
Solo turisti ricchi?
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12 Ottobre 2024Parlare del problema del “moto ondoso” per qualcuno forse può sembrare ripetitivo, in effetti è uno di quei temi ricorrenti in città dall’alba dei tempi.
Per qualcun altro può sembrare una questione di secondaria importanza, affannati come siamo dal problema quotidiano dell’overtourism.
Un po’ di storia dei tempi più o meno recenti può aiutare ad inquadrare la questione.
Per primi i difensori della Laguna e dei suoi equilibri guidati dall’architetto Giuseppe Rosa Salva che vararono la prima edizione della Vogalonga che si svolse l’8 maggio 1975 (l’anno prossimo saranno 50 anni!) per rilanciare l’antica tradizione della voga alla veneta e per sostenere una campagna contro il degrado e il moto ondoso.
Quale sia oggi il significato di questa straordinaria manifestazione tutti lo possono vedere e valutare: esplosione delle imbarcazioni e degli equipaggi “foresti”, turistificazione della kermesse e insignificanza dei valori fondativi.
Poi vennero i gondolieri all’alba degli anni ’90 che manifestarono rumorosamente per cercare di limitare quello che sembrava essere il problema principale per la categoria tutta esposta com’era alle fatiche di una voga in piedi sulla poppa delle “briscolosa” gondola con le conseguenze anche fisiche sulle articolazioni e sulla postura in generale.
Ci fu persino una manifestazione in Canal Grande, con il blocco del traffico, fortemente partecipata che vedeva affiancate tutte le realtà professionali a quelle amatoriali che lottavano contro il “moto ondoso”. L’Ente per la conservazione della gondola e la tutela del gondoliere, più comunemente conosciuto come Ente Gondola, fu fra i patrocinatori.
Promesse e commissioni a studiare il fenomeno e a proporre soluzioni: non faccio l’elenco per non annoiare più del dovuto, ma ciascuno rivangando nella memoria potrà trovare le più gettonate “acquavelox, GPS, carenature ad hoc”.
Siamo sempre in attesa.
Poi vennero le società remiere a caldeggiare il tema e a manifestare in vario modo e maniera molto più morbida con una ricorrenza quasi annuale.
Si sono aggiunte tutte le realtà della voga alla veneta che fanno capo a Punta San Giuliano che vivono un problema analogo legato però più al pericolo a cui le loro imbarcazioni con i loro equipaggi sono esposti per l’assoluta mancanza di rispetto da parte degli scafisti che transitano da quelle parti a velocità proibite e proibitive.
Ogni Sindaco che si è avvicendato sugli scranni di Cà Farsetti ha cercato di affrontare il problema, ma con il classico approccio del fenomeno interpretato in modo (quasi) folcloristico.
Per carità tutti a sostenere l’urgenza, l’imprescindibilità del tema, tutti a stracciarsi le vesti per la mancanza di una legislazione ad hoc che equipari il controllo del moto ondoso a quello del traffico automobilistico, con tanto di strumentazione appropriata e omologata.
Poi però di fronte alle difficoltà di vario genere tutti a fare gli gnorri e lasciare che le cose corrano lungo i canali dell’indifferenza e dell’inazione.
Va considerato che le acque lagunari sono sottoposte a diverse giurisdizioni: le acque portuali, incluso il canale della Giudecca, sono di competenza della Capitaneria di Porto, le acque interne, il Canal Grande, tutta la ramificazione dei rii cittadini, le acque dalle fondamente Nove fino alle isole, dipendono dall’Amministrazione Comunale.
Se è pur vero che la disciplina sanzionatoria è azzoppata da tutti i ricorsi al TAR che le diverse categorie del trasporto pubblico veneziano acqueo hanno sempre opposto ad ogni tentativo di controllo del fenomeno è altrettanto vero che qualche volta le soluzioni più semplici e più “terra-terra” potrebbero venire utili allo scopo.
La presenza delle varie Forze dell’Ordine è un buon fattore di mitigazione, una volta esistevano, ne sono sopravvissuti un paio, i “gabbiotti” in cui i Vigili Urbani svolgevano le funzioni di controllo e di deterrenza lungo il Canal Grande.
