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17 Ottobre 2025C’è qualcosa di profondamente ipocrita nella retorica urbanistica che domina Venezia, un’ipocrisia elegante, travestita da amor patrio per la Laguna, da estetica del lento vivere, da culto della tradizione, ma sempre ipocrisia resta. Perché è da almeno trent’anni che esiste un’idea concreta (discussione iniziata concretamente nel 1992 con ultimo aggiornamento nel 2005), efficace e moderna per far uscire Venezia dalla sua paralisi: si chiama Sublagunare. Si tratta di un collegamento in tunnel, una metropolitana vera e propria, una spina dorsale infrastrutturale. Eppure nulla, progetto scomparso, affondato, idea annegata nelle paludi del non-detto e del non-fato.
C’è stato un tempo in cui pensavamo in grande, a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, con la Giunta Bergamo l’idea prese forma: un collegamento tra l’Aeroporto e il Centro Storico con fermate chiave tra Tessera e Fondamenta Nove-Arsenale, raccordato in terraferma alla rete tranviaria e ferroviaria di Mestre con un tracciato lungo circa 8 km a binario unico e stazioni sotterranee. Si prevedevano cinque fermate tra cui l’Isola di Murano, una visione nuova di infrastruttura per il trasporto delle persone tra Città storica e Terraferma. Poi arrivarono i tecnicismi, i tavoli, le commissioni, i ricorsi, i soldi che non c’erano e i no che invece arrivano sempre puntuali. E così il Progetto, come ogni iniziava innovava per Venezia, si è spento sul nascere bollato come utopia non rispettosa della “sacralità” dei luoghi.
Nel frattempo nel resto del Paese molte Città si infrastrutturavano soprattutto “scavando”. Milano, Genova, Napoli, Catania, Torino, Roma, Brescia costruivano nuove linee o completavano tratte esistenza, processo che tuttora continua con la realizzazione di nuovi progetti e ampliamenti.
Venezia? A parlare della Sublagunare si è trattata come se si proponesse di costruire un grattacielo con vista San Marco o un McDonald’s prospicente il Palazzo Ducale. C’è un feticismo tossico per l’immobilismo, una specie di erotismo civico per la decadenza. Si dice: Venezia non va toccata perché è unica, ma lo è anche per la sua totale incapacità di dotarsi di infrastrutture moderne.
E così la quotidianità della Città è una forma di tortura leggera, ma costante. Muoversi tra il Centro Storico, il Lido, la terraferma, le isole minori è una sfida degna di un gioco a premi. Da Mestre a Padova in treno ci si impiega quattordici minuti, dal Lido o da Sant’Elena a Mestre, nella migliore delle ipotesi, un’ora e 30/15 minuti, se non ci sono intoppi. Si impiega più tempo che da Mestre a Verona, due città venete sono più connesse di due zone residenziali dello stesso Comune. In compenso abbiamo il record mondiale di comitati, proteste e piani di mobilità sostenibile che non mobilitano un bel niente.
La Città è spaccata, Mestre e Marghera da una parte con attività produttive, densamente abitate, abbastanza connesse e dall’altra un Centro Storico svuotato di residenti, fragile, musealizzato e sottoposto a un notevole “stress” turistico. In mezzo c’è la Laguna o meglio un vuoto infrastrutturale, uno spazio che può essere attraversato solo a caro prezzo in termini di tempo, denaro e pazienza. Non è un problema solo di efficienza, ma è anche una questione di giustizia urbana, di equità sociale. Chi vive nelle isole veneziane Lido, Pellestrina, Murano, Burano, Torcello e Sant’Erasmo non ha gli stessi diritti di mobilità di chi vive in qualsiasi altro capoluogo italiano.
E qui arriva il cuore della questione, quello che ogni Amministratore serio dovrebbe considerare con la massima attenzione e valutare in termini di priorità: Venezia, intesa come Comune e zone limitrofe, è una Città estesa che non possiede un sistema su ferro urbano o suburbano connesso e continuo ad alta capacità. In Italia e soprattutto in Europa non mancano esempi virtuosi che hanno integrato metropolitane e tram nel sistema ferroviario suburbano. E Venezia? Un tram limitato come percorso e frequenza a Mestre e Marghera, con prolungamento fino a Venezia che non collega punti nevralgici come Aeroporto e Ospedale, un sistema
ferroviario in terraferma che inizia solo ora a servire alcune stazioni suburbane, mentre a Venezia insulare abbiamo battelli diesel, un servizio che arranca sotto la pressione turistica con costi elevati dei biglietti per i visitatori e forti disagi per residenti e pendolari.
