
SHAUL BASSI. La mia città dei prossimi 5 anni
4 Agosto 2020
GIANNANDREA MENCINI. La mia città dei prossimi 5 anni
5 Agosto 2020Luminosi Giorni, con spirito di servizio al fine di accrescere la consapevolezza per il prossimo voto alla Amministrative del Comune di Venezia, ospita una serie di interventi di personalità che riteniamo offrano spunti di riflessione per un voto ponderato e consapevole. Gli amici che hanno cortesemente offerto il loro contributo provengono da aree culturali, politiche e ideali le più diverse e offrono visioni talvolta molto confliggenti tra loro. Ma mai banali. Come Redazione ci piace pensare di poter contribuire a un confronto sereno e non fazioso sui temi che riguardano il futuro della nostra città. Alcuni degli autori scenderanno personalmente nell’agone elettorale. A loro, indistintamente, va il nostro in bocca al lupo e a tutti, candidati e no, un sentito grazie per la collaborazione.
Se già prevedere cosa succederà nelle prossime cinque settimane, con alle porte uno degli autunni più “caldi” di sempre, risulta difficile, figuriamoci immaginare il futuro della città a cinque anni.
Il covid ha rovesciato tutti gli scenari, tutte le previsioni, tutti i modelli, tutti i nostri consolidati schemi utilizzati per gestire non solo la complessità ma anche le nostre routine quotidiane.
E così il tema portante della città, oggi, ha completamente cambiato profilo.
Parlare oggi di overtourism e di conseguente gestione dei flussi sembra distonico con una situazione che per mesi ha visto “zero tourism” e anche adesso annaspa tra l’incertezza sanitaria, le preoccupazioni economiche e un’immagine di un’Italia che, non adeguatamente difesa durante i mesi primaverili, è stata spesso abbinata a livello internazionale al concetto di focolaio europeo.
Sicuramente il turismo andava e va ripensato ma una cosa era farlo in un periodo di “vacche grasse” (anche se proprio le “vacche grasse” rappresentano in molti campi il più grosso freno al cambiamento) una cosa è farlo adesso in un momento di crisi senza precedenti.
Sostenere che paghiamo la scelta di aver puntato tutto sulla monocoltura turistica è ora banale e tautologico ma per anni è stata una scelta tutto sommato facile che non richiedeva grandi strategie o elaborate pianificazioni.
La città si vendeva da sola, i turisti arrivano in automatico, l’aumento quantitativo dei flussi internazionali (legato alla maggior accessibilità dei voli, all’apertura dei mercati orientali, ecc.) era garanzia automatica di business.
Un business che non necessitava neanche di grandissime competenze.
Un B&B non richiedeva l’organizzazione di un hotel, un ristorante di “bassa fascia” non richiedeva le professionalità di una struttura gourmet.
Il turista “low cost” non pretendeva e all’abbassamento del livello qualitativo dei turisti (e al contestuale aumento dei flussi) corrispondeva un aumento dei profitti.
Poi, l’ultima domenica di carnevale 2020, è successo l’impensabile: il giocattolo si è rotto.
Tornare ai 30 milioni di turisti annui oggi è utopistico.
Ma fare un revamping del nostro sistema in poche settimane, per puntare maggiormente sulla qualità, lo è altrettanto e se anche per assurdo fosse possibile lascerebbe non poche macerie.
Finalmente si è iniziato a parlare di turismo esperienziale come nuova frontiera.
Ma per muoversi in queste direttrici, in realtà non così nuove, bisogna essere consapevoli che il turista non visita più monumenti ma cerca un legame affettivo ed emotivo con tutto l’ecosistema territoriale (monumenti, musei, servizi, mobilità, ospitalità, ristorazione e cittadini… sì, proprio cittadini perché il turista esperienziale vuole visitare una citta vera e viva e non un museo a cielo aperto).
In questo contesto, tutti gli attori della filiera – pubblici e privati – sono chiamati a relazionarsi e a mettersi in sinergia, cosa non semplice, non banale e soprattutto non immediata.
Venezia non solo deve ripensare il sistema turistico ma anche la sua comunicazione (quella cosa che non è mai servita perché la città si “vendeva da sola”).
Oggi più che mai serve una strategia di marketing di destinazione forte e di lungo periodo che sappia integrare al suo interno anche il marketing culturale.
Troppo spesso in Italia marketing e cultura sono letti in antitesi.
Ma marketing non vuol dire svilimento del prodotto culturale ma valorizzazione.
Solo così potremo proporre un’idea diversa di città. Una città che non sia solo Piazza San Marco.
Troppi sono i tesori non valorizzati (penso banalmente all’uomo vitruviano di Leonardo che in pochissimi sanno essere conservato presso le Gallerie dell’Accademia e che da solo potrebbe sostenere uno storytelling turistico-culturale in grado di spostare flussi di visitatori importanti).
