UNESCO e Venezia. Intervista
4 Agosto 2023Lib Dem, dopo Milano tappa a Bologna!
10 Agosto 2023Possiamo parafrasarlo? Il Terzo polo è morto, viva il Terzo Polo.
In primavera sono volati gli stracci, adesso siamo arrivati alle torte in faccia; in queste ultime settimane se ne sono dette di tutti i colori e ora siamo al divorzio che al confronto Hilary Blasi e Francesco Totti sembrano ancora innamorati.
Dopo che si era assistito all’incredibile suicidio collettivo dei riformisti all’ultimo congresso del PD viene da pensare che dietro questo cupio dissolvi vi sia qualcosa che va oltre i caratteri, i personalismi e i narcisismi individuali.
E noi poveri illusi, noi che assieme a molti altri, 8% del voto espresso il 22 settembre, avevamo creduto e investito in quella prospettiva.
Fior fiore di convention, convegni, dichiarazioni, analisi politiche, commentatori di rango, tutti a traguardare un approdo che avrebbe dovuto segnare il porto di attracco di tutti quelli che, politicamente attenti e non disinteressati, avessero voluto riconoscersi in un “qualcosa” che non si identificasse né con sovranismo della destra né con il populismo della sinistra.
Un’area che da più parti era stata definita “liberale”, “liberaldemocratica”, “riformista”, “progressista” che avrebbe dovuto mettere al centro della sua azione politica il merito, la riforma della giustizia, una equilibrata riforma costituzionale, la crescita economica basata sugli investimenti, sulla produttività e sulle liberalizzazioni, la sanità rafforzata anche alla luce dell’esperienza pandemica, la riforma radicale della scuola.
Insomma un piano e un progetto profondamente riformista che guardasse ai contenuti e non allo schieramento di appartenenza, non fazioso, del tutto anti-ideologico. Valoriale ma pragmatico.
E invece no, niente di tutto questo è dato da discutere, da definire, da sostenere.
C’è da valutare se sia meglio andare a cena con Tizio piuttosto che con Caio, senza però dimenticare che si è passati dalle cene con Obama a quelle con la Santanchè.
In realtà c’è da prendere atto che gli impegni assunti con gli elettori, sulla base di un programma elettorale sottoscritto da tutti i contraenti, per un qualche motivo di posizionamento o di convenienza tattica, viene disconosciuto e se ne denuncia la sua inconsistenza e la incompatibilità.
Siamo ai dispettucci, alle ripicche, ai comunicati di rimbalzo che nemmeno i bimbi delle Elementari.
Siamo alla presa d’atto che ormai nulla si tiene assieme, neanche con l’Attack.
E allora ognuno per la sua strada, ben sapendo che in politica non si fanno sconti, per cui il posizionamento e le distinzioni sono all’ordine del giorno, con grande gioia di tutti quelli che da una parte “ve l’avevo detto, non si mescola l’acqua con l’olio”, dall’altra sono pronti ad infilarsi e a recuperare qualche elettore spaesato e incavolato che magari non se la sente di andare ad ingrossare le fila dell’astensionismo.
Poi ci verranno a spiegare come ci si posiziona e come ci si presenta alla prossima scadenza delle elezioni europee dove si vota col proporzionale puro e dove lo sbarramento è al 4%, sostanzialmente ad un livello più che di guardia per le due formazioni che arrancano (separate) attorno ad un misero 2,5/3,5% e che si beano delle variazioni dello zerovirgolaquisquiglia, quando sono in positivo, annunciate settimanalmente dai vari sondaggi, ma che vengono ignorate se sono in calo…
Due mondi separati dove vige la forza di autorappresentazione del leader, dove la disponibilità al dialogo è stata abbastanza bassa anche perchè ispirata da un atteggiamento più che fideistico della massa di militanti – anche se in verità si tratta di numeri scarsamente significativi – che in ragione della loro “purezza” hanno preferito delegare il fare politica al loro essere adepti di una “setta”, ognuna col suo sacerdote di riferimento.
Non sono pochi, fra quei pochi di cui sopra, infatti, quelli che sostengono “meglio andar da soli” – non si sa bene dove – “meglio in pochi, ma nel “giusto” – chi definisce il “giusto”? – “il tempo ci darà ragione”, senza tener conto che in politica vale il “qui ed ora” e i tempi lunghi non sono strumento di azione né tantomeno di garanzia.
E quelli che portano i paragoni del M5S, di Salvini, della stessa Meloni (tutti interpreti di exploit elettorali dal minimo storico a più delle due decine percentuali) devono rinnegare sé stessi e la linea politica che si oppone al populismo come cifra di autodefinizione.
Una politica che vive di instant news, di comunicazione immediata, di reazioni “a scottadito”, in cui i vecchi organismi di direzione di fatto sono stati aboliti anche nelle formazioni più solidificate – al più valgono come organismi di ratifica – volete che possa prendersi il tempo per valutare se le proposte, più che minoritarie anche se equilibrate e intelligenti, possano spostare di un etta gli equilibri?
Ma non ci si rende conto che per farti ascoltare devi ogni volta fare fuochi d’artificio, ogni volta inventare una qualche nuova forma di comunicazione, ogni volta cercare di tirar fuori un coniglio dal cilindro, per la semplice ragione che la dimensione (il numero dei voti) è del tutto marginale, pur in presenza di partiti che non è che siano dei giganti elettorali ma monopolizzano l’informazione e la comunicazione.
Non si è considerati opposizione, per via del sistema elettorale maggioritario al quale non ci si è assoggettati, evitando di entrare in coalizioni raffazzonate e contraddittorie, non si è considerati tantomeno maggioranza per via che quella ha numeri più che sufficienti per decidere ciò che vuole.
E allora si pensa che la soluzione sia “ognun per sé e dio per tutti”?
C’è da sperare che la sagacia e la lungimiranza politica di qualcuno dei protagonisti di questa stagione politica non abbia deciso di buttare il cervello all’ammasso e pensi invece a costruire un percorso che se prima era in salita adesso assomiglia ad una scalata di 6° grado in free climbing ma che comunque provi a riprendere quei principi, quei valori, quelle idee costitutive cercando di riaggregare quegli elettori, quei cittadini che in principio si erano dimostrati disponibili a dare credito a questo disegno che ambiva a raggiungere la doppia cifra.
Mi piacerebbe capire altrimenti come si pensa di riuscire ad aggregare quella “vasta prateria” – così viene continuamente evocata – di elettorato che non riconoscendosi né nell’agglomerato di destra-centro, né in quel coacervo di populismo di sedicente sinistra, sembrerebbe disponibile a guardare a quest’area liberaldemocratica ma che in assenza di chiarezza e coerenza si rifugia nell’astensione.
Ma c’è un ma: bisogna dar prova di serietà, di affidabilità, di ragionevolezza, lasciando da parte ogni sfrontatezza, ogni sicumera, ogni personalismo esasperato.
Bisogna saper recuperare prima di tutto credibilità, bisogna fare i conti con il confronto aperto, con la disponibilità all’ascolto, e perché no anche con un eventuale ricambio degli interpreti.
Fosse mai che il panorama politico liberaldemocratico proponesse un Papa nero?
Il Terzo polo è morto, viva il partito liberaldemocratico.