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12 Maggio 2023Ancora sostituzione etnica? Ma non se ne può più! Non so se i ministri di questo governo ci sono o ci fanno. Sta di fatto che lanciano delle provocazioni cui sarebbe sensato non rispondere, evitando così di cadere in una in un’improduttiva guerra delle parole. Nello stesso tempo, però, farsele scivolare addosso equivale a sdoganare sempre più un’attitudine, un pensiero, una visione del mondo che – si sa – fanno presto a diventare modelli di vita. A meno che non lo siano già diventati.
Nella mia vita lavorativa sono stata a stretto contatto di gomito con legioni di adolescenti. Il lavoro dell’insegnante offre un metro significativo di conoscenza degli interessi, dei gusti, ma anche delle paure e delle fobie più rappresentative della nostra società. Se c’è una cosa che mi ha sempre colpito è l’attitudine positiva, direi la gioia, con cui le giovani generazioni si affacciano a un mondo multietnico, colorato, dove la diversità di lingue, di religioni e tradizioni la fa da padrona. Il confronto e la sintesi tra culture differenti, e l’arricchimento che ne consegue, sono dati di fatto delle nostre realtà sociali, vissuti dai ragazzi con estrema naturalezza. Sono dati di fatto imprescindibili, che appartengono al nostro presente e al nostro futuro, guardati però con sospetto da chi non è in grado di guardare avanti. O da chi ha bisogno di cercare nemici e capri espiatori per giustificare un operato carente e poco attento ai bisogni della gente. E della povera gente, in particolare.
Ciò, quindi, a riprova del fatto che la boutade del ministro Lollobrigida sulla sostituzione etnica sia priva di fondamenti logici e culturali. Ma è del tutto ascrivibile a questa cultura di destra che fa il proprio mestiere, cioè quella di una classe dirigente reazionaria, che mette in atto un apparato ideologico che si nutre di paure, di egoismi, di dogmi, di pregiudizi e di privilegi a vantaggio di pochi eletti. E ignora, forse volutamente, che la tanto temuta contaminazione è bell’e che fatta perché la nostra identità culturale è il frutto di una mescolanza di popoli che affonda le proprie radici in un passato lontanissimo. Mentre la sostituzione etnica non è altro che una bufala buttata lì per continuare a nutrire l’elettorato nostalgico del fascio littorio e dei complotti giudaici.
Non ho ancora capito, infatti, perché tanta gente si sia mostrata stupita di fronte alle esternazioni del ministro Lollobrigida sulla sostituzione etnica. In fondo, non ha fatto nient’altro che enunciare principi squisitamente di destra. La cosa più preoccupante, però, è che tanta gente se ne sia quasi dimenticata in poco tempo. Tanto stupore, tanto scalpore e poi il silenzio, il nulla, l’oblio. È passata qualche settimana da quando il cognato più celebre d’Italia ci ha messo in guardia dal non lasciarci andare all’eccessivo mescolamento di etnie perché rischiamo una perdita di identità nazionali che può nuocere gravemente alla salute della nostra cultura. È passata qualche settimana e non se ne parla già più come se la cosa avesse perso di gravità.
La verità è che non ci stupiamo più di niente. Non ci stupisce il gravissimo negazionismo storico di La Russa e la sua ostinazione a non volersi riconoscere nei valori dell’antifascismo, come se non ricoprisse la seconda carica di una repubblica democratica. Non ci stupiscono le uscite infelici del ministro Valditara che minaccia provvedimenti severi verso quei presidi e professori che paventino in qualche modo con i propri studenti il ritorno al fascismo. Non ci stupisce il ministro della cultura che ravvisa in Dante i germi ideologici della destra. Non ci stupisce lo scivolone di Piantedosi che rimprovera i migranti di provocare la morte dei propri figli in mare aperto. Né ci stupisce l’ostinazione con cui questo governo si accanisce contro i poveri, malgrado il suo partito di maggioranza si sia presentato alle elezioni come un partito di destra sociale, attento – in teoria – ai bisogni della gente. Le gaffe fioccano e spesso danno vita a delle macchiette. Ma è proprio questo il problema: non c’è nulla da ridere sulla rozzezza di Lollobrigida, né sul candore di Sangiuliano, né tanto meno sulle ostentazioni di virilità di La Russa. Non si tratta di gaffe, ma di punti fondanti del pensiero di chi ci governa. Riderne è come assolverne la malafede e la deriva culturale verso la quale rischiano di trascinarci.
È una classe dirigente che butta lì, con immacolato candore, parole forti, grosse e pesanti come macigni. È una classe dirigente che, con la sicumera di un potere finalmente conquistato, non è più solo testimone di un rigurgito nostalgico, ma è diretta a una progressiva diffusione del proprio pensiero, destinato, secondo i propri piani, a diventare pensiero unico (soprattutto se va in porto la conquista definitiva della televisione di Stato). È una classe dirigente che a colpi di decreti legge e di decisioni apodittiche e inappellabili rischia di anestetizzarci e di indebolire le nostre facoltà oppositive. Sì, perché, come Mitridate assumeva, giorno per giorno, una piccola dose di veleno, fino a immunizzarsi e a non sentirne più gli effetti tossici, così noi, a furia di subire tante provocazioni, che non sono certo sintomo di incultura o di ignoranza, ma di una precisa scelta ideologica, corriamo il rischio di lasciarci imprigionare in una visione del mondo che si muove in una direzione opposta a quella dei nostri padri costituenti. E di farla nostra.
Mutatis mutandis, come si diceva per Berlusconi, ai tempi della sua opera di intrusione nelle nostre vite e nelle nostre visioni del mondo, non ho paura di Meloni (e della sua corte) in sé, ma di Meloni (e della sua corte) in me. E di che cosa ne sarà della nostra libertà di pensiero e della facoltà di scelta dell’incolpevole generazione che si sta affacciando al mondo.