MONEY!!!!!!! Ovvero: sulla “questione morale”
19 Giugno 2015Nè vincitori nè vinti a Venezia, se si prova a lavorare insieme. EDITORIALI IN TEMPO REALE ( O QUASI ) 6
28 Giugno 2015Per ogni problema complesso c’è una soluzione semplice che è sbagliata. (George Bernard Shaw).
In questi tempi difficili, perduranti scelte non solo locali – e a nostro avviso non troppo lungimiranti- hanno visto a Venezia la costante diminuzione di risorse e investimenti in ambito culturale e addirittura l’improvvido “abbandono” di interi comparti, anche se produttivi. La separazione tra cultura e turismo nel governo cittadino dell’ultimo decennio, inoltre, lungi dal rafforzare le singole specificità, ha condotto a una sostanziale marginalizzazione di entrambi questi settori cruciali, con conseguenze e ricadute non certo positive. Ma è proprio in considerazione delle criticità economiche attuali che il comparto cultura andrebbe analizzato anche nelle sue connessioni con il turismo e con le risorse da questo generate, in modo da utilizzarle e reinvestirle in favore dell’intera comunità locale (del centro storico e della terraferma). Dal canto suo, una rinnovata centralità della cultura, se opportunamente gestita, potrebbe contribuire in maniera sostanziale a migliorare la qualità del turismo e quindi della vita della città. Ma siamo sicuri che il rapporto turismo/cultura nella nostra città sia chiaro a tutti nelle sue dinamiche? Ci è chiaro , ad esempio, cosa vengono davvero a fare a Venezia i turisti? Quali sono i principali attrattori per loro? Come e quanto impatta questa massa sul tessuto urbano, sui servizi, sulla gestione della città, sulla sua struttura economico/imprenditoriale? Si dice, con una certa approssimata superficialità, che quello veneziano è turismo “ culturale” ma è proprio così?
I turisti a Venezia sono, nella maggior parte dei casi, “first time visitors”, vengono in città per la sua atmosfera e per il suo ambiente, solo uno su 10 entra in un museo (1,5 su 2 tra i pernottanti in centro storico). Bassissima è anche l’incidenza dei fidelizzati, cioè di coloro che ci tornano più di una volta. La percezione più comune della città da parte dei suoi molti ma effimeri visitatori è quella di un luogo affascinante, di grande atmosfera, da vedere una volta nella vita (magari dal ponte di una grande nave), ma non del tutto accogliente e non portatore di stimoli tali da predisporre a un ritorno. Come invece avviene per città come Londra, Parigi, New York, ma anche Roma, Barcellona, Berlino, perfino come Praga e Istanbul, che risultano più stimolanti, e sono maggiormente interessate (in percentuale sul totale dei rispettivi visitatori) dal fenomeno del cosiddetto short break o city break tourism (il viaggio con destinazione una città, di breve durata ma di alta qualità per occasioni, esperienze, atmosfera, suggestioni complessive, ma anche per servizi e dotazioni offerte).
La maggior parte dei visitatori di Venezia non è di questo tipo, e la quota di turismo consapevole, motivato e con buona capacità di spesa, si va assottigliando con l’avanzare della crisi economica. Venezia è infatti il principale competitore dei suoi stessi musei ed eventi: un giro per la città è ritenuto dal nostro turista medio sufficiente a ottenere una soddisfacente visione del “luogo magico” senza troppo attentare al portafoglio.
Un turismo di questo tipo incide certamente tra i costi fissi di gestione della città ma produce ricchezza solo per alcune categorie. Collegato a questo turismo è il proliferare di attività di basso profilo e qualità, dai chioschi e negozietti di maschere e chincaglierie, ai baretti con ristori precotti e to take away, che infestano financo l’area marciana, agli ambulanti ( e mendicanti) abusivi che oramai minano anche la qualità dell’offerta commerciale dopo aver profondamente inciso sulla presenza dell’artigianato in città.
