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6 Maggio 2025
Contro il sufragio universale
7 Maggio 2025Ivo Zunica sul finire del 2024 ha scritto per LUMINOSI GIORNI un appassionato articolo in rubrica COSTUME E MALCOSTUME, nel quale rivendicava il sacrosanto diritto di dire la sua su quel che gli pare, senza dover star lì a vedere se ne è competente o no. A dirla anche in ambiti tematici che per lui sono di seconda e terza mano, ma nei quali è in grado comunque di esprimere un’opinione ragionevolmente corretta o comunque utile al confronto e al dibattito.
Per certi aspetti gli ho dato ragione.
Perché mai dovremmo privarci del piacere di conversare ed esprimerci? E se, per conversare, dovessimo essere tutti docenti ai massimi livelli su quel dato tema, non si comincerebbe mai, perché, a parte ciò di cui specificatamente ci occupiamo e di cui abbiamo piena contezza, in tutto il resto siamo ovviamente dei dilettanti. D’altra parte, dice Ivo, se dobbiamo esprimerci politicamente, votare cioè, e valutare dei programmi politici, lo facciamo ugualmente, e giustamente lo facciamo, anche se siamo approssimativi. Anche se ciò vale per i pochi che votano dopo aver letto un programma elettorale, visto che la pigra maggioranza dei votanti mette la croce sul simbolo per mera appartenenza senza curarsi di altro. (a proposito di ciò, questa notazione si integra perfettamente con l’articolo che compare su questa stessa pagina a firma Stefano Bargellini e intitolato “Contro il suffragio universale”:https://www.luminosigiorni.it/cultura/contro-il-sufragio-universale/)
Semmai, e questo Ivo a parer mio avrebbe dovuto aggiungerlo, diciamo pure la nostra su tutto, ma con le dovute cautele, sapendo di non sapere. Se poi le opinioni sui fatti si intrecciano con quelle per le persone la cautela dovrebbe portare a quel senso di rispetto che dovremmo sempre avere in questi casi. O forse non lo ha aggiunto perché, conoscendolo, per lui è ovvia sia la cautela che il rispetto e pratica entrambe di norma. Mentre quante volte abbiamo sentito sbottare, anche in una cena tra amici: “quello lì è uno stronzo”. Così, lapidario e senza spiegazioni.
Dovremmo tuttavia ammettere, e mi colloco anch’io nel mazzo, che a volte ci lasciamo prendere dal nostro punto di vista, per il quale, essendo nostro, nutriamo un particolare affetto. Non solo, ma lo riteniamo retto e giusto e questa è un’ovvietà: chi mai esprimerebbe un parere se lo considerasse sbagliato in partenza? È vero che ci sono anche quelli che fanno proprio così, ma li chiamiamo appunto ipocriti.
In linea generale, dunque, quando ci esprimiamo pensiamo sempre di essere nel giusto, a tal punto che eccediamo se l’oggetto del nostro parere è radicalmente diverso e contrario da noi e dalla nostra impostazione di vita.
Insomma Ivo ha delle ragioni, ma il problema resta.
Me ne rendo conto tutte le numerose volte in cui mi tocca sentire narrazioni che hanno a che fare con l’universo di temi di cui mi occupo da quando ho il lume della ragione e per i quali rivendico una mia competenza specifica, essendomi fatto il mazzo studiandoli in lungo e in largo. Quelli della mia generazione non usavano mai il termine ‘narrazione’, in inglese, mi pare, ‘storytelling’, è un termine subentrato tardi, in voga da una ventina d’anni, forse meno. Ma devo ammettere che rende bene, è un termine non più sostituibile. La gente ti racconta, parla, parla, a volte partendo noiosamente dall’inizio proprio come Carlo Collodi (C’era una volta… – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno…..) e inchiodandoti fino alla fine, a volte al contrario folgorandoti con partenze e conclusioni di sintesi estrema (“Milano è una città eccezionale, all’avanguardia in Italia, c’è di tutto, attrattiva…Infatti settimana scorsa ci sono stata…) e via, andare.
Ho preso appunto l’esempio di Milano, ma potrebbe essere Roma o Pollanatrocchia (esiste, è in Campania), perché le città, i luoghi e i territori sono un terreno che si ara facilmente con l’aratro delle proprie impressioni che diventano verità scolpite sulla roccia. I luoghi e i territoriFanno parte della mia personale competenza, applicati soprattutto alle città, l’unico sapere che maneggio con sicurezza e di cui sono geloso, e ogni volta quando sento il dilettante di turno sproloquiare su Milano, o sulla suddetta Pollanatrocchia, o su qualsisi luogo, mi prende un’irritazione mica da poco. Rifletto che non avviene proprio la stessa cosa per altri ambiti disciplinari, nei quali la gente ha molto più scrupolo ad esprimersi apertamentee ad invaderne il campo. Per dire, uno non si slancia a parlare in gruppo con prosopopea di corpo umano, di anatomia, di cistifellea o di pancreas o di ventricolo destro, e neppure di impianti dentari e di piorrea, adesso magari, con la divulgazione universale, più di una volta, ma un certo pudore permane. Anche sulla Storia con la S maiuscola si va cauti, non c’eravamo, come si fa a dire. Certo oggi c’è il prof. Barbero che ce la racconta, ma replicarlo non è facile. Invece sui luoghi, sui territori in genere, comprese cascate, valli e foreste, sulle descrizioni del variegato mondo e soprattutto sulle città si va a nozze senza ritegno. E si parla, si parla, senza il minimo sospetto di raccontare storpiature clamorose. Perché spesso, con il viaggio, assurto a moda parossistica e compulsiva, c’è la testimonianza diretta, oppure c’è quello che ti hanno raccontato altri testimoni o testimoni di altre narrazioni. E solo questo, secondo il narratore, fa testo.