Un filone rilevante è rappresentato dal turismo congressuale. Un turismo alto-spendente che però richiede standard qualitativi altissimi e anche strutture polifunzionali che da sempre rappresentano un tallone d’Achille della nostra città.
La realtà, però, oggi è che il covid ci ha presentato il conto della monocultura turistica.
Non c’è un piano B, non c’è una via di fuga, non abbiamo economie integrative che possano darci un minimo di ossigeno.
Parlo volutamente di economie integrative e non di economie alternative perché la logica della contrapposizione – a tutti i livelli – ha rappresentato un grosso freno allo sviluppo della città.
Non possiamo morire di troppo turismo ma al tempo stesso senza turismo non possiamo sopravvivere (in fin dei conti il PIL generato dal turismo ha permesso di colmare il buco lasciato dalla crisi di Porto Marghera).
Ma quali possono essere queste economie integrative?
Tecnicamente si definiscono KIBS – knowledge intensive business services – sono i servizi basati sulla conoscenza e sulle idee. Una tipologia di servizi che non richiede grandi infrastrutture fisiche o logistiche ma autostrade digitali.
Venezia deve diventare una capitale mondiale della cultura, dell’innovazione, dei servizi tecnologici, sfruttando la sua attrattività e il suo brand internazionale.
Provocatoriamente mi piace dire che le Procuratie di Piazza San Marco dovrebbero ospitare la sede europea di Google esattamente come trent’anni fa ospitavano la Direzione per l’Italia di Assicurazioni Generali (la cui “fuga” a Mogliano Veneto ha rappresentato un colpo mortale per la città). Così pensare l’Arsenale come un grande hub dell’innovazione potrebbe essere una bella suggestione
Per dare concretezza a questo sviluppo, fondamentale deve essere la sinergia con il tessuto produttivo veneto e con i nostri due atenei – Ca’ Foscari e IUAV – che non solo rappresentano due eccellenze del nostro territorio ma che costituiscono una meta ambita per molti giovani.
Anche qui il problema non è l’attrattività ma l’incapacità di trattenere a fine ciclo di studio i numerosi studenti che si sono innamorati della città.
Dobbiamo provare a invertire i fattori. La nuova residenzialità non si crea partendo dalla casa ma dal lavoro e dai lavori qualificati.
Ovvio, la casa resta fondamentale per lo sviluppo residenziale ma le dinamiche generate dai B&B non aiutano in quanto il proliferare delle affittanze turistiche trova linfa proprio in quel filone di despecializzazione visto prima.
Per aprire un B&B non servono grandi competenze, non serve un’organizzazione, la filiera degli approvvigionamenti è minima. In compenso la rendita è rilevante.
Proprio questo sistema – lecito ci mancherebbe – genera uno dei problemi più rilevanti: la concentrazione proprietaria.
E proprio in questo senso può essere utile regolamentare un mercato che nelle pieghe dell’investimento integrativo nasconde delle vere e proprie attività imprenditoriali che si contrappongono in modo agile al più normato sistema alberghiero.
Un altro ambito rilevante può essere la logistica.
La nostra area presenta potenzialità importanti se saremo in grado di mettere realmente in sinergia porto, aeroporto e interporto di Padova. Non è una questione turistica ma di creare una piattaforma intermodale moderna e funzionale che possa essere baricentrica in uno scacchiere geo-economico ampio. Da questo punto di vista, ad esempio, un collegamento ferroviario (quanto meno ad alta capacità) con l’aeroporto risulta imprescindibile.
Un altro piano di sviluppo può e deve essere Porto Marghera.
Al netto delle riqualificazioni urbanistiche necessarie, l’area non necessariamente deve perdere la sua natura industriale, anzi.
La chimica sostenibile oggi è una realtà in grado di attrarre investimenti, competenze, sviluppo.
Trasformare quello che per anni è stato un simbolo negativo in un punto di riferimento internazionale dell’innovazione sostenibile applicata alle industrie di processo (anche qui in sinergia con le nostre Università) deve essere una direttrice da prendere assolutamente in considerazione per creare impresa e occupazione in sicurezza.
A questo si può e si deve aggiungere la cantieristica. Non solo la nostra cantieristica tradizionale ma soprattutto la cantieristica da diporto, settore nel quale l’Italia resta un punto di riferimento internazionale.
Sotto questo punto di vista il Salone Nautico e le relazioni avviate in questi anni con il Gruppo Ferretti rappresentano un buon viatico per un percorso di crescita strategico.
Chi è Federico Rossi: veneziano, classe 1972, laurea in Economia Aziendale. Nel 1997 inizial’attività di consulente di marketing e comunicazione e nel 1999, fonda Sintesi Comunicazione. Riveste molti incarichi pubblici, tra gli altri in Confindustria Padova e Unicom (Un. Naz. Imprese Comunicazione) per la quale sono anche Delegato per il Triveneto e membro dell’Osservatorio. “Frequent speaker” a convegni e seminari su marketing e comunicazione e saggista.