Ne consegue una percezione complessiva di degrado dell’offerta della città, tanto più nel contesto di una complicata gestione dei servizi (dalle pulizie ai trasporti pubblici), di manutenzioni e restauri carenti, della mancanza di zone di sosta, di una gestione dei flussi, dei plateatici, dell’arredo urbano vistosamente inefficiente.
Collegata con questi fattori è la progressiva diminuzione dell’incidenza del turismo di qualità, il solo realmente sostenibile e ormai limitato a una settimana a giugno ogni due anni in concomitanza con l’inaugurazione della Biennale, a poche settimane tra settembre e ottobre, a pochi giorni intorno a Pasqua e ai soli pernottanti stranieri durante il carnevale (mentre masse di escursionisti la invadono con non si sa quale effettivo vantaggio per la città) sempre che non ci sia brutto tempo. Un circolo vizioso che bisognerebbe rompere, perchè paradossalmente la città si sta così allontanando dalla sua stessa immagine, quella per cui teoricamente sarebbe ricercata. Recuperarne e salvaguardarne la qualità significherebbe lavorare non solo per migliorare l’ offerta culturale e turistica, ma anche per la qualità della vita stessa dei suoi abitanti. A grandi linee, risulta evidente che è il turista pernottante a generare un indotto significativo, e che gli escursionisti- soprattutto quelli estivi, ma anche quelli che si presentano in occasioni particolari e poco “culturali”, girando ad esempio per la città a Carnevale o occupando la piazza nella notte di Capodanno- costituiscono la massa maggiormente invasiva e meno “produttiva”. Si affastellano ora proposte più o meno tecnologiche, di blocco e regolazione di flussi che andrebbero invece e preliminarmente gestiti e governati a monte, prima dell’arrivo in città, con politiche di differenziazione di costi, di incentivazione di itinerari, e in generale di adeguamento degli standard di servizio.
Va anche detto che esisterebbe un altro tipo di escursionista, prevalentemente italiano, più motivato e consapevole, disponibile a visitare (nei week end) mostre temporanee di qualità e che potrebbe essere attratto anche dalla confezione di offerte mirate (circuiti insoliti, visite a tema, capolavori poco noti o riscoperti ecc) soprattutto in presenza di una politica di integrazione di servizi (parcheggio, trasporto, ristoro, shopping) oggi attuata da altre realtà urbane ma completamente assente a Venezia. Sono mancati infatti finora una regia o un presidio dello sviluppo del ciclo di vita del prodotto culturale e di quello turistico, dalla progettazione all’erogazione, dalla qualità dell’offerta alla soddisfazione dell’utenza: anche per questo la città non pare in grado di governare i flussi turistici ma ne è governata, e la sua“ magica atmosfera” è un attrattore prevalente ma generico e lontano dai valori qualificanti della sua identità .
All’immagine di sé, alla sua rappresentazione la Repubblica di Venezia destinava infatti un ruolo importantissimo e non, si badi bene, per scopi superficiali o effimeri, ma per dare corpo, spessore e identità al proprio ruolo tra le potenze del tempo. Un ruolo che significava innanzitutto commercio, qualità dei prodotti, qualità tecnologica (pensiamo ad esempio alla produzione navale), qualità nella diplomazia, qualità e apertura nella ricerca, qualità nella libertà di stampa e di pensiero. All’arte era riservato il ruolo di incarnare questa identità e forgiarne l’immagine.
Vincere la battaglia della qualità e rafforzare una governance veramente pubblica significherebbe insomma ritrovare e attualizzare l’identità della città, rivitalizzarne il portato storico-artistico e culturale, creare buona occupazione, rendere più sostenibile il turismo, favorire l’osmosi di attività, persone e pensieri del centro storico e della terraferma. In questo modo, come conseguenza e senza forzature, Venezia potrebbe ridiventare un naturale incubatore di nuova qualità, di stimoli, di proposte, come fanno le città “vere”.
Era questo il sogno di rinnovamento a cui pensavamo, e che ci vedrà d’ora in poi vigilare attentamente, senza sconti e indulgenze.