Così accade che, siccome di luoghi mi sono occupato per professione e per studio, quando ne sento parlare dagli altri l’impressione che ne ricavo, soprattutto se i luoghi li conosco già in modo approfondito, è quella di sentire qualcosa a metà strada tra la leggenda e la caricatura. Ora, leggenda e caricatura non sono la stessa cosa, ma hanno in comune lo stesso rapporto con la realtà oggettiva. Le assomigliano, c’è qualcosa di vero, ma molto, molto, molto di falso e artefatto, stravolto, romanzato, inficiato dai ‘si dice’, e soprattutto deformato dalla regina delle deformazioni: la percezione (il caricaturista ‘percepisce’ e basta, ma volutamente, sapendo di percepire quel che percepirà chi conosce l’oggetto della caricatura. Omero volutamente deformava, convertendolo in una splendida leggenda fatta di storia di donne e di patria, un banale assedio per motivi commerciali sul Mar Nero, basandosi sulla percezione complessiva che poteva dare una bella e fortunata/sfortunata spedizione).
I portatori sani di queste leggende/caricature sui luoghi sono prima di tutto i mass media, maestri nell’arte di dire la superficie di ogni cosa, e di enfatizzare retoricamente e volutamente in modo stereotipato e conformista ciò che colpisce l’immaginario in qualsiasi ambito, specie quello del territorio. Perché mai e poi mai invece nei mass media trovi divulgatori realmente esperti della disciplina che i luoghi li governa per definizione (si chiamerebbe geografia, ma va là). Poi portatori sani sono i moderni viaggiatori, l’ho già detto, i meno attendibili di tutti, perché quando viaggiano vedono l’ 1% del tal luogo e lo generalizzano, e in quell’ 1% chiedono conferme da ciò che hanno appreso prima di partire, appreso da altre leggende, mass mediatiche e di altri viaggiatori da salotto. Infine, spiace dirlo, portatori sani della leggenda/caricatura sono i residenti stessi del tal luogo, quelli che a rigore dovrebbero essere i più attendibili. E invece no, ingigantiscono nel bene e nel male la loro realtà parziale, indotti dal giudizio preventivo, positivo o negativo, del luogo in cui abitano o delle sue immediate vicinanze, hanno visoni ristrette al loro ‘particulare’ e credono anch’essi che la testimonianza diretta (“ci abito, lo saprò, no?”) valga di più della scienza astratta, l’unica invece che sa con regolarità correggere gli errori, soprattutto i loro errori. Un po’ come è accaduto per la questione del sole che fino al 1600 sembrava ai testimoni diretti, i ‘residenti’ del pianeta terra, muoversi nel cielo con una terra ferma e fissa immobile, ed erano sicuri testimoni che fosse così perché quello e solo quello percepivano. Di questi abbagli macroscopici si nutre la testimonianza diretta. E invece la realtà del rapporto sole/terra era esattamente il contrario e c’è voluta la scienza astratta e puramente teorica per dimostrarlo. Infatti più di una volta, pur non avendoci mai messo piede, mi è toccato, con tatto e moderazione, correggere nozioni errate a chi in quei luoghi c’era stato più e più volte o addirittura vi risiedeva, e di cui sproloquiava banaità e stereotipi.
Tanto per essere esplicito. Venezia, la città in cui abito (non in cui vivo, quello è il mondo), è in assoluto il luogo al mondo più deformato in leggenda/caricatura dal combinato disposto mass media-viaggiatori-residenti. Persino studiosi di lignaggio, storici (Braudel), geografi (Turri), grandi giornalisti (Montanelli) sono stati ingannati dalla fata morgana della percezione su Venezia, figuratevi tutti gli altri, ripeto, residenti compresi. Avete presente tutto quel che si dice diffusamente nel bene e nel molto male di questa città, concentrato in pochi ma ben incardinati concetti e nozioni, stereotipi, ovvietà, tormentoni? Bene sappiate che trattasi appunto quasi sempre di leggenda/caricatura, ammantata dalla sistematicamente fallace percezione, e che la realtà geourbana di tale città è quasi sempre l’opposto di ciò che sentite dire. Perchè la narrazione ha solitamente come portatore chi di geografia urbana capisce poco o niente, ma divulga un’immagine distorta e fuorviante. Meglio, deformante. Perchè poi, si sa, come per le leggende e per le caricature, il bozzolo di vero c’è sempre, e questo è anche peggio perchè legittima il blaterante di turno. Rassegnamoci, ma è così. Non dubito che altre realtà come Napoli, Roma subiscano la stessa sorte deformata, di solito in negativo, mentre di Milano, nel racconto stratosferico positivo, ho già detto (curioso che negli anni ’80 Milano fosse succube invece di una narrazione opposta e negativa, anche quella, si sa, con altrettanto scarso fondamento).
E infatti l’esercizio che dovremmo fare quando ascoltiamo da qualche dilettante la narrazione di un luogo, di un territorio, di una città è immaginarci non proprio l’opposto. Quasi l’opposto. In fondo questo per contrari è un modo di apprendere, meno lineare, ma ugualmente efficace. Ribaltiamo quello che sentiamo e siamo a posto. Vale per i luoghi, soprattutto, ma vale in generale per qualsiasi oggetto narrato da chi non ne sa nulla e va solo a impressioni.
Dopodichè, caro Ivo, diciamo lo stesso la nostra, sui luoghi e su quel che ci pare. Non andremo in galera per una bufala o per un giudizio infondato e gratuito, se non è chiaramente lesivo per le persone. La libertà è anche questa.