2017: La quarta via da non imboccare in Europa
29 Dicembre 2016Ma abbiamo bisogno di voi?
31 Dicembre 2016di CARLO RUBINI. Una recente trasmissione di RAI 3 su Venezia ha dipinto un certo quadro della città, ne ha dato una certa, come usa dire oggi, ‘narrazione’. Una trasmissione riassuntiva dei caratteri che da un po’ di tempo per via massmediatica, ma molto per via orale anche dagli stessi cittadini, vengono trasmessi con ritmo martellante sempre nella stessa direzione: devastata dalle grandi navi e in generale nel suo ambiente lagunare, aggredita da masse gigantesche di turisti che determinerebbero una sorta di monocultura dove non c’è assolutamente più nessun altro lavoro (sic) se non in quel settore, azzerata nel commercio per i residenti, azzerata o comunque sostanzialmente svuotata anche nei residenti stessi in fuga, espulsi ed espropriati, tranne pochi rimasti a fare i ‘resistenti’, come i capitani che affondano nelle loro navi, ma anche questi o rassegnati rimasti a fare i figuranti di una fiction, quasi di una rappresentazione teatrale, o addirittura disperati (sic) e comunque sempre molto, molto, molto arrabbiati, anzi inferociti, con una folla ( per quanto anonima) di malvagi colpevoli di venezicidio ( colpa da cui ovviamente i ‘resistenti’ si chiamano fuori). Un quadro desolante e squallido da tutti i punti di vista che ovviamente è in totale sintonia con l’allarme dell’UNESCO e la minaccia di quel prestigioso ente di inserire la città tra i siti “a rischio”. Disneyland è la parola più ricorrente, direi ossessivamente ricorrente, in questa ‘narrazione’ della città.
La trasmissione infatti non fa altro che compendiare in un pò più di un’oretta quello che da un po’ di anni è una sorta di pensiero unico di una parte consistente della popolazione residente, ma anche non residente e che si nutre e si appoggia a un’opinione internazionale che coltiva una certa idea della città, molto mitica e molto oleografica, consacrata da una visione romantica ormai bisecolare. E’ un pot-pourri culturale, assunto in questo caso acriticamente in omaggio al far ‘notizia’ e ‘sensazione’ da parte della suddetta trasmissione, che assomma nostalgie della Venezia che fu ( con gli imperanti gonfaloni con il ‘leone’ ) ad una più smaliziata critica ai poteri forti di matrice veterosinistrica e ad un ambientalismo d’antan, ma sempre garrulo e mai domo, tutti accomunati dal rifiuto dell’omologazione di una “città unica al mondo” ai parametri della modernità, che è ritenuta incompatibile con un altrettanto ossessiva definizione applicata alla città: la sua ‘fragilità’; per cui Venezia è come un vetro o un cristallo, unico nella sua fragilità, mentre va da sé, tutto il resto del mondo è di marmo o di granito e non certo altrettanto fragile.
Ne esce un’immagine grottesca, laddove molte innegabili verità lette e interpretate unilateralmente ottengono un effetto complessivo che sta alla realtà come una caricatura a carboncino sta a una persona in carne ed ossa che per pochi minuti sosta a farsi rappresentare : nel disegno c’è qualcosa un po’ in tutti tratti della persona rappresentata, ma nello stesso tempo la persona è stravolta dalla interpretazione unilaterale dell’autore, che vuole, magari inconsciamente, esagerare le sue suggestioni e le sue percezioni strettamente personali.
Davanti a questo quadro grottesco e caricaturale c’è chi non è d’accordo e che subisce questa lettura in cui non si ritrova. E’ una fascia di cittadini trasversale e silente, fagocitata da questa aggressiva opinione che è invece organizzata e vociante. Qualche settimana fa è bastato un post su Face Book da me scritto sulla mia pagina e che riguardava un tema specifico tra i tanti ‘mali’ veneziani, vale a dire il tema del numero di residenti in Venezia città storica o centro storico che dir si voglia, per aprire le cateratte di questo popolo silenzioso che probabilmente non ne può più delle modalità con cui la città è narrata e rappresentata. Sono piovuti i like e le condivisioni e i commenti favorevoli, unitamente, come era prevedibile a quelli contrari, ma questi nettamente in minoranza ( il che non significa che siano in assoluto in minoranza).
Riporto il post integralmente perché si capisca a che cosa ci si riferiva:
“Ma Venezia è l’unica città storica al mondo che si svuota di residenti? Avete mai letto i dati di tutte le altre? Questa non è un’osservazione consolatoria (stanno male tutti, quindi sto un pò meno male io, sarebbe un ragionamento stupido); ma un conto è pensare che SOLO qui esiste questo gravissimo fenomeno, altra cosa è inquadrare un gravissimo fenomeno locale come quello veneziano in un altrettanto gravissimo fenomeno generalissimo almeno in Europa che ovviamente traina il locale. Sarebbe sempre ora che questo vittimismo veneziano, questo piagnisteo si tramutasse in energia positiva che fa i conti con la realtà e non con i sogni. Anche se, ammetto, ciò è molto difficile”.
