Il caso Orsoni, o anche: il tempo della giustizia
16 Settembre 2017Aiutare i Paesi poveri, comunque, costa. Ma chi paga?
17 Settembre 2017Dunque il Codacons, l’associazione di consumatori, ha inoltrato una denuncia contro il fumetto Corto Maltese per istigazione al tabagismo, in quanto il protagonista viene spesso raffigurato con la sigaretta in bocca. Ve lo immaginate se non solo la fumettistica, ma anche la pittura, la letteratura, venissero depurate da immagini o frasi richiamanti un vizio, o un’azione violenta o irrispettosa? (E comunque è già successo, anni fa fu chiesta nell’Università della Pennsylvania la rimozione di una copia della Maya desnuda del Goya, in quanto considerata antifemminista).
Una iniziativa, quella del Codacons, senz’altro ispirata al “politicamente corretto”, cioè ad un atteggiamento di sistematico impiego di un linguaggio depurato da ogni rischio di offesa o mancanza di rispetto nei confronti di minoranze etniche, di minori, di condizioni di vita spiacevoli, di persone svantaggiate, di categorie che svolgono attività generalmente non ambite.
Il politicamente corretto sostituisce il linguaggio comune con un linguaggio definito corretto, il più possibile asettico, fatto di ricorsi alla definizione negativa, di eufemismi, di perifrasi: il cieco diventa non vedente; il disabile diventa diversamente abile; l’omosessuale, gay; il negro diventa afro-americano, o di colore.
Il linguaggio è solo uno dei livelli del politicamente corretto. Al linguaggio corrisponde un pensiero-guida, una sorta di ideologia: evitare il rischio di offendere persone, gruppi o minoranze socialmente deboli, considerandoli deboli tout court, per definizione, rifuggendo da ogni distinguo o da ogni giudizio sul loro comportamento. Seguendo i dettami del politicamente corretto, se si critica l’Islam si può essere accusati della posizione contraria, ovvero di essere islamofobi; se si allestisce il presepe natalizio nelle scuole, si manca di rispetto agli alunni delle altre religioni; se si è contro le quote rosa, in quanto si preferisce la selezione dei candidati alle elezioni indipendentemente dal sesso di appartenenza, si è automaticamente misogini; se si è contro l’accoglienza indiscriminata di profughi, si è razzisti o xenofobi, e via dicendo.
Il suo linguaggio richiama un substrato ideologico; non per niente il politically correct è nato come espressione dei ceti dell’America democratica e liberal, finalizzato al multiculturalismo, al melting pot (il crogiolo di razze, culture e costumi), per di più con una visione piuttosto radicale. Un atteggiamento che si è diffuso anche in Europa, adottato da buona parte della sinistra italiana, ma non solo dalla sinistra, anche per la sua carica risarcitoria verso persone o gruppi un tempo considerati inferiori. In concreto un’etica dei buoni sentimenti, della generosità; un concetto dilatato fino a comprendere le più diverse situazioni di disagio o di svantaggio, che attraverso il linguaggio e l’atteggiamento del politicamente corretto riceverebbero opportunità,sia pur nominali, di riscatto sociale e politico. Infatti la dilatazione del politicamente corretto ha interessato non solo le più disparate situazioni di disagio, ma anche il campo dei diritti individuali, accompagnandone l’ipertrofia.
Il politicamente corretto si interseca con il relativismo culturale, per cui tutte le culture particolari hanno pari dignità – con conseguente vantaggio per le culture minoritarie-; volendo considerarle tutte di uguale rango, l’unica modalità consiste nel politicamente corretto, che elimina qualsiasi disparità di trattamento, e che quindi diventa una sorta di pensiero unico, soprattutto una sorta di conformismo cui uniformarsi.
Il politicamente corretto si è inserito facilmente nel bagaglio culturale e comportamentale di gran parte della sinistra, coniugandosi con il mito della diversità e della superiorità “progressista”, quella ben illustrata e criticata da Francesco Piccolo nel suo libro “Il desiderio di essere come tutti”. Inoltre, il politicamente corretto è escludente nei confronti di chi non si conforma ai suoi dettami; stigmatizza qualsiasi affermazione o comportamento che non sia in linea con i suoi schemi, e la sua attività censoria o fustigatrice è sentita come doverosa.
Ma c’è un altro effetto importante del politicamente corretto: il suo linguaggio ed il suo insieme di atteggiamenti, ormai patrimonio dei livelli sociali medi o medio-superiori, hanno messo in rilievo e ampliato il distacco con i ceti sociali di livello economico-sociale inferiore, che sono alle prese con problemi economico-sociali ben più incombenti.
Abbiamo visto come in America una campionessa del politically correct come Ilary Clinton sia stata sconfitta: tra le molteplici ragioni, la scelta da parte degli elettori di una politica che abbandonasse l’interventismo americano nei vari teatri mondiali, e che attuasse politiche di protezione nei confronti dell’esterno, della globalizzazione. Sono emerse in questo frangente storico le spinte alla chiusura, in America come in Europa ed in Italia. Un aiuto a queste spinte l’hanno fornito anche le esagerazioni e le enunciazioni, spesso di impronta fondamentalista, del politicamente corretto, che hanno diffuso ed enfatizzato l’ideologia della comprensione verso “gli altri”, il rivendicazionismo civile costante. In Italia, per esempio, l’atteggiamento comprensivo e permissivo verso i devianti, i condannati, a causa del quale la preminenza concessa al percorso riabilitativo quasi mortifica l’assolvimento della pena; altro esempio, l’atteggiamento favorevole all’accoglienza generalizzata dei richiedenti asilo, con scarsa applicazione di criteri di selezione; oppure l’atteggiamento avverso alle antichissime e tradizionali distinzioni di genere, per cui si introducono nelle schede anagrafiche dei minori le diciture “genitore” senza voler distinguere aprioristicamente il padre e la madre.
Una cultura dunque autoreferenziale ed autocelebrativa, che ha finito per mettere in risalto la distanza tra questo atteggiamento perbenista ed autocompiaciuto e la fatica di quei ceti che sono alle prese con processi di impoverimento, di deprivazione non solo economica ma anche civile, alle prese cioè con gli scarti di opportunità e di accessibilità, con la ridotta quantità e qualità di servizi pubblici che alimentano sfiducia generalizzata e protesta. Quei ceti che non vedono via d’uscita, per lo meno a breve termine, alle loro ristrette condizioni materiali.
Da categoria sociale, il politicamente corretto è divenuto categoria politica, specchio e complice del solco tra l’establishment e la periferia.