Quale normalità?
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26 Giugno 2020Da FRANCO VIANELLO MORO, autore di LUMINOSI GIORNI, riceviamo e volentieri pubblichiamo questo suo personale ricordo di Marina Dragotto, deceduta dopo lunga malattia nella notte tra Sabato e Domenica e sua buona amica oltrechè di molti altri autori della nostra testata. E’ un riconoscimento a cui la Redazione si unisce per celebrare degnamente questa giovane donna, impegnata negli studi urbanistici della città e non solo e coinvolta nella politica cittadina su temi a noi vicini e con noi in sintonia.
“Sono passate solo poche ore dal momento che te ne sei andata.
Ma sento già la tua mancanza e da quello che si legge in giro nel mondo dei social sembra che il vuoto che hai lasciato sia condiviso da moltissime persone.
Dai moltissimi amici e amiche che avevi, di cui ti circondavi. Che coinvolgevi nei momenti belli della tua troppo breve vita.
I tuoi compleanni, che definirli sarabanda era come pensare ad un convento di clausura, rimarranno un mito della vita sociale veneziana.
Gente che andava e veniva, fin dalla mattina. Fino a notte.
Fra musica, chiacchiere e bottiglie di vino che scorrevano a fiumi.
Ma poi le cene fra pochi intimi, a chiacchierare, a discutere di politica che quella era la tua passione della vita.
E le cenette a due che cercavamo di organizzare nei ritagli delle nostre vite complicate dagli accidenti, dagli impegni e dalla distanza.
Come ti dicevo spesso “è meglio regalarti un vestito che portarti a cena”. E tu ridevi spensierata e abbozzavi.
Perché il piacere della buona tavola non ti ha mai fatto difetto e soprattutto il piacere della buona compagnia.
Ci eravamo conosciuti ai tempi in cui Lazzaro Pietragnoli era il segretario della Levorin. Qualche tempo dopo la mia segreteria nella stessa sezione – si chiamavano ancora così ai tempi del PCI, del PDS e poi DS.
Ma Lazzaro voleva innovare e c’era un gruppetto di “giovinastri” che la frequentavano e la animavano.
Seppure con qualche resistenza, siamo riusciti a farti eleggere in quella che di fatto era la tua prima vera responsabilità politica.
E ci hai messo del tuo, con la tua verve, con la tua passione, con la tua competenza, con la tua testardaggine. Dicevi sempre che per lasciare il mondo un po’ migliore bisogna impegnarsi in prima persona, con disponibilità e coraggio, e non tirarsi indietro.
C’era poi la tua disponibilità all’ascolto.
Che è sempre stata il tuo punto di forza.
Posso confessare che, con la confidenza che ci legava, non hai mai mancato di stare ad ascoltare i miei sproloqui politici ma soprattutto le mie ubbie, anche quelle più personali.
Poi si litigava su quasi tutto, ci si accapigliava e si polemizzava spesso oltre il lecito.
Salvo poi, al momento dei saluti, un tuo tenero bacio metteva tutto a posto e si tornava come prima.
Pronti per la prossima.
La tua voglia di vivere, il tuo approccio solare alle cose della vita, la tua voglia di bellezza ti hanno fatto fare cose anche straordinarie. Ti hanno fatto conoscere persone che ti meritavano, ti hanno fatto apprezzare da quelli di cui ti circondavi e che ti circondavano.
In politica avresti avuto diritto a traguardi più ambiziosi, responsabilità più importanti, visibilità più netta.
Ma si sa come vanno le cose in quegli ambienti. Non sempre, anzi, molto raramente, i migliori emergono. Alle persone come te si chiede di fare il lavoro dietro le quinte, di fare gli sherpa, con la competenza e la dedizione del buon “soldato”.
Poi vanno avanti altri, più disposti al compromesso, alle cordate, alle linee di comando.
Quante volte ci siamo detti che tu avresti dovuto essere una risorsa importante per questa città?
Ai livelli più alti.
Quante volte, alla fine, siamo giunti alla solita mesta conclusione.
E pensare che tu sei stata più veneziana di molti altri, di molti di quelli che affondano le radici in questa città da più tempo di te.
Che eri arrivata per studiare allo IUAV e che, come succedeva in quegli anni, alla fine hai deciso di stabilirti qui. Vivendo Venezia con quella pienezza e quell’amore che non te la facevano sembrare una città del passato ma una città proiettata nel futuro.
Scegliendo la Giudecca, isola nell’isola, per la tua casa, con il campanello che non funzionava mai, ma piena di luce e di sole. Come te.
E pensare che venivi dalle montagne.
Una montanara a tutto tondo: altoatesina in quel di Marebbe.
Mi ci hai trascinato a sciare – io che dovevo fare un’ora e mezza di macchina per raggiungerti dalla mia valle bellunese – che era una di quelle cose che ti piaceva moltissimo.
Perchè sciavi bene, in maniera elegante ma anche efficace e giù allora da Plan de Corones fino alla Valdaora per quel pistone di più di 8 km. A vedere chi la faceva senza stop e con millanta curve.
Ma poi le piste nere che portano a Brunico, giù per quei muri dalla pendenza stratosferica.
Per andare a mangiare al Graziani. Dove ti conoscevano come una di casa e a sentirti parlare il ladino, come una di loro.
Così tutti gli anni, o a Natale o a Capodanno: c’è meno gente! Dicevi sempre.
L’ultima volta a inizio 2019.
Per me era un miracolo vederti piena di vita, inesausta, sapendoti preda da molto tempo di quel mostro che ti ha divorato, senza pietà, e che a un certo punto non ti ha lasciato più tregua.
Ci siamo salutati al telefono, una delle nostre ricorrenti telefonate di questi mesi, solo martedì scorso.
Mi hai detto: “devo vedere quel lavoro fotografico di cui mi hai parlato, chiamami nei prossimi giorni”.
E te ne sei andata, lasciandoci tutti un po’ più soli.
Ciao Marina.”