Come si vede il tema è uno solo tra quelli che vengono citati ossessivamente, anche se è la cornice sempre prevalente, e si noterà che il merito non riguarda tanto l’escludere la gravità del fenomeno, quanto piuttosto il leggerlo in altro modo: cioè non farne il male assoluto, ma inquadrarlo come grave male contestualizzato e relativo. Il che non toglie un’unghia alla gravità del fenomeno, ma ritiene che le cause e rimedi debbano ricevere un’analisi più articolata e serena. Torneremo su LUMINOSI GIORNI con un altro intervento sul tema specifico con argomenti più approfonditi, ma per ora basta questo. Per dimostrare, attraverso i consensi ricevuti, che c’è anche chi non ritiene la situazione veneziana così anomala, una città ormai invivibile e un luogo da cui fuggire o costretti o per scelta. Prova ne sia che nonostante il bilancio in passivo che fa calare i residenti, ci sia stabilmente chi, e non solo i nababbi, sceglie deliberatamente di prendere residenza stabile nella Venezia città storica provenendo da fuori. Da altre regioni, da altre città, ma anche più semplicemente dalla Terraferma, come rientro, ma anche, udite udite, come scelta fatta per la prima volta da parte di cosiddetti ‘mestrini’. Nel giro delle mie conoscenze personali ci sono eccome questi casi, non certo tanti, ma comunque significativi. Significativi cioè del fatto che chi fa questa scelta la fa consapevolmente verso questa città, quella dei 30 milioni di turisti, delle migliaia di negozi di paccottiglia e dei cosiddetti ‘pochi’ 55.000 residenti. Senza sbagliarsi, ben consapevole di non scegliere di abitare a Disneyland. Va da sé che questa consapevolezza vale anche per chi, come me, con una discreta pensione da insegnante, ma non certo anche nel mio caso un nababbo, continua a risiedere senza perciò sentirsi un ’resistente’. Peraltro confortato dal fatto che non mi sento membro di una comunità fatta solo delle poche decine di migliaia dei cittadini isolani, ma di quella milionaria della grande area metropolitana che mi sta attorno e dove cerco di nuotare ogni giorno come pesce nella mia acqua. Anche questa è una città reale.
D’altra parte si nasconde spesso volutamente anche il fatto contrario: c’è chi da Venezia fugge non per obbligo ma, avendo i mezzi economici e lavorativi per rimanere, lo fa solo per libera scelta, proprio per la percezione, errata o giusta che sia, della suddetta invivibilità. Scelta non condivisibile, nella percezione cioè, ma rispettabile.
La stampa certo, come già detto, fa la sua parte. Titoloni per i negozi e per le attività in genere che chiudono (fatto che avviene identico in tutte le città d’Europa), e due righe o nulla per quelli, ovviamente non turistici, che aprono, e non son poi così pochi; anzi dovrebbero rappresentare la ‘notizia’. Non fanno notizia invece perché lenisce la sensazione che deve suggestionare di più il mondo intero, cioè quell’altra, legata al lamento. A meno che queste ‘aperture’ di attività non siano inserite nella cornice dei ‘resistenti’, o delle ‘bestie rare’ (e ciò ovviamente fa volutamente aumentare, in modo ben orchestrato, la percezione, molto oltre la innegabile realtà, delle chiusure generalizzate).
Sono pienamente cosciente che a fare affermazioni del genere per una certa opinione si passa per negazionisti. Anzi si rischia seriamente il linciaggio, se non fisico, sicuramente verbale, ma se si potesse anche fisico. Perché si lede e si contraddice un atteggiamento vittimistico e colpevolizzante con cui condurre battaglie che in sé, e non lo si finirà di ripetere, sono anche giuste. ( Vittimismo e colpevolizzazione sono per altro un atteggiamento permanente a scala planetaria nella nostra epoca per qualsiasi denuncia politica e sociale).
Ma è altrettanto vero che c’è una parte di opinione cittadina che non ci sta a questo continuo rosario di lamenti. Non è possibile quantificare quanti siano, ma, come si è visto, ci sono. Questa opinione più o meno diffusa non intende ‘mettere la polvere sotto il tappeto’ e far finta di niente di fronte ai ‘mali’ cronici e recenti di Venezia. Ritiene semplicemente giusto far emergere una dimensione cittadina che non è rappresentata solo dall’immagine uscita dalla trasmissione di Rai 3. E che i ‘funerali della città’ inscenati alcuni anni fa, la più recente ‘manifestazione con i trolley’ per rappresentare la ‘fuga’ dei residenti e l’ormai celebre conteggio pubblico con contanumeri in display del calo residenziale nella vetrina della farmacia di Campo San Bortolomio non aiutino ma consacrino il sentimento decadente; e questo non produce quella fiducia che sarebbe utile spirito di accompagnamento nella soluzione dei problemi, ma solo sterile sfiducia e depressione.
In più occasioni queste rappresentazioni simboliche e folcloristiche non sono solo tali e si accompagnano anche a serie proposte molto concrete e fattibili, come quelle avanzate recentemente dal gruppo di ‘ Venessia.com’ sulla politica per la casa e la residenza, proposte da condividere in toto e sostenere. Suggerisco tuttavia che tali proposte avrebbero un effetto ben maggiore se condotte con un atteggiamento più sereno e più capace di guardare alla complessità del problema e non come se fossero sempre delle ‘ultime spiagge’.