti, ma sulle montagne degli Appennini c’è ancora qualche vecchio che sa com’è andata davvero. E te lo racconta, tra l’odore del grasso dell’inverno, e le coperte sulle spalle, in cambio di un bicchiere o di un toscano. Parla al presente, come se stesse accadendo di nuovo, con il fiato che si gela. Le sue parole sono sterpi e rami secchi che grattano le mani, segni sulla neve .”
Già da queste prime righe chi legge si fa portare subito da una sorta di incantamento, che non lo lascerà fino alla fine della lettura.
E’ il respiro di un racconto antico, è un ritmo di scrittura che sceglie con cura parole per dire, per descrivere, per mostrare la crudeltà di coloro che costruiscono per il vecchio falegname uno scherzo terribile, dove lui, d’altro canto, con la resistenza dell’amore, non si arrende mai, fino alla fine.
La miseria assoluta in cui vive Geppetto ci accompagna durante la lunga complessa fuga alla ricerca del figlio che lui intraprende per tutta la durata della vicenda. Sono gli abiti a brandelli, è la casa disadorna, è il cibo che manca in continuazione, e che fa di quest’uomo una leggenda, capace com’è di camminare, correre, attraversare boschi e valli per giorni e giorni, praticamente senza niente addosso, e con la pancia desolatamente vuota.
“Uno sternuto scosse Geppetto fino alla punta dei piedi. …A piccoli salti, Geppetto rincasò, ma giusto per far di nuovo fagotto. Si riscaldò appena cinque minuti all’ultima brace del caldano e infilò le pezze che usava come guanti: non poteva sapere quanto tempo sarebbe rimasto fuori, e se al ritorno li avesse pescati la luna nei boschi. Meno di mezz’ora dopo aveva già abbandonato il paese, e scendeva verso valle.”
Ecco una breve descrizione di una delle mille partenze, della speranza sempre alta nel cuore di quest’uomo di ritrovare il figlio, e qualche volta sembra essere veramente sul punto di rivederlo, quando un’ennesima combinazione infausta o un’ennesima cospirazione ai suoi danni, glielo fanno perdere di nuovo e di nuovo e di nuovo.
La sua ai miei occhi si configura da subito come una sorta di “quete” di cavalleresca memoria, dove il suo Santo Graal è un ragazzino di legno a cui lui attribuisce fin da subito natura umana, ma qui burattino resta per sempre, nascosto, rubato, impiccato, trafugato, e, comunque, mai o quasi mai, se non nelle pagine della sua “nascita” dal ciocco di legno, realmente presente nelle pagine scritte.
Ecco che quindi l’idea di paternità assoluta, di speranza di poter girare il mondo col suo bambino, facendo finalmente distanza da quel piccolo, terribile, freddo paese di nemici, assume sempre di più nel corso della narrazione il senso di una speranza totale, di una energia segreta che fa persino rifiutare la morte ben due volte da parte del falegname. Lui resuscita, in qualche modo, davanti agli occhi stupefatti degli astanti, perchè
, pelle e ossa, vestito di stracci, sente che non è ancora arrivato il momento di arrendersi, di accettare di avere perso Pinocchio.
La sua è una storia tragica, ma dove gli unici che lo sostengono in qualche modo sono sempre uomini in viaggio, uomini che fanno dello spostamento continuo il fine della loro vita e il senso del loro mestiere. Gli danno qualcosa da mangiare e, nel caso di Romeo, l’uomo con la coda d’animale, lo fanno ricoverare dove potrà almeno morire in pace.
Il mondo della Sanità, se così si può dire, è rappresentato nel libro un po’ come il ventre di una balena che non risputa più le sue vittime, un po’ come il Pesce-Cane che a sua volta ascolta le parole del racconto di Geppetto, attorno al suo capezzale.
Le ultime pagine del libro sono a mio avviso le più struggenti, facendo attenzione da un lato alla progressiva afasia di Geppetto, che, prima di dare la stura magicamente al suo ultimo racconto, non risulta più in grado di pronunciare chiaramente un discorso, dall’altro alla sua magica trasformazione nel ciocco di legno da cui è nato suo figlio. L’immagine finale risulta la perfetta simbiosi tra questi due esseri che risultano alla fine così vicini , anche se lontani per sempre, da farsi della stessa materia.
Stassi ci ha regalato così un piccolo prezioso gioiello, un breve libro fatto di poesia e di attenzione precisa ai dettagli della natura e alla bellezza di un sentimento, quello paterno, capace di travalicare ogni ostacolo.
La cattiveria del mondo risulta, così, sconfitta nei suoi piani perversi una volta per tutte, e resta il coraggio di un vecchio falegname senza paura.
Fabio Stassi, Mastro Geppetto, Sellerio 2021