Ogni giorno, secondo i dati AVM/ACTV, oltre 140 mila spostamenti pendolari avvengono tra la terraferma e il Centro Storico, una percentuale significativa di questi impiega più di 45 minuti a tratta, tradotto in produttività si perdono milioni di ore lavorave l’anno, non si parla solo di disservizi, ma è un’emorragia economica sistemica.
E quanto costerebbe la Sublagunare? Il Progetto del 2005 stimava 1,2 miliardi attualizzare per un tracciato di 8 km. Oggi, anche ipotizzando un aumento del 40%, sarebbero cifre compatibili con i grandi programmi europei (PNRR, FESR, CEF), che finanziano mobilità sostenibile e transizione green. Non è un problema di soldi, è un problema di volontà e priorità. La linea M4 di Milano è costata 2 miliardi per 15 km, su tracciato urbano molto più complesso. Il Marmaray di Istanbul, un tunnel ferroviario sotto il Bosforo, è costato 3,3 miliardi per 13 km, di cui 1,4 km sotto il mare. Non fantascienza dunque, ma soluzioni già adottate in contesti complessi.
La Sublagunare, per alcuni, è ancora sinonimo di “cattedrale nel deserto”. In realtà è esattamente il contrario: è l’unica infrastruttura capace di trasformare questo deserto urbano in una città policentrica vera, vivibile, connessa, il solo modo per fare in modo che vivere a Venezia non sia un atto di eroismo quotidiano. Perché la verità è che qui, ogni giorno migliaia di persone, studenti, lavoratori e visitatori, si muovono in modo schizofrenico da Venezia a Mestre e viceversa con trasporti lenti e vulnerabili attraverso l’unico collegamento rappresentato dal ponte stradale e ferroviario.
Una città così non è viva, è in apnea, la sua economia si regge su flussi pendolari non governati, i suoi orari sono incompatibili con la vita reale, il suo modello di sviluppo è fragile e disordinato. La Sublagunare non è solo un’infrastruttura, è una scelta su che tipo di città vogliamo realizzare, vuol dire spostare valore, dare priorità, restituire tempo a chi vive qui, collegare l’Aeroporto e la rete ferroviaria di terraferma con il cuore storico cittadino in pochi minuti e viceversa ridà centralità ad aree periferiche. Decentralizzare l’accesso alla città è anche un’occasione di rilancio economico: riqualificazione urbana, nuovi poli di attrazione, aumento della residenzialità.
La critica che si sente più spesso è quella ambientale, ma è una scusa debole, retorica, stantia. I mezzi attuali inquinano più di qualsiasi tunnel con mezzi elettrici, i tempi di percorrenza dilatati impongono doppi trasbordi, giri assurdi, inutili emissioni inquinanti. Il vero impatto ecologico oggi è non fare nulla. E poi c’è la tecnologia. Oggi esistono soluzioni e tecnologie ingegneristiche pulite, a impatto limitato, con sistemi prefabbricati e tecniche di scavo che minimizzano i rischi. Il problema non è l’ambiente, è la paura, è il culto del “meglio non toccare niente”, l’alibi eterno del veneziano sospeso tra nostalgia e sospetto.
La realtà è che Venezia non si fida più di sé stessa, ha smesso di progettare il futuro, si è arresa a un presente stanco, dove il massimo della visione politica è un piano per regolamentare i percorsi dei gondolieri o aumentare i controlli sui trolley rumorosi. Ci si commuove per l’apertura di un supermercato in centro, si fa festa per un vaporetto in più, si grida alla rivoluzione se ACTV non ritarda. È una città che ragiona con lo sguardo al passato, l’occhio sul retrovisore e nessuna prospettiva per il futuro.
La Sublagunare, invece, è uno sguardo in avanti, è un gesto polico, è dire: vogliamo ancora essere una città vera, vitale, non una parvenza del passato, non una Disneyland monumentale sull’acqua con tassa d’ingresso. La Sublagunare è il contrario della rassegnazione, è la rottura del frame, è la dichiarazione che Venezia può ancora permettersi di realizzare, con intelligenza, qualcosa di degno del suo passato di grandi progetti di difesa, trasformazione e collegamento nell’ambito lagunare (es. murazzi, deviazioni di fiumi e, più recentemente, ponte ferroviario e stradale, MOSE), ma ancora una volta utile per il suo presente e il suo futuro.