RAI 3 e la drammatizzazione inscenata su Venezia: c’è chi non ci sta.
31 Dicembre 2016Poveri: la “cittadella” delle risposte complesse
31 Dicembre 2016Leggete questo pezzullo anche (ma non solo almeno spero, lasciatemi questa illusione) perché, a detta del direttore, sono politicamente scorretto. Il che pure mi garba sia ben chiaro. Però c’è un però. Una sorta di conventio ad exludendum (ma si, finiamo questo 2016 o cominciamo il 2017 facendo pure gli intellettuali) in base alla quale due sono le categorie di lettori che dovrebbero starsene lontani da queste righe: coloro che adorano il politically correct e gli…spillatori di birra di professione. Orbene: dei primi abbiate pazienza non mi interessa una emerita cippa. Ai secondi invece tengo e parecchio. Perché, fra tutte, la loro è la categoria professionale che amo di più avendone pure fatto parte. Mi son pagato gli studi universitari facendo prima il cameriere, poi il banconiere ed infine venendo nientepopodimeno che promosso a cuoco di panini. E, lasciatemelo dire, come spillavo io la birra ce n’è mica molti (ma pure i miei club sandwich non erano male). E’ cronaca di qualche giorno fa. Un imolese di 65 anni, perito agrario, per 12 anni presidente di Legacoop prima, da poco meno di due anni, di diventare Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e della Gioventù con delega alle Politiche giovanili (ma che razza di biglietto di visita avrà per farci stare tutto sto ben di dio dentro?) ha dichiarato: “Intanto bisogna correggere un’opinione secondo cui quelli che se ne vanno sono sempre i migliori. Se ne vanno 100mila, ce ne sono 60 milioni qui, sarebbe a dire che i 100mila bravi e intelligenti se ne sono andati e quelli che sono rimasti qui sono tutti dei ‘pistola‘. Permettetemi di contestare questa tesi; è bene che i nostri giovani abbiano l’opportunità di andare in giro per l’Europa e per il mondo. E’ un’opportunità di fare la loro esperienza, ma debbono anche avere la possibilità di tornare nel nostro Paese. Dobbiamo offrire loro l’opportunità di esprimere qui capacità, competenza, saper fare”. Insomma fino a qui si rasenta quasi l’ovvietà. Poi però questo pacione emiliano (che come tutti gli emiliani è pacione spesso solo all’apparenza) mi è scivolato sui piedi. Anzi si è improvvisamente travestito da Tafazzi (ve lo ricordate vero? Era quel simpatico omino di nero vestito che si martellava là dove di solito non batte mai il sole ma dicon il Viagra faccia miracoli). Ha infatti specificato che tra quelli che vanno all’estero alcuni è meglio “non averli tra i pedi”. Sia chiaro: personalmente penso di questa ultima frase ciò che il buon Fantozzi rag. Ugo pensava della corazzata Potemkin (a dir la verità lo penso anche di tanti altri film). Ma per l’amore del cielo mica è stato il solo ad essere vittima di questi scivoloni. Ve li ricordate i bamboccioni di Tommaso Padoa-Schioppa? I giovani –choosy della Fornero? Quelli che non fanno figli perché vittime della sindrome di Peter Pan della Lorenzin? E con questi precedenti è davvero scandaloso il Poletti-pensiero? Provo a metterla giù cosi. Se a 28 anni sei un cardiochirurgo ed hai l’occasione di andare all’estero per poter fare (a 28 anni) ciò che in Italia faresti a 40 e cioè operare, fai bene ad andare. Se sei uno storico medievista e a 25 anni hai la possibilità di lavorare nel più importante centro di studi medievali americano mentre qui in Italia devi aspettare che il tuo professore prima sistemi il figlio, poi magari la nuora ed infine l’amante chi può criticarti? Se hai passato anni a spaccarti la testa su manuali di ingegneria aereospaziale ed ora hai la possibilità di lavorare, chessò, in Germania, fai bene ad andarci. Di più: