DI CRISI IN CRISI. FRA RESISTENZA E RESILIENZA
17 Maggio 2022L’omicidio Calabresi e gli anni dell’odio. Da storicizzare, per capire e non ripetere
17 Maggio 2022Come preannunciato https://www.luminosigiorni.it/2022/05/prenotazione-anti-overtourism-sentiamo-la-citta/ abbiamo aperto un tavolo di confronto sul tema della imminente applicazione della prenotazione per la limitazione e/o regolamentazione degli accessi in città a varie personalità in città, ponendo loro 5 domande precise.
Giovanni Montanaro, avvocato presso un importante Studio internazionale, giornalista (è collaboratore del Corriere della Sera) e scrittore di successo. Ha pubblicato numerosi romanzi esordendo giovanissimo nel 2007 con il romanzo “La croce Honninfjord“.
Detto che la prenotazione non potrà configurare una proibizione assoluta a venire in città (per non confliggere con l’art. 16 della Costituzione), come pensi sia più efficace attuarla?
La prima domanda in assoluto cui rispondere è proprio questa. L’art. 16 della Costituzione è piuttosto stringente, ammettendo possibili limitazioni alla circolazione delle persone per legge e solo per “per motivi di sanità o di sicurezza”. In questo caso, mi pare difficile sostenere che sussistano ragioni di sicurezza o, in senso lato, di vivibilità della città tali da consentire con certezza l’applicazione di un divieto di questa portata. Ipotizzando comunque che il divieto sia legittimo, si tratta di una misura dolorosa e necessaria, che potrà essere adottata anche sub judice per studiare meglio flussi e comportamenti con la speranza poi di toglierla tra qualche anno, approfittando dell’occasione per impostare il futuro di una città diversa, che non abbia più bisogno di questi strumenti.
Qual è, a tuo parere, la soglia di “plafond” massimo a cui puntare tramite il meccanismo delle prenotazioni?
Ipotizzando che i posti letto siano quelli (e non si riesca a imporre un tetto di notti per anno agli alloggi privati o a farli nel tempo diminuire), 40.000 ulteriori accessi di visitatori giornalieri è il massimo che la città può sopportare, e a fatica. Al più si potrebbe pensare a delle flessibilità legate al numero di prenotazioni di letti, ma mi pare francamente difficile. Se poi non si potesse imporre obbligatoriamente la prenotazione, si può certamente legare la prenotazione a forme di incentivo (es. accesso a musei o mezzi di trasporto, ammesso che anche queste siano legittime).
Vorrei però ricordare che il problema della vivibilità della città non è dappertutto, ma legato al fatto che si intasano alcune direttrici, in particolare (post Calatrava) Stazione – Rialto – San Marco, e soprattutto diventa impossibile l’accesso ai mezzi pubblici, sul Canal Grande, o per esempio verso Burano e Murano. È stato fatto tutto, in questo senso? Mi pare francamente di no, e mi pare che le carenze del sistema di trasporto urbano siano quelle più evidenti, nonostante l’enorme gettito di risorse dei biglietti turistici.
Questo per dire che si rischia di intervenire a pezzi, vedendo il problema in termini difensivi e senza legarlo a una indispensabile idea nuova di città. La prenotazione è una misura indispensabile, in questo momento, ma non servirà a niente senza coordinarla con politiche di attrazione di residenzialità e lavoro che portino a diverse destinazioni del patrimonio immobiliare e del commercio cittadino.
Gestione operativa e pratica delle “eccezioni”.
Residenti, visitatori e parenti degli stessi, proprietari di seconde case, visitatori per lavoro, congressi, attività varie non connesse al turismo. La domanda è posta soprattutto in relazione al rischio che introdurre barriere all’accesso rischia di tradursi in un boomerang potendo, se non ben gestita, costituire un’incentivazione alla ulteriore fuga di attività direzionali dal centro storico.
Abbiamo tutti chiarissima la distinzione tra chi viene in città per una relazione (di affetto, di amicizia, di lavoro) e chi viene come visitatore semplice; i primi, peraltro, non intasano la città, disperdendosi.
Ma anche i visitatori non sono tutti uguali. Bisognerebbe escludere dal computo chi ha biglietti di musei o di spettacoli teatrali, o di eventi sportivi, che hanno una ricaduta più virtuosa sulla città e restano spesso al di fuori delle direttrici principali. E chi va al Lido, d’estate? Direi che anche quella è un’eccezione da considerare.
Ciò premesso, la misura della prenotazione è comunque ovviamente già un boomerang; bisogna però cercare di minimizzare l’impatto di questo effetto.
Personalmente, dolorosamente, escluderei i veneti da chi ha diritto di accesso in città a prescindere dalla prenotazione, perché altrimenti la prenotazione non serve a niente. Si potrebbe eventualmente pensare a una priorità, o dei posti riservati.
Aggiungerei anche una tassa di ingresso, purché non sia un disincentivo reale per chi ha meno possibilità a venire in città. Il paradosso più amaro di questa situazione è che spesso le persone che hanno più impatto sulla vivibilità della città, ossia i visitatori giornalieri, sono proprio quelle famiglie di veneti che vengono a Venezia perché hanno un profondo legame con la città, perché vogliono mostrare ai loro bambini la capitale della regione, ed è giusto e necessario che possano mantenerlo.
Se proprio deve essere una città per pochi, che non sia una città per soli ricchi, visto che è un patrimonio di tutti.
Applicazione dell’obbligo di prenotazione.
Io credo sia da applicare unicamente nel weekend e nei giorni festivi, ma per tutto l’anno, visto che basta una giornata di sole per rendere impraticabile la città (nelle direttrici di cui si diceva). Il problema del veneziano è dato dalla esasperazione. Per paradosso, se si ricostruissero dei flussi ordinati durante l’anno e se ogni weekend non fosse problematico, a Carnevale o al Redentore si potrebbero anche sopportare magari due giorni più ostici, e pazienza.
Gestione dei controlli.
Credo che l’esperienza del Green Pass abbia semplificato le modalità di controllo. In ogni caso, studierei le modalità più corrette di controllo una volta che si sarà verificato se nonostante la prenotazione gli accessi continuano a essere insostenibili. I tornelli no, per cortesia; sono un simbolo orribile di cosa una città non può essere.