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Il “Divide et Impera” di stampo trumpiano, a cui alcuni esponenti politici europei sembrano volersi adattare volentieri, è un principio di strategia politica antico che i Romani applicarono sin dagli albori della Repubblica (509 a.C.).
Andando per gradi, Roma adottò questa strategia con le popolazioni italiche che una volta conquistate venivano trasformate in alleati e confederati.
Il processo era poi ancora più articolato e prevedeva, dapprima, l’acquisizione dello status di socii tra la Repubblica e gli sconfitti, poi quello di civitas sine suffragio dove la popolazione conquistata poteva mantenere le sue tradizioni amministrative, garantendo a Roma impegno militare e obblighi tributari e, da ultimo, quello di colonia latina, luogo dove venivano mescolati cittadini romani e latini.
La stessa tecnica fu utilizzata da Roma nei rapporti con le diverse tribù galliche, stringendo e rompendo alleanze con alcune di esse al fine di evitare che queste potessero coalizzarsi tutte insieme contro Roma.
Con l’Impero Romano dal 27 a.C. al 476 d.C. il “Divide et Impera” assunse un carattere più sottile anche alla luce della notevole estensione geografica del dominio imperiale.
I territori, divisi in province, erano amministrati da governatori nominati da Roma, ma questi dovevano collaborare con le classi dirigenti dei singoli luoghi con l’intento di favorire divisioni all’interno di questi gruppi così da evitare che potessero pensare di sovvertire l’autorità di Roma.
L’idea di dividere per evitare che un gruppo, una fazione, una Istituzione potesse diventare troppo potente era la chiave diplomatica per gestire il potere e, quindi, per governare.
Altro fulgido esempio dell’applicazione di questo principio è costituito dal modo in cui Roma ha sempre gestito i rapporti tra il Senato e i Generali, favorendo sempre il sorgere di tensioni e divisioni tra i due poteri di modo che nessuno dei due potesse rappresentare una minaccia per l’unità dell’Impero.
Oggi, questo antico principio, sembra essere tornato di prepotente attualità alla luce del modo in cui la nuova amministrazione Americana intende impostare i rapporti con gli Stati che compongono l’Unione Europea.
A ben guardare, si tratta di una strategia che mira ad indebolire l’Unione Europea, il cui Prodotto Interno Lordo con l’aggiunta di Gran Bretagna e Norvegia (oltre 17 mila miliardi di Euro) ben potrebbe competere con quello Americano.
Se il PIL Europeo fosse ben capitalizzato a favore del consolidamento di progetti comuni nell’ambito della difesa, delle infrastrutture, delle fonti energetiche e degli strumenti finanziari, gli USA si troverebbero a dover confrontarsi con una reale potenza globale e non con una semplice provincia dell’Impero.
La sfida alle Istituzioni europee e agli Stati che la compongono è stata oggi lanciata con la chiara intenzione di gestire e favorire divisioni, purtroppo, già presenti all’interno della UE per affermare e difendere il primato dell’economia americana da un lato e dall’altro, in termini politici, per favorire l’ascesa di un nuovo nazionalismo unito al desiderio di dominazione su quello di cooperazione.
L’Europa, davanti ad un tornante della sua storia, non può arrendersi all’idea che il suo progetto possa essere calpestato da coloro che il Presidente Mattarella ha definito con durezza: “neo-feudatari del Terzo millennio – novelli corsari che aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica, per gestire parti dei beni comuni rappresentati dal cyberspazio e dallo spazio extra-atmosferico, quasi usurpatori delle sovranità democratiche” faticosamente conquistate dopo l’orrore di due Guerre Mondiali.