La risposta al ragazzo della via Gluck
9 Luglio 2024LA CITTA’ FUTURA Venezia futura. Ipotesi per un progetto di Città
12 Luglio 2024Da La Nuova Venezia del 7 Luglio L’avvio dei lavori di realizzazione del primo lotto del terminal container in area Montesyndial a Marghera è uno di quei fatti – se ne sia coscienti o meno – destinati a incidere sulla direzione e sull’intensità dello sviluppo futuro non solo di Venezia, ma dell’intero Nord Est, se non dell’Italia tutta. O per quanto, di positivo, si è concluso avviando quei lavori; oppure per quanto, di meno entusiasmante, è stato prospettato dal governo nell’occasione. E, forse ancor di più, per il non detto: la mancata presa d’atto del drammatico cambio di scenario che incombe sull’economia marittima e sulla manifattura del Nord Est per il blocco di Suez e del mar Rosso. Quello imposto dagli houthi nella loro guerra contro Israele.
L’avvio dei lavori di realizzazione delle banchine del terminal Montesyndial conclude – è questa la buona notizia- un processo di “riconversione” industriale di Marghera cominciato nel 2010, ben 14 anni fa. A quel tempo Marghera era ridotta ad “area di crisi industriale complessa”, dove la petrolchimica e la metallurgia stavano subendo uno stillicidio di dolorose chiusure, solo frenate da scioperi e altre manifestazioni.
L’occupazione a Marghera era scesa dai mitici 35.000 lavoratori degli anni Sessanta a poco più di 14.000 addetti: una caduta generalizzata, ma che segnalava in controtendenza una crescita promettente nei trasporti e nella logistica. Una situazione dalla quale si poteva uscire solo rompendo un tabù, solo trovando il modo di sfuggire alla trappola del baratto tra occupazione nell’industria di base e inquinamento di acque, suoli e aria. Quel tabù venne spezzato dall’Autorità portuale di Venezia che allora convinse sindacati, imprenditori e istituzioni ad accettare la nuova destinazione a terminal container dei cinquanta ettari su cui si estende l’ex Montefibre, a quel tempo in stato pre-fallimentare, ai quali si sarebbero presto aggiunti altri quaranta ettari dell’ex Syndial. Il risultato: nuovo terminal container in area Montesyndial e, contemporaneamente, nuovo terminal ro-ro – i rotabili, “contenitori con le ruote” – in area ex Alumix a Fusina: il percorso a ritroso, Marghera che ridiventava la Porto Marghera delle origini, era tracciato.
Poi 14 lunghi anni di bonifiche dei suoli, di progetti, di ricerca di finanziamenti, pubblici e privati, e di “normali” complicazioni politico-burocratiche all’italiana.
Oggi Il terminal ro-ro di Fusina è in funzione e quello container a Montesyndial finalmente in costruzione. Ma, quest’ultimo, viene costruito soltanto per essere il destinatario di piccole navi, cariche di container trasbordati da navi più grandi nei porti di Gioia Tauro o del Pireo? O di qualcosa di più ambizioso, da attendersi ragionevolmente da quell’individuazione dei «punti di attracco in altura per navi portacontainer adibite ai traffici oceanici» oggetto del concorso di idee indetto da un decreto legge governativo del 2021 e recentemente rilanciato? Domanda alla quale il viceministro Edoardo Rixi ha risposto durante il forum di redazione realizzato su queste pagine raggelando i veneziani. Eppure…
Nell’interesse dell’Italia tutta, varrebbe la pena di ripensarci, alla luce dello stress test al quale la crisi di Suez sta sottoponendo tutta la logistica globale e il ruolo dell’Italia. L’Alto Adriatico resta l’arco portuale più vicino ai mercati europei di oggi e di domani, ma è anche il punto più lontano da Gibilterra, la porta del Mediterraneo sul mondo, se Suez rimane chiuso. La portualità altoadriatica può resistere al blocco di Suez, e prepararsi a giocare il ruolo che la geografia le offre quando Suez tornerà agibile, solo realizzando un deciso “salto di scala”. Quello che si ottiene costruendo un solo grande porto che riunisca i cinque scali di Ravenna, Venezia, Trieste, Capodistria e Fiume, tutti resi capaci di trattare anche le mega portacontainer di domani. La croata Fiume è già sulla buona strada. In Slovenia si è preso coscienza del problema. All’appello mancano il governo e i porti italiani, che occorre si convincano che la cooperazione vale oggi molto più della competizione.