per voi massima stima ma anche feroce incazzatura a pensare quante brillanti menti perdiamo. Ma, vivaddio, tra voi e chi va a Londra o a Parigi o a New York appunto per spillare birra o cucinare fish and chips qualche differenza vogliamo vederla? Perché suvvia (anche) in questa disastrata Italia non è difficilissimo trovare un posto da barista, cameriere o cuoco (e si veda la premessa iniziale circa cosa io pensi di questi lavoratori). Non te ne vai all’estero perché qui non ci sono opportunità. Te ne vai per altri motivi. Te ne vai soprattutto perché anche tu sei vittima di quella specie di provincialismo di cui soffriamo tutti noi italiani. Un provincialismo che è fra i mali più gravi di questo nostro (bel) Paese. Perché non è (sempre) vero che provincia è bello. E’ bello per quelle peculiarità culturali, turistiche, persino folkloristiche che tanto affascinano i turisti che ci vengono a visitare. Non lo è se per colpa di questo provincialismo noi ci sentiamo, in un certo senso, degli sconfitti in partenza. E’ la cosa ironica è che i giovani se la sono pigliata con Poletti per queste parole. Non si sono incazzati con le generazioni che hanno preceduto la loro. Non si sono incazzati coi loro padri, zii e nonni accusandoli che se si trovano con l’acqua alla gola è proprio per colpa di chi è venuto prima di loro, delle sue politiche fallimentari, del suo dissennato modo di usare il bilancio dello Stato tanto che i conti pubblici esplodono perché i contributi non riescono più a pagare le pensioni. No. Non riescono, non riusciamo (mi ci metto anche io tra i “meno” giovani o tra i “giovani vecchi” fate un po’ voi) ad avere sufficiente memoria storica per riconoscere che noi siamo le vittime non di un ministro che dice (e suvvia ammettiamolo!) ciò che la maggioranza degli italiani, magari inorridita nei confronti dei giovani dei centri sociali, sotto sotto pensa ma di tutti quelli che sono venuti prima di noi e che ci hanno sputtanato il futuro. E allora in pochi resistono. E resistono bene. E si inventano nuove professioni (e penso a coloro che si ingegnano in tutto ciò che è il sapere informatico) o tornano a professioni che magari un tempo erano pure disprezzate e che oggi invece diventano delle eccellenze italiche (e penso ai tanti che tornano alla terra). Ma sono pochi. Gli altri, quelli che vivono di slogan (“L’Italia fa schifo”; “L’Italia non ci merita”) se ne vanno. A fare i baristi magari a Soho o a Camden Town o a Notting Hill o al limite a Saint-Germain-des- Pres che farà più figo che farlo a Mira o a Dolo o a Padova ma sempre di birre da spillare e patatine da friggere si tratta. E siccome, vo avvertito nevvero?, sono politicamente scorretto lo dico: di questi giovani non abbiamo bisogno. Noi abbiamo bisogno dei giovani che riscoprono le eccellenze dei territori. Dei giovani cardiochirurghi o degli storici medievisti e di tutti gli altri come loro che abbiano magari la possibilità di ritornare (e sta accadendo, ad esempio all’Università di Padova) dopo aver vissuto all’estero perché la globalizzazione del sapere è molto più utile ed interessante di quella economico-finanziaria. Ha ragione Francesco Cancellato che su “Linkiesta” scrive: “Un consiglio ai nemici dei giovani: se volete evitare rogne, ondate d’indignazione, richieste di dimissioni evitate di rispondere a domande sugli expat, sugli under 30 che non trovano lavoro o sui quarantenni che vivono ancora coi genitori. Per il resto, tutto ok: fate pure quel che volete, tanto nessuno se ne accorge”. E a non accorgersene per primi sono proprio i giovani. Vittime di un provincialismo di cui, oggi, non abbiamo piu bisogno. Tanto di posti per spillare birre ne troviamo a bizzeffe. Anche qui