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27 Gennaio 2016In questi giorni il dibattitto sulle cosiddette unioni civili ripropone una delle irrisolte questioni del nostro paese: il rapporto tra Stato e Chiesa cattolica. Non si tratta di cosa da poco nel paese che, da sempre, ospita il Papa. Il quale non è solo il capo, per così dire, di una religione fortemente organizzata e strutturata su base gerarchica ma, sin dalle origini, di un’entità politica che a lungo, e per molti versi ancora adesso, si è fatta stato.
Il dibattito sui reciproci confini ha segnato in profondità il pensiero occidentale: nell’Ottocento, il liberale Charles Forbes de Montalembert conia la fortunata formula «libera Chiesa in libero Stato». Suggestione di grande fortuna in Italia, al punto che Camillo Benso di Cavour la fece propria e la ripropose diverse volte. La più celebre delle quali, probabilmente, nel discorso del 27 marzo 1861 in cui appoggiava l’ordine del giorno che proclamava Roma capitale d’Italia.
Sembrerebbe semplice. In fondo come ha sostenuto uno dei più grandi mistici del Novecento, l’abate camaldolese Benedetto Calati nel libro intervista La visione di un monaco, la Chiesa dovrebbe occuparsi di tutt’altro rispetto allo Stato. La sua dimensione è quella dello spirito, l’attenzione concentrata sull’anima del singolo in vista della salvezza: cosa c’entra la morale? La morale non ha niente a che vedere con la redenzione. Nessuna norma, ancorché riportata dalla parola rivelata ha la minima possibilità di aprire la strada verso l’Eternità. Lo dice chiaramente Gesù Cristo: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9). Evito di riportare cosa Gesù, poi, pensasse dei farisei. La Legge non salva, la Legge è utile solo per capire che nessuno è in grado di fare da sé. Senza la grazia sarà comunque perduto. Nessuno potrà dire “ho rispettato la Legge”, questa può solo misurare la totale insufficienza degli individui di fronte al compito.
Cristo stesso, dunque, e una fila senza fine di mistici, teologi, santi che ammoniscono a non farsi trarre in inganno. La strada è un’altra. E che ha sempre fatto la Chiesa? Si è occupata con maniacale ossessione di cosa le persone, fossero fedeli o meno, facessero e addirittura pensassero. In particolare quando in ballo entrava la sfera, che dovrebbe essere sul serio privata, della loro dimensione intima. Con la giustificazione che ciò era necessario per la salute delle loro anime. Pretendendo di salvarle anche contro la loro volontà. Altro che Grazia! Per far questo, è entrata a piedi uniti nel campo della morale. Già, ma sappiamo con precisione cosa intendiamo con questo termine?
Ognuno ha le sue preferenze in merito, a me piace come la spiegava Thomas Hobbes nel Seicento: «(…) giustizia e ingiustizia non appartengono alle facoltà del corpo né dell’anima (…) esse sono qualità che si riferiscono agli uomini in società, non in solitudine.» Vale a dire sono storicamente determinate, variano a seconda dei luoghi e dei tempi, mutano perché «dove non esiste un potere comune, non esiste legge, e dove non esiste legge non esiste ingiustizia. Forza e frode sono in guerra le virtù cardinali.» La legge indica i valori di riferimento della comunità, li produce, cambiando la legge si alterano anche i valori.
L’Antico Testamento, del resto, viene definito nei Vangeli sempre la «Legge» e non per caso. Si trattava semplicemente delle norme codificate di una certa comunità. Per questo è infarcito di prescrizioni igienico-sanitarie, alimentari, sessuali: davvero a Dio importa come ci laviamo, cosa mangiamo o come facciamo sesso? Lo ha ben chiarito Gesù Cristo, serve ben altro. Occorre la Grazia. Lutero e Calvino non per niente si sono arrovellati, e con loro schiere di pensatori e di mistici, per cercare d’intercettarla. Per i cattolici la vita è sempre stata più semplice: bastava il magistero della Chiesa. Obbedisci e sei a posto.
Il dramma inizia quando la Chiesa ha preteso d’imporlo questo magistero in maniera universale. Cioè fin da subito. Desta ancora stupore la rapidità, una settantina d’anni, bastati al cristianesimo per trasformarsi da setta perseguitata a religione di Stato. L’unica ammessa. Per Legge dell’Impero. Violenta e intollerante. È andata così. Per riuscirci, la Chiesa s’è dedicata ben presto a ciò che secondo Benedetto Calati non avrebbe mai dovuto riguardarla. E a dispetto dei secoli e delle varie rivoluzioni intervenute continua a farlo. La questione delle unioni civili lo dimostra senza possibilità di dubbio.
«Libera Chiesa in libero Stato»? Detta così suona perfino bene. Peccato si sia dimostrato impossibile da praticare. Perché la Chiesa continua a voler “dettare legge” in campo morale: vale a dire proprio là dove, invece, tutto dev’essere rimesso alla volontà delle comunità. Perché la morale cambia nel tempo anche nello stesso luogo. Perché ciò che era addirittura inconcepibile per le generazioni passate, convivere senza sposarsi per esempio, oggi è diventato la norma. L’uso ormai accettato scandisce i termini della morale.
La Chiesa cattolica in quanto organizzazione di fedeli interessati alla dimensione spirituale dovrebbe occuparsi d’altro. Per meglio dire, può esprimere la propria opinione che interesserà soltanto quanti si riconoscano nel suo magistero. Niente di più. Pretendere che tutti si uniformino in virtù di una Legge garantita dalla forza dello Stato significa tornare ai tempi di Teodosio I: Editto di Tessalonica. Correva l’anno 380. È passato un bel po’ di tempo. O no?