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10 Luglio 2024Questo titolo (ripreso pari pari da una canzone a suo tempo nota di Giorgio Gaber) non c’entra quasi niente con l’argomento del presente articolo. Mi scuserà il lettore se non ho saputo resistere alla tentazione d’una certa analogia sul pro e sul contro. In realtà vorrei qui rispondere al bell’articolo, da poco comparso su questo stesso blog, di Lorenzo Colovini, sul tema della “Scuola come veicolo d’integrazione. Ma come?”
Le nostre scuole, si sa, si vanno viepiù affollando di alunni di origine straniera: nati in Italia ma da genitori provenienti da paesi diversi: i più diversi paesi, oramai. L’autore dell’articolo appena citato, prende spunto da un episodio recente: un’insegnante del trevigiano, su richiesta (forse) dei genitori di un proprio alunno, ha esentato l’alunno medesimo dallo studio di un passo dell’Inferno dantesco, nel quale non si parla granché bene del Profeta Maometto, cosa a dir poco disdicevole per persone di religione islamica.
Senonché – si chiede l’autore dell’articolo anzidetto – era proprio necessario scegliere un passo del genere (e andarsi a cercare delle rogne) tra i tanti belli, famosi e suggestivi passaggi della Commedia (come Paolo e Francesca o il Conte Ugolino o il brano su Ulisse)? No, che non era necessario, risponde l’autore dell’articolo. E noi con lui. Però poi Colovini avanza dubbi anche a proposito dell’opportunità di proporre brani di Dante in una scuola media (è questa la fattispecie in oggetto). E su questo dobbiamo invece dissentire: la nostra pluriennale esperienza d’insegnati ci ha convinto che il testo dantesco, se opportunamente trattato – e se somministrato in piccole dosi – incontra spesso il gradimento anche dei giovani lettori, che mostrano di cogliere più di quanto non si creda la poesia della Commedia.
Tuttavia (conveniamo con Colovini) il problema reale non è questo. Ci sono oggimai scuole e classi che pullulano di scolari di provenienza straniera (Arabi, Esteuropei, Sudamericani, Cinesi ed Indiani). Che senso ha dunque proporre loro autori (e fatti storici) della nostra tradizione occidentale, o europea o (peggio mi sento) solo italiana? Bisognerebbe forse evitare più che si può gli argomenti “indigeni” di letteratura e di storia patria, che sono del tutto estranei al mondo da cui provengono gli alunni non autoctoni? E qui la risposta dell’autore suddetto si fa più cauta, più articolata e più problematica. E anche la nostra. Dunque, vediamo. Per favorire l’integrazione di alunni non Italiani, anzi, nemmeno Europei, quali argomenti e temi bisognerebbe fare oggetto di studio? Forse di tutti un po’? Una specie di cocktail informativo e culturale sull’intero globo terracqueo? Spaziando magari dai califfati alla dinastia Ming? Dalla letteratura araba a quella – puta caso – mongola?
Credo proprio di no. Per due semplici ragioni. La prima è che a voler parlare di tutto un po’ si finisce per non parlare di un bel niente. La seconda è che… trovamelo tu un insegnante di lettere (italiane) capace di spaziare da Tamerlano a Cavour, dalla lirica haiku a quella ermetica del nostro Novecento.
E dunque, che fare? La verità è che è ragionevole supporre che chi viene in Italia per trovare miglior fortuna, paghi (non è colpa di nessuno) il piccolo scotto di sorbirsi a scuola racconti sulla dominazione spagnola in Italia o sui Promessi sposi. E ciò non per un becero e insulso etnocentrismo, secondo cui chi viene a vivere da noi Europei deve adattarsi alle nostre usanze e scordarsi delle proprie. No, non è questo il punto.
Non vedo proprio, infatti, perché gli immigrati che vivono qui da noi non possano conservare i propri benedetti costumi, per quanto diversi dai nostri, almeno fino a quando tali tradizioni non collidano con i principi fondanti e fondativi della nostra Costituzione Democratica. La quale, dal canto suo, parla peraltro della libertà del cittadino di professare la propria confessione di fede (o di non professarne alcuna, beninteso) e prevede il rispetto e la tutela delle minoranze anche etniche. A meno che, si capisce, le tradizioni in questione non siano, che so, la pratica dell’infibulazione alle bambine oppure… l’antropofagia. Perché questo contravverrebbe alle nostre leggi e ai nostri principi sanciti dalla Carta. Insomma, almeno in linea teorica la questione è semplice. E comunque nulla, proprio nulla, dovrebbe impedire ad un insegnante di diffondersi (ove ne fosse capace) sulla storia dell’Estremo Oriente o sulla poesia d’ispirazione confuciana (ammesso che ne esista).
Perché, diciamocelo poi una buona volta: non è mica l’argomento in sé delle lezioni che fa la buona scuola e la formazione dell’uomo e del cittadino, bensì l’interpretazione critica ed equilibrata che si dà dei fatti e dei testi studiati, quali che essi siano. Fermo restando, si capisce, che nessun rispetto per le tradizioni altrui, può autorizzarci ad avallare e a non condannare (per fare solo un esempio) le condizioni di sottomissione e di marginalità in cui sono relegate le donne in certi paesi e culture. Certi principi non sono negoziabili. Qui non si tratta di etnocentrismo. E un certo “relativismo” interculturale spinto e grottesco non c’entra un bel niente col rispetto per le altre culture.
D’altro canto, vorremmo però che non sfuggisse la circostanza che, quando si parla della storia d’Italia e della sua cultura millenaria, si parla già di una civiltà… multietnica da tempi remotissimi, perché, in materia d’incrocio e contaminazione di culture e di etnie, noialtri Italiani siamo maestri, da quando abbiamo visto popolare una buona parte dello stivale dagli “orientali” della Magna Grecia. E poi abbiamo avuto a lungo gli Arabi (di cui è intrisa la nostra cultura). Ed anche Galli, Ostrogoti e Longobardi. Nonché Bizantini, Francesi e Spagnoli. E gli Austriaci. Vogliamo metterci anche gli Americani? Ne ho lasciato indietro qualcuno? Credo proprio di sì.
Vorrei proprio sapere di quale “purezza” etnica (o magari razziale) si favoleggia, da parte di taluni, a proposito dell’Italia. Siamo, noi Italiani, gente “mischiatissima” da un tempo quasi immemorabile e lungo tutta la nostra storia. Perciò la capacità d’integrazione di chi viene d’altronde dovrebbe essere proprio nel nostro “DNA” e dovremmo essere già propensi a favorirla anche ai nostri giorni, la benedetta integrazione dei “diversi” (che poi tali non sono). Basta solo un po’ di buon senso e di buona volontà. Ecco, di questo bisognerebbe parlare in una scuola multietnica. Altro che “sostituzione etnica”!