In rarissimi momenti di sensibilità Capitaneria di Porto, Guardia di Finanza e Carabinieri svolgono opera di controllo appostando imbarcazioni nei diversi punti caldi del traffico acqueo: magia! il “moto ondoso” si acquieta e le acque diventano sicure anche per tutti quelli che vanno a remi (per lavoro o per passione).
Il “moto ondoso” non è più solo un problema di sicurezza, come non bastasse questa istanza ad affrontarlo seriamente, ma lo è ancor più per il mantenimento fisico della città.
Ci sono rive e fondamente nelle quali l’invasione delle acque non è tanto dovuto all’alta marea quanto piuttosto al sollevarsi delle onde prodotte meccanicamente.
Le fondamente Nove, le fondamente della Giudecca, molte delle rive e dei palazzi sul Canal Grande, le sponde delle barene che portano all’Aeroporto sono soggette al degrado e alla distruzione che il fenomeno comporta.
Se qualcuno di voi avesse l’avventura di fare una gita dalle parti di Mazzorbo, Burano e Torcello potrebbe per converso farsi un’idea di come invece siano le acque della Laguna quando non sono soggette alla tempesta prodotta dal via vai degli scafi. Sembra di essere in un “paradiso” naturale.
Qualcuno si ricorda l’effetto Covid sulle acque lagunari? Ecco più o meno siamo lì.
Ora le ragioni del come e del perché il moto ondoso sia un fenomeno pervasivo sono abbastanza note e condivise: un eccesso di affollamento di imbarcazioni, barche armate di motori con potenze sovradimensionate, la domanda crescente di servizi per il trasporto cose (pensate alla quantità di pacchi che viene al giorno d’oggi consegnata in città derivante dall’esplosione dell’e-commerce), tutti i servizi alla ristorazione e all’alberghiero allargatisi a dismisura, il numero esorbitante di turisti che vengono in città e che, indifferenti ai costi, si approcciano al servizio taxi. Non da ultimo il trasporto pubblico dell’ACTV che deve soddisfare una domanda inarrestabile.
Ci sarebbe da osservare come alcune scelte strategiche dell’organizzazione dei flussi siano state gravemente trascurate o fortemente avversate: la creazione del terminal del tram a San Basilio e la guerra atomica che ha raso al suolo qualsiasi ipotesi di “sublagunare”.
Non è questa la sede per riaprire la querelle, ma se la mobilità è uno dei problemi di questa città che non riesce a connettersi con il resto del mondo (soprattutto il suo mondo circostante, fatto di lavoratori, di studenti pendolari) in tempi ragionevoli ne deriva un gap di attrattività e di praticabilità per l’insediamento di realtà produttive nella Venezia storica. Con la permanente condanna alla sua monocultura turistica.
Ma per affrontare il problema del “moto ondoso” fondamentale è ancora una volta il tema culturale: se non ci si rende conto della fragilità della Città, della sua imperdibile bellezza, della sua unicità, del valore universale del suo patrimonio e di conseguenza non ci si atteggia al rispetto e alla moderazione non resta che la repressione perché ancora una volta il bene pubblico non può essere assoggettato allo sfruttamento e al degrado derivante dalle ragioni di un business incontrollato e indifferente.
La responsabilità ricade sempre su chi governa e le azioni che si possono intraprendere non possono essere messe nel dimenticatoio o nascoste sotto la coltre dell’indifferenza.
Non è un caso che qualcuno, meritoriamente, abbia in questi giorni sollevato il problema davanti all’Autorità Giudiziaria perché l’omissione di atti d’ufficio è un tema che investe proprio la sfera della responsabilità pubbliche.
Il “moto ondoso” fa il paio con l’emergenza abitativa della Città: sono due fenomeni che da lati diversi investono la qualità della vita dei residenti ma anche quella delle “pietre” che ci sono state consegnate per essere preservate e tramandate integre ai posteri assieme ai veneziani che le abitano, le frequentano, le amano.