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Venezia è scomoda e non ci lavorerei. Il Settore Giustizia
6 Maggio 2024“La storia non si querela, si studia!!” è l’esclamazione di Luciano Canfora in merito alla querela che Giorgia Meloni ha presentato per essere stata definita “neonazista nell’anima”, “una poveretta”, “una mentecatta pericolosissima”. (Sky TG24, 16.4.24) Possiamo dire che con questi epiteti, data la loro pesantezza, il politico Canfora ha oscurato lo studioso Canfora. Lasciamo da parte l’aspetto giuridico, se ne occuperà la magistratura. Dovrebbe essere chiaro che la querela è per gli epiteti, e non è rivolta alla “storia”: il professore ha assunto una posizione alquanto presuntuosa, cioè quella di far coincidere “la storia” con le proprie convinzioni.
Uno dei problemi da esaminare che riguardano lo studio delle storia in generale, è l’approccio allo studio; un altro riguarda come i risultati degli studi entrano nella memoria collettiva, e quindi l’uso (e l’abuso) che della storia fa la politica.
Se i fatti e i documenti del 1200 mettono in rilievo che Federico II° di Svevia aveva le sue buone ragioni nel dar battaglia a Papa Innocenzo III, possiamo considerarlo una utile acquisizione culturale, che impatta minimamente sul presente e tuttalpiù interessa gli appassionati di storia medioevale.
Si afferma che la storia la scrivono i vincitori: forse non è del tutto così, ma troppe narrazioni ufficiali sui conflitti, soprattutto di grande portata, scivolano con intento esaltatorio o celebrativo in rappresentazioni di tipo moralistico, con il buono (assoluto) da una parte e il cattivo (assoluto) dall’altra. Quelli di noi che hanno una certa età sono cresciuti con la cinematografia americana che esaltava le battaglie dei coloni sui minacciosi pellerossa. In seguito, film come Soldato blu e Il piccolo grande uomo ci hanno introdotto ad un’altra versione, e si è cominciato a parlare di Little Big Horn, del generale Custer, dell’eccidio di Wounded Knee, ed oggi possiamo affermare che tante di quelle battaglie furono massacri per sloggiare le varie nazioni americane dai loro territori, anche se non mancavano conflitti tra le varie tribù.
Come inquadrare lo studio di un fatto o di un periodo storico? Come rilevare la sua affidabilità, se cioè sia stato condotto con rigore o meno? La neutralità, il distacco totale dello studioso è improbabile, in quanto qualsiasi studioso è portatore di valori o perlomeno di criteri che lo guidano nell’indagine.
Una soluzione – indicata da vari storici – può essere quella di manifestare nella presentazione dei risultati dello studio, oltre ai fatti indagati, i risultati che si vogliono rafforzare attraverso quegli studi, con un elemento importante: esplicitare i valori da cui si parte per affrontare lo studio, i valori cioè che sottengono all’indagine.
Una volta esplicitati valori e criteri, siamo però all’inizio del percorso, in quanto con lo studio possono emergere fatti e comportamenti la cui interpretazione non è confermativa dei valori dichiarati e rappresentati. Insomma, qual è il rapporto tra fatti e valori?
Prendiamo ad esempio il periodo in Italia che va dal 1943 al 1945, e anche dopo, visto che le uccisioni non finirono nell’aprile del 1945.
Possiamo assumere come valori da cui partire per lo studio quelli peculiari della democrazia. La democrazia non è un termine generico: per democrazia si intendono le caratteristiche e i criteri di funzionamento della democrazia occidentale, anglosassone o continentale. Se si studiano certi periodi storici del secolo scorso includendo nella nozione di democrazia anche le cosiddette “democrazie popolari” dell’Est europeo, che democrazie non erano, le valutazioni cambiano.
Lo storico Claudio Pavone, partigiano combattente, nel suo libro Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, del 1991, sostiene che la Resistenza sia stata una guerra di liberazione, una guerra civile e un conflitto di classe, aspetti divisibili solo analiticamente. Il PCI ha ufficialmente negato la guerra civile e di classe, in quanto il suo obiettivo era accreditarsi come partito della nazione liberata, aumentando la propria base elettorale e legittimando l’aspirazione ad assumere alte cariche o il governo del Paese. (Si rimanda al circostanziato saggio di Marc Lazar L’Italia sul filo del rasoio, Rizzoli 2009).
Recentemente, venuta meno la presa da parte dell’ufficialità di partito, si è tornati ad esaltare, da una parte consistente della sinistra, l’aspetto ideologico. Questo entusiasma la tradizionale militanza, ma ha un costo: se si vuole celebrare il 25 Aprile come festa della Nazione, come festa di tutti gli italiani – esclusi ovviamente i nostalgici e i sostenitori dell’ideologia fascista – è da tener presente che c’è una parte dei cittadini, di fede democratica, che non si riconosce nell’esaltazione – esplicita o sottintesa – della lotta di classe armata.
Bisogna prendere le distanze da un certo passato, voltare pagina. Vale soprattutto per la destra, che dovrebbe riconoscere una volta per tutte l’aspetto liberticida dell’ideologia e del periodo storico fascista, e vale per la sinistra, che dovrebbe prendere le distanze dai regimi comunisti liberticidi. Purtroppo il voltare pagina non è gradito nel nostro Paese, mette in crisi troppe certezze.
La storia come ci viene spesso illustrata dall’ANPI suscita riserve. L’ANPI, nella sua narrazione storica, ha trascurato l’apporto fondamentale degli eserciti alleati; ha sminuito l’apporto delle formazioni partigiane di diversa ispirazione politica; ha oscurato il peso dell’ex esercito nella lotta partigiana. Ma soprattutto, per come viene presentata, la sua visione storica non ammette critiche né versioni differenti, che vengono spesso definite falsità, o tacciate categoricamente di revisionismo. E’ un atteggiamento assolutistico.
Lo studio stesso della storia è di per sé una revisione, nell’accezione di scoperta e risalto di fatti o aspetti che integrano o mutano la narrazione primaria.
Ma che succede se il fatto studiato assume importanza tale da incidere sullo schema valoriale? Il rapporto fatto-valore non è a senso unico, è biunivoco.
Se il fatto studiato è rilevante, e modifica le versioni accreditate e impatta con il presente, nessuno scandalo: lo spirito democratico e laico – laico nel senso di alieno dal fanatismo e dal fondamentalismo ideologico – ci permette di prendere atto dei mutamenti di interpretazione e di farne tesoro culturale. Vuol dire che la politica sarà pungolata a fare un diverso uso di quel fatto o quel periodo storico, e se non lo fa si assumerà la responsabilità di perpetuare una narrazione – anche in parte – artificiosa.