Scenari indefiniti
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11 Maggio 2023Questo il titolo di un bellissimo libro di un grande avvocato, oltre che di una persona straordinaria, in tema di giustizia, Ettore Randazzo.
Verrebbe da dire, per il caso che ci occupa, la “Giustizia, nonostante Carlo Nordio”, il ministro di giustizia, con riferimento al caso Uss jr, il figlio del magnate russo, per il quale gli Stati Uniti d’America avevano richiesto l’estradizione all’Italia.
Competente a pronunciarsi era la Corte d’appello di Milano.
Per i non addetti, l’estradizione è un procedimento di natura giurisdizionale, e non amministrativa, in forza del quale una persona che si trovi, anche temporaneamente, nel territorio italiano, può essere consegnata allo stato richiedente, secondo alcuni parametri stabiliti dal codice di procedura penale e dalle convenzioni internazionali, quindi dall’accordo tra gli stati.
La prima fase del procedimento riguarda la libertà personale dell’estradando.
Che viene portato in vinculis avanti la Corte d’appello competente per territorio.
E, sentito il procuratore generale e la difesa, la Corte dispone la misura cautelare in attesa dei decidere il merito della richiesta.
Teoricamente quindi l’estradando, il nostro Uss, nel caso che ci occupa, avrebbe potuto attendere la seconda fase anche libero, o gravato dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, o agli arresti domiciliari o in carcere.
I giudici milanesi, sentite le parti, alla luce di alcuni parametri e non di qualche “spiritosa invenzione”, decisero che la misura cautelare adeguata fosse quella degli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico, strumento che consente la geolocalizzazione della persona e che rivela in tempo reale se la persona si allontana dal luogo previsto o deteriora il dispositivo per renderlo inservibile.
La procura generale non ricorre contro questa decisione e il nostro va agli arresti domiciliari.
Dai quali qualche tempo dopo, evade facendo perdere le sue tracce dopo aver reso inservibile il braccialetto elettronico.
Apriti cielo…
Bisogna riparare all’onta nazionalpopolare.
“Ma che figura ci facciamo con l’alleato a stelle e strisce?
Sai che c’è? C’è che adesso a quei tre giudici gliela faccio vedere io!” tuona il prode ministro.
“E come gliela faccio vedere?
Ma è ovvio! Adesso gli apro io un bel procedimento disciplinare!”
Mi permetto ora di entrare nel territorio dei tecnicismi per sottolineare come il procedimento disciplinare che riguarda i magistrati sia regolato dal Dlgs 109 del 2006.
Ed in particolare nell’art. 2 del citato decreto legislativo intitolato “Illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni”.
Questa norma cita tra gli illeciti disciplinari alla lettera M) l’adozione di provvedimenti adottati nei casi non consentiti dalla legge, per negligenza grave ed inescusabile, che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali.
Il problema che si pone è questo: un provvedimento giudiziario è sindacabile da parte di un ministro di giustizia?
O, meglio, da un rappresentante del potere esecutivo ancorché titolare del potere disciplinare?
Il sistema giudiziario prevede in via assoluta che un provvedimento quale quello emesso dalla Corte d’Appello meneghina possa essere soggetto a ricorso per Cassazione da parte della Procura Generale.
Cosa che, per quanto la Procura avesse richiesto la custodia cautelare in carcere, richiesta disattesa nei termini visti sopra, non è avvenuta.
Al di là di questo, però, è d’obbligo un’altra osservazione.
Il principio di legalità implica necessariamente la separazione dei poteri e l’indipendenza tra gli stessi.
Questo accade nei paesi democratici, poiché, diversamente, si entra nell’ambito dell’arbitrio.
E, a modesto avviso di chi scrive, questo è quanto è accaduto nella vicenda Uss.
Nella quale, oltre a tutto, il ministro di giustizia sembra voler compiacere ex post il potente alleato americano, quasi a voler salvare la faccia dopo che il cittadino russo aveva eluso il controllo delle forze dell’ordine ed era fuggito riparando, con ogni probabilità, nella madrepatria o in altro paese compiacente.
Ma qualche ulteriore osservazione sul comportamento del ministro appare d’obbligo.
Il senatore Nordio, magistrato in quiescenza, dal momento del suo insediamento in via Arenula 70, ha dichiarato di voler riformare la disciplina della custodia cautelare, da un lato restringendone l’ambito applicativo della e dall’altro, sottraendo il potere cautelare al giudice per le indagini preliminari, quindi ad un giudice “monocratico”, per affidarlo ad un collegio formato da tre giudici.
Il caso Uss è esattamente questo: un collegio composto da tre magistrati d’esperienza come quelli della Corte d’appello meneghina hanno ritenuto a ragione ex ante, a torto ex post, che la misura cautelare degli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico fosse misura sufficiente a garantire le esigenze cautelari prospettate dalla procura generale di Milano.
E, senza entrare in tecnicismi troppo astrusi, si ritiene che i vari elementi che “costruiscono” l’ordinanza emessa dalla Corte d’appello di Milano, abbiano seguito un criterio logico, adeguatamente motivato.
Tant’è vero che, come ricordato sopra, la procura generale di Milano non ha ritenuto di ricorrere per cassazione avverso la citata ordinanza.
Da ultimo, l’atteggiamento del ministro sta portando chi scrive ad una riflessione in ordine alla separazione delle carriere dei magistrati requirenti da quella dei magistrati giudicanti.
Separazione che il ministro Nordio, a gran voce, si prepara ad inserire nel sistema con il plauso del mondo forense.
Per parte di chi scrive, la separazione delle carriere è sempre stato un obiettivo da raggiungere.
Se uno nasce quadrato, non muore tondo: il giusto processo, banalizziamo per un attimo la questione, richiede che in campo scendano 11 calciatori con la maglia bianca, 11 con la maglia blu e solo 1 con la maglietta nera: l’arbitro.
Ma se l’arbitro veste la maglietta blu o quella bianca, allora sono 12 contro 11 ed il giusto processo non funziona così.
In sostanza senza scomodare troppo Hegel, il giusto processo dovrebbe funzionare così: pubblico ministero: tesi, difesa: antitesi, giudice: sintesi.
Per arrivare alla sintesi, è necessario che tesi ed antitesi stiano su un piano di perfetta parità.
E questa esigenza è tanto più vera quando si viva in un’epoca di giustizialismo esasperato quale quello che ogni giorno leggiamo sulle pagine di giornali, quali Il Fatto Quotidiano o abbiamo percepito durante l’infausta presenza del ministro Bonafede proprio in Via Arenula 70.
Va detto anche, per completezza d’informazione, che il nostro codice di rito prevede che anche il pubblico ministero ricerchi elementi a favore della persona indagata.
Chi scrive, peraltro, deve ammettere che in circa 35 anni di professione, questa ricerca di elementi a favore dell’indagato li ha visti ben poche volte.
Ma tant’è.
Allora la separazione delle carriere è un momento essenziale per un esercizio corretto della giurisdizione.
In uno stato democratico nel quale il Ministro di giustizia o, peggio, il Piantedosi di turno non si arroghino il potere di dirigere le procure della Repubblica.
Una profonda riflessione su questo tema si impone.
Concludendo, chi scrive non può non ribadire come il Ministro di giustizia che è titolare con il procuratore generale presso la Corte di cassazione, dell’azione disciplinare, abbia invaso un campo non suo, entrando nel merito di un provvedimento giudiziario che appare immune da vizi logico motivazionali.
Ed assieme agli altri grandi mali che affliggono il pianeta giustizia e che meritano riflessioni a parte, questa invasione rende pessimisti gli interpreti: se la civiltà di un paese si vede dall’esercizio della giurisdizione, beh, non c’è da stare allegri.
Questo scritto, in sintesi, per quanto riguarda i magistrati milanesi, potrebbe essere intitolato “l’elogio dei giudici scritto da un avvocato”.
Anche questo titolo, preso a prestito da un libro di uno dei padri della nostra Costituzione, Pietro Calamandrei.