L’Europa che costruisce diritto
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Perché anche alla luce della recente sentenza del processo Mose – per non citare il caso Mastella assolto dopo 9 anni dai fatti imputatigli – il tema si pone con una certa forza.
Soprattutto da quando la Politica ha delegato alla Magistratura la gestione della Cosa Pubblica.
Perché se è vero che i magistrati devono obbligatoriamente istruire le loro pratiche in presenza di reati, è altrettanto vero che questi devono essere surrogati da prove più che solide soprattutto quando le decisioni della magistratura vanno ad incidere così pesantemente nella vita pubblica. Perché in presenza solo di sospetti, o di soffiate il rischio è quello di scadere nel giustizialismo.
Per carità non è che la quantità di reati realmente commessi e di sentenze inappuntabili che la Magistratura ha emesso anche solo dal 1992 ad oggi non sia lì a dimostrazione dell’ottimo lavoro della Giustizia di questo Paese, ma proprio per questo sarebbe buona pratica che si continuasse su questa strada e non si scadesse invece su quella del protagonismo, delle istruttorie affrettate o abborracciate, delle carcerazioni preventive e dei processi interminabili o irrisolti.
Qui non si tratta di essere innocentisti a man salva o colpevolisti a prescindere, atteggiamenti che in ogni caso non si rendono utili alla convivenza civile o alla partecipazione alle cose della politica.
Si tratta più semplicemente di chiedere che la vita civile, sociale e alla fine politica di una persona e poi di una comunità che magari a questa persona fa riferimento non sia stravolta da un percorso processuale che ne condiziona in modo così determinante le scelte e gli atteggiamenti.
Non è una cosa né facile né semplice da gestire. Perché comunque la Giustizia deve fare il suo corso, come è d’uso dire, ma anche le garanzie del sospettato (ancor prima di essere imputato) vanno salvaguardate. Tutte le garanzie, non solo quelle di avere, se imputato, un processo equo e onesto. Anche quelle di poter esercitare le sue prerogative di cittadino che fa politica.
Magari qui si potrebbero citare i casi del tutto clamorosi, per molti versi, dei vari Craxi e poi ancor più di Berlusconi. Del giustizialismo esercitato a piene mani, o dall’altra parte, a dimostrazione del buon lavoro della Magistratura, delle molte sentenze di colpevolezza, di qualcuna di assoluzione o di altri procedimenti andati in “prescrizione”.
Che poi la prescrizione non significa “sei colpevole ma non ti punisco perché è passato troppo tempo.”
Prescrizione significa “non sono riuscito a farti il processo in tempo e il tuo eventuale reato è estinto.”
“Potevo assolverti o condannarti ma il tempo è consumato”.
Che è un principio sano in una situazione in cui la Giustizia funzionasse nel rispetto dei tempi di un procedimento, che sono fissati dai Codici non dal sentire comune o dall’orientamento di parte.
Perché venendo a noi a questa sentenza del Processo Mose (la Retata storica come qualcuno l’aveva ribattezzato) ci sono state condanne, assoluzioni e prescrizioni. E Orsoni ne è uscito bene, sicuramente meglio di come era entrato.
Ma non c’è dubbio che il coinvolgimento di Orsoni, le modalità del trattamento all’epoca dei fatti, difficilmente avrebbero potuto renderlo immune dalla “sentenza politica” che a giugno del 2014 la cittadinanza aveva emesso nei suoi confronti.
Anche se le accuse nei suoi confronti, che bisogna ricordarlo derivavano dalle “confessioni” di Mazzacurati e Sutto, e da nessun altro riscontro oggettivo (prove, intercettazioni, documentazione etc), durante il processo si sono dimostrate inattendibili.
Ma allora per le ragioni che si ricordavano più sopra sarebbe stata necessaria una verifica preventiva più puntuale, più severa, più rigorosa prima di procedere nei confronti del Sindaco di Venezia.
Prima di avviare tutto quell’ambaradan di procedure, arresti preventivi (poi domiciliari) e del conseguente clamore non solo mediatico.
Che ha fatto sì che sembrasse che tutto il marcio fosse all’interno del Comune di Venezia. Mentre così non era ed è stato dimostrato pubblicamente.
Il marcio, che c’era ed era una voragine per le sue dimensioni quantitative e qualitative, era da ascrivere ad un sistema di potere che faceva perno sul ruolo improprio del CVN, sulla disonestà di alcuni dei suoi esponenti di massimo rilievo, in primis il Presidente, sull’ingordigia di alcune aziende affiliate e sulla sponda politica di caratura nazionale prima ancora che regionale.
Questo travisamento ha fatto sì che una Città fosse ribaltata, ne ha deciso le sorti politico-amministrative, ha decretato anticipatamente la fine della stagione di governo del centrosinistra. Un centrosinistra che all’epoca era in balia di sé stesso e che nell’occasione ha dato ampie prove di tartufismo o di giustizialismo (tutti sceriffi)
Fine di una stagione che forse sarebbe arrivata lo stesso, ma non così, in una maniera così indotta e umorale.
Con gli effetti che tutti hanno sotto